SONO MOLTO DISPIACIUTO PER LA MORTE DI RAFFAELE LA CAPRIA
Sono rimasto molto sorpreso: ma quanti anni aveva? Controllo e scopro che ne aveva solo otto più di me. Dio mio, sto per arrivare anch’io al capolinea!
Ho letto alcuni suoi libri, non ricordo quale è stato l‘ultimo; non è stata una lettura recente; ne parlavo una diecina di anni fa sul Renon col mio amico Paolo Barbaro, scrittore con questo pseudonimo e, col suo nome Ennio Gallo, ingegnere idraulico costruttore di dighe. Se cerco lo trovo l’ultimo suo libro che ho letto e mi ricordo, ma non ho più la forza di arrampicarmi a rovistare nella confusione che ho creato.
Lo chiamavano Dudù. Mi piaceva Dudù, meno Raffaele La Capria. Per dare un’idea di quanto mi sia piaciuto Dudù ricorderò due cose.
SUD. «Sud rivista culturale», il nome completo, fondata dal giovanissimo Pasquale Prunas, vide la collaborazione di Luigi Compagnone, Samy Fayad, Raffaele La Capria, Gianni Scognamiglio, Ennio Mastrostefano, Vasco Pratolini, Franco Rosi e altri giovanissimi intellettuali poi divenuti famosi e, tra essi, anche di Rocco Scotellaro. Ebbe anche la collaborazione di Maria Teresa Ortese.
GIANNI SCOGNAMIGLIO. E’ è indimenticabile a chi visse con passione quegli anni a Napoli anche Gianni Scognamiglio. Su di lui riporto un appunto senza l’indicazione della fonte (ma certamente dello stesso Lacapria) dove si legge che Gianni fu destinato ad essere bruciato nella sua genialità da una precoce e devastante follia. Indicava le nuove frontiere della musica, scriveva poemi, che, assicurava agli amici, sarebbero stati musicati da Igor Stravinsky, anche se per il momento il compositore russo non lo sapeva, anzi non conosceva neppure l’esistenza di un giovane napoletano, colto e stravagante, che rispondeva al nome di Gianni Scognamiglio. Percorreva Toledo gridando ossessivamente «Ci hanno sequestrato il mare», alludendo al grande schieramento di navi (americane) dell’AFSE (Allied Force South Europe). Sparì da Napoli, qualcuno lo vide fare vita da barbone a Roma. Lo vedeva Lacapria che gli rimase amico.
«Sud» nel 1989 è stata pubblicata dall’editore Palomar di Bari in cofanetto contenente la ristampa anastatica della rivista e una ‘brochure’ con testi di Anna Maria Ortese e Giuseppe Di Costanzo, che ha curato la stampa. Rivista ormai introvabile, ma strumento indispensabile per comprendere la situazione storico-culturale del secondo dopoguerra, bellissima e rivoluzionaria anche dal punto di vista grafico e di impaginazione.
ILARIA OCCHINI. Bellissima, 60 ani di amore. Dudù diceva che si sono voluti molto bene, che il volersi bene è cosa molto più complessa e completa e bello della passione. Venne a Potenza. Fu ospite della nostra (di Titina e mia) carissima amica Angelina.
Marina Valensise, nel libro Il sole sorge a Sud, fa dire ad Andrea Di Consoli cosa ben altrimenti diversa da ciò che lo scrittore lucano aveva scritto; La Valensise gli fa dire (pag. 198) «E Scotellaro, morto di infarto a trent’anni, dopo essere stato trattato a pesci in faccia da Cesare Pavese…».
Marina Valensise è una colta giornalista, che ha ricoperto l’incarico di direttrice dell’Istituto Italiano di cultura di Parigi. Il suo libro è molto bello e molto strano, chissà cosa le prese a un certo punto … .
L’avevo comperato alla libreria Feltrinelli di Ferrara, appena uscito, cominciai a leggerlo per strada e continuai a leggerlo lungo il non breve percorso per casa. Mi aveva molto incuriosito la recensione che Raffaele La Capria aveva fatta sul Corriere della Sera, scrivendo che questo libro dalla copertina solare getta un po’ di luce su quanto di meglio oggi produce il bistrattato Sud e ci fa capire in che modo, nel Sud, «il sole sorge ancora». E’ un libro che parla del Sud contro la tendenza nazionale a parlarne male; per parlarne bene, ci vuole un po’ di autostima e un po’ di appartenenza (solo chi vi è nato può dire di appartenervi), un po’ di anticonformismo (solo chi è libero da pregiudizi può parlarne), e molta informazione.
C’era (e c’è rimasta) tanta disinformazione sulla Basilicata nel bel libro di Marina Valensise. E’ una roccia don Raffaele, si vede che lui, benché avesse toccato o stesse per agguantare il secolo, non era un nostalgico legato al suo passato..
Le cose, scriveva don Raffaele «Stanno cambiando anche nella Basilicata che cerca in ogni modo di liberarsi dalla memoria dolorista e miserabilista della civiltà contadina celebrata da Carlo Levi. E a Matera, per esempio, i Sassi dove una volta come cavernicoli abitavano i contadini sono stati trasformati in una meta turistica e dotati di lussuosi alberghi. Quello che era «l’ epicentro della desolazione» sotto lo sguardo di Rocco Scotellaro e di Carlo Levi, ora è visto da Gaetano Cappelli, autore di Parenti lontani, con uno sguardo nuovo.»
Per carità. Cappelli è uno scrittore che piace, e credo che piaccia anche a Di Consoli. A me no o non tanto. Raffaele La Capria me lo ha fatto piacere meno. E non ha visto tanta disinformazione. Deve aver confusa l’informazione per napolitaneità.
Ma come mi ha rattristato la sua morte!
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Leggendo un articolo sulla sua morte, mi ero appuntata queste significative parole:”Una cosa è parlare di Napoli e un’altra cosa è essere parlati da Napoli».
Non gli piaceva, giustamente, essere definito tout court “scrittore napoletano”,pur non rinnegando Napoli.
Scusami, cara Rachele, ma non trovo affatto significative queste parole, non capisco che cosa significhino. La Capria è vissuto cento anni e l’ossessione di “parlare da Napoli” gli ha fatto rinnegare se stesso. Sono molto dispiaciuto per la sua morte, mi è molto piaciuto e poi non mi è piaciuto più. E’ difficile essere testimone di cento anni.
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