Nella lunghe solitarie serate d’inverno non si sapeva che fare, ci si annoiava da morire, arrostendo le gambe al braciere o al camino, mentre le spalle ghiacciavano. Le gambe facevano i fizz: un reticolo tendente al bluastro che si formava sulle gambe arrossate. Quando divenni funzionario del ministero della sanità e avevo contatti con i luminari della sanità, mi fu spiegato che i fizz con linguaggio medico si chiamano eritema da scaldino o ab igne.

Ci riunivamo al focolare di casa Albanese, un appartamento in affitto nel palazzo di donna Giuseppina Santoro in via Rabata, subito dopo palazzo Gagliardi. Quando Rocco Scotellaro non aveva impegni, che erano riunioni presso altri focolari socialisti o comunisti allietate da bei boccali di vino e Benì Cataldo non trascorreva la serata a casa della fidanzata Celeste, c’erano anche loro. Rocco e Benì, fratelli più che amici, che più diversi non si può essere, uno socialcomunista, come allora si diceva, l’altro cattolico democristiano, si beccavano come galli da combattimento. Io, Nicola e Antonio, almeno, c’eravamo sempre o quasi, col padre, Rocco, e qualche amico di questo. Si arrostivano le patate sotto la cenere calda, si discuteva e si raccontavano storie.

Poi arrivò la televisione e cambiò il mondo. Rocco Scotellaro era già morto, lui la televisione non l’ha conosciuta.
Noi eravamo già vicini ai trent’anni. Peraltro erano poche le serate  trascorse a  Tricarico d’inverno, finite le elementari passavamo in città per proseguire gli studi, vivendo in case a pensione o in convitti senza bracieri e senza camini, dove il freddo un po’ si soffriva.

Enrico Buono, figlio di don Giulio, l’icona dei maestri di scuola ha raccontato le serate trascorse a casa del “commendatore”, un notaio oriundo di Salandra, che guadagnava più che bene e aveva messo su una considerevole fortuna. Il commendatore si chiamava Francesco Rivelli, oriundo di Salandra. Era il solo notaio del posto e uno dei pochi del distretto. Lavorava molto e guadagnava bene. Abitava una bella casa, che veniva chiamata Palazzo Rivelli, aveva dotato di beni i suoi discendenti e favorito buoni matrimoni. Io non l’ho conosciuto, ma ricordo gli eredi che a Tricarico trascorrevano periodi di vacanza. Erano ragazze o signore un po’ snob, che, ad esempio, segnavano su una lavagnetta in cucina il menu del giorno dagli strani nomi: Rari Nantes, che erano pastine naviganti nel brodo o Mare dei Sargassi, che doveva essere una zuppa bianca di pesce; di tanto in tanto veniva anche un ingegnere, che forse era figlio del notaio. con la moglie e un figlio della mia età. Vivevano a Milano, l’ingegnere, richiamato alle armi, a Tricarico veniva in divisa da maggiore. Poi, i Rivelli furono una delle famiglie estinte di Tricarico, il palazzo, per un certo periodo, fu adibito a sede del fascio e in quell’occasione ebbi modo di frequentarlo. Pare che qualcuno dei discendenti si sia affermato, se non ricordo male, nel mondo della televisione.

Il commendatore tornava dal circolo quando le signore erano già riunite in folta compagnia attorno al focolare. Su appunti dell’avv. De Maria  leggo che al circolo si giocava, perché l’ambiente non permetteva altre distrazioni e a sera, quando ci si riuniva, qualche cosa si doveva fare … per ammazzare il tempo. Il batuffo dei vecchi era una vera seduta accademica: discussioni su un piombo non accusato, su un asso non passato sul busso del compagno, e l’ultima parola a Chitarella; le sgridate di don Pancrazio per un cappotto dovuto alle ‘fesserie’ del compagno; le mortificazioni del commendatore Rivelli. I più famosi batuffisti e calabresisti costituivano la ‘Cassazione’ ed il primo presidente ne era ritenuto l’avv. Lorigi, che morì prematuramente.

Di tanto in tanto uscivano dattilografate le “Cronache di batuffo”, dove si consacravano le giocate e gli incidenti più interessanti.

E’ vero che si cenava e subito si andava a letto, in ossequio al precetto della Scuola medica salernitana: Post prandium aut stabis aut lente deambulabis. Era il precetto per l’inverno. Ma i saggi medici salernitani non avevano mancato di prescrivere per l’estate la penichella postprandiale e la passeggiatina del dopo cena: Post prandium stabis, post coenam deambulabis.

La sera cominciava alle cinque ed era lunga a passare. I carboni nei bracieri e la legna nei camini si spegnevano, bisognava coprire con la cenere le braci accese per accendere nuovi fuochi l’indomani.

 

2 Responses to L’INVERNO DI UNA VOLTA, QUANDO LA SERA COMINCIAVA ALLE 5 E, NON SAPENDO CHE FARE, SI IMPARO’ A RACCONTARE STORIE

  1. Rachele ha detto:

    Dopo una vita scopro che i fizz, da noi riviezz, sono un eritema da scaldino o ab igne. Grazie. Mi piacerebbe scoprire anche l’etimo.

    • Antonio Martino ha detto:

      SCUSA IL IL RITARDO: eritèma s. m. [dal gr. ἐρύϑημα -ατος, propriam. «rossore», dal tema di ἐρεύϑω «arrossare, arrossire»] (pl. -i). – Nel linguaggio medico, arrossamento cutaneo più o meno circoscritto o diffuso, transitorio o permanente, che scompare…

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