Rispettate, politicanti, Rocco Scotellaro (e Giorgio Napolitano)
Franco Arminio ha pubblicato sul Manifesto di ieri, 28 dicembre 2013, un lungo articolo intitolato «Rocco Scotellaro – Il poeta che vide il futuro del Sud -». Un lungo articolo con una premessa generale e tre sottotitoli: « La stroncatura di Napolitano », « La madre “intonata”», « La cena masochista» e « A Lecce il ricordo del poeta contadino».
Mi soffermo su « La stroncatura di Scotellaro », che allude al saggio dell’attuale presidente della Repubblica «Personaggi nuovi delle campagne del Sud » pubblicato nel 1954 in «Incontri oggi – sett. 1954.» e ripubblicato in «Omaggio a Scotellaro », Lacaita, Editore in Manduria, nel 1974, vent’anni dopo, quando il gelo antiscotellariano cominciava a sciogliersi e il poeta di Tricarico cominciava a riemerge dal silenzio tombale in cui era stato cacciato.
Già nel sottotitolo dell’articolo dell’Arminio emerge un’impostazione antistorica e così flaubertianamente antipoetica, utilizzata dal poeta di Bisaccia per strumentalizzare Rocco Scotellaro, in stile grillino, al coro degli insulti al Presidente.
Il saggio di Napolitano io e Antonio Albanese lo leggemmo e commentammo con intendimenti diversi, già in quel lontano 1954 e fu tuttavia una lettura amara e irritante per entrambi, che ci spinse, per ragioni non coincidenti, a cercare le ragioni profonde e lontane di quell’aspra polemica, che non fu personale, ma ebbe un’ ispirazione marxista di scuola comunista, che incontrava unità di accenti sia nella maggioritaria corrente amendoliana sia nell’intelligente e organica opposizione del geniale giovane studioso Guido Piegari. Credo che nella delusione provata per la lettura non solo del saggio di Napolitano, ma di tutta la campagna antiscotellariana scatenata dall’intellighentia marxista-comunista (precisazione necessaria, perché allora si professavano ancora marxisti anche i socialdemocratici) ha inizio la crisi politica di Antonio Albanese, che con Rocco Scotellaro collaborò alla inchieste sui contadini e si trovava a Irsina con Rocco, quando questo fu colpito dal primo grave sintomo della malattia che lo uccise dopo un settimana. Antonio, infatti, due anni dopo, lasciò il PCI e aderì a movimenti di ispirazione socialista.
«Oggi ho letto ancora Scotellaro – scrive Arminio -. Ho letto anche una parte dell’ «indegna »(le virgolette sono mie) recensione che gli dedicò l’attuale presidente della Repubblica ». L’Arminio mette quindi a confronto versi di Scotellaro (Non gridatemi più dentro / non soffiatemi in cuore / i vostri fiati caldi, contadini), che fanno pensare che il poeta lucano sia morto perché dentro la sua aorta ha provato a far passare tutti gli affanni del suo popolo, mentre nel caso di Napolitano pare di vedere un’accorta gestione della propria vita più che della Nazione che presiede ». Il resto di questa parte dell’articolo è una squallida biografia del capo dello Stato, quale politicante che lungo tutto il corso della sua lunga vita non abbia ad altro mirato se non alla sua personale carriera e fortuna, incurante delle sorti della parte politica alla quale dichiarava di essersi vocato.
Inviterei Arminio a leggere due poesie di Scotellaro: Noi che facciamo ? e Pozzanghera nera il 18 aprile, che sono come due poli di una vivace polemica politica sulla sua opera.
Non solo le poesie della sezione Capostorno, a cui è stata prevalentemente attribuita valenza politica, e non solo le poesie in generale, ma anche le prose – Contadini del Sud in primo luogo, per la penna del non ancora trentenne Giorgio Napolitano, e Contadini del Sud e L’Uva puttanella a cura di Alberto Asor Rosa -,sono state il pretesto di una critica quasi totalmente negativa basata su elementi politici dell’opera di Scotellaro (ad esempio, la scarsa considerazione in Contadini del Sud dei contadini attivi, dei contadini rivoluzionari). Si aprì un capitolo, che non si può ignorare. Nella polemica si impegnò tutto lo stato maggiore del partito comunista del Sud e dei suoi più raffinati chierici, da Carlo Salinari a Alberto Asor Rosa a Mario Alicata e persino a Carlo Muscetta, che peraltro per Rocco, che definiva «ilare folletto lucano», ebbe grande ammirazione e lo aiutò molto nel fallito tentativo di pubblicare le sue poesie presso Einaudi. La polemica fece cadere sull’opera di Scotellaro un silenzio tombale durato vent’anni; da quel silenzio l’opera di Rocco emerse tuttavia per forza vitale propria e impose la sua verità. I giovani leggono Scotellaro; lo scrupolo conservativo di Rocco Mazzarone e l’acribia filologica di Franco Vitelli hanno permesso la pubblicazione di tutte le poesie; nelle Università si discutono tesi di laurea su Scotellaro poeta, saggista, amministratore; giovani studiosi, avendo deciso di studiare Scotellaro, sentono il bisogno di visitare Tricarico in lungo e in largo per «rileggere» nei luoghi cantati il canzoniere di Scotellaro; e ancora c’è in Europa chi sente il bisogno, come il prof. Allen Prowle e la professoressa Caroline Maldonado, di tradurre nella lingua del loro Paese le poesie di Rocco.
Arminio non ha il diritto di strumentalizzare Scotellaro – e tutto quanto egli oggi rappresenta – per la sua polemica antinapolitaniana di un fronte che si estende a Grillo e a Forza Italia.
La polemica politica già si appuntava, con la penna di Carlo Muscetta, su una poesia in cui Rocco piange la morte di un amico assassinato. Ma già nel senso di languore che si intonava misuratamente a una lirica tanto ispirata, secondo Muscetta, affiora il limite del fiato poetico di Rocco. Troppo intimista il pianto per l’amico assassinato. Limite, questo, che si esprimerebbe comprensibilmente con la poesia Pozzanghera nera il 18 aprile. Il 18 aprile è quello del 1948, che vide la sconfitta del fronte democratico popolare costituito dal partito comunista e dal partito socialista, oltre che da altre liste minori. Per Muscetta, riferendosi appunto al senso di languore notato per Ti rubarono a noi come una spiga, riesce comprensibile, perché preso dal panico della sconfitta, che Scotellaro invocasse soccorso a una retorica tutt’altro che contadina e sfociasse in un grido di superficiale veemenza, che nasceva in realtà come avvilito e come sommerso dal trionfo della parte politica avversa. La disperazione di Rocco, scrive Muscetta, era la disperazione di un piccolo borghese, «che eternava in duemila anni la durata di una breve sconfitta episodica» (Oggi e ancora duemila anni / porteremo gli stessi panni. /Noi siamo rimasti la turba / la turba dei pezzenti, / quelli che strappano ai padroni / la maschera coi denti». Si tratta, per Muscetta, di violenze verbali e letterarie. ( E non vale la pena continuare a citare questa critica, su cui ha fatto giustizia il corso ultra sessantennale della storia).
Rocco, in una lettera a Anna Botteri, la sua amica di Parma, del 19 giugno 1948, scrive: «Quelli di “Rinascita” che avevano già quasi accettato “Pozzanghera nera il 18 aprile”, la poesia, credo non l’abbiano più pubblicata. Il concetto della poesia è certamente diverso dalle verve pugilistica di questo periodo. Fa niente».
Muscetta, inoltre, polemizza con la definizione di «Marsigliese contadina» attribuita da Levi alla poesia Sempre nuova è l’alba, che inizia con i versi citati da Arminio, che ho prima ricordato e la cui ultima strofa è incisa sulla tomba di Rocco (Ma nei sentieri non si torna indietro. / Altre ali fuggiranno /dalle paglie della cova / perché lungo il perire dei tempi / l’alba è nuova, è nuova ). Muscetta sembra quasi contrappore la poesia Noi che facciamo? a Sempre nuova è l’alba. In Noi che facciamo? egli sente esprimersi la forza impetuosa dei momenti epici che affiorano alla coscienza più evoluta delle masse, legge un canto bellissimo, pieno di popolare energia. Ma non gli sembra che Rocco andasse oltre, che egli avesse l’animo per innalzarsi a una “ Marsigliese contadina ”. «Una «Marsigliese» non può che esprimere una rivoluzione nella sua fase esplosiva ed espansiva, e come inno politico non può non avere estremamente chiari i motivi ideologici e di classe che guidano un popolo alla lotta in un determinato momento. Sempre nuova è l’alba [ … ] finisce là dove dovrebbe cominciare, dove il giovane poeta, piuttosto che abbandonare il capo a un idilliaco struggimento «lungo il perire dei tempi» avrebbe dovuto svolgere il concetto, rimasto generico e vago, che «nei sentieri non si torna indietro».
Non s’avvede Arminio, che definendo indegna stroncatura il saggio di Napolitano finisce con qualificare indegna la linea politica e culturale del PCI di quel periodo, che io, che non sono mai stato comunista, e quella linea ho sempre avversato, non mi sognerei mai di definire indegna, né di disconoscere con toni liquidatori una grande storia che pure non mi appartiene.
Mi piace chiudere citando gli ultimi righi del saggio sui Contadini del Sud , di tono affatto opposto, e vivo e significativo, dell’ex presidente della Repubblica Antonio Segni, all’epoca ministro della pubblica istruzione nel governo Pella: «Questi contadini rivelatici da Rocco Scotellaro non sono i gretti materialisti definiti da grandi scrittori (Balzac, Maupassant insegnino). Hanno un’anima profonda; i fatti dello spirito costituiscono un elemento fondamentale della loro vita, anche se in forma ingenue, grezze e primitive. Essi sono estremamente sensibili alle qualità spirituali, alla intelligenza, alla bontà, come il fratello di Giustino Fortunato, il dr. R. Mazzarone, esercitano una profonda influenza in queste masse, fondata su motivi essenzialmente spirituali. Quando cesseremo di pensare che anche nei rapporti tra uomini (anche i rapporti produttivi) contino solo i puri calcoli economici, ci avvicineremo di più ad una realistica concezione della vita e dei compiti della società: e questo potrà salvarci dalla terza definitiva catastrofe. Manlio Rossi Doria ha compreso, ha sentito questo amore, che era il fondamento anche dell’opera di Scotellaro, e ne ha curato l’edizione e scritto una profonda prefazione, conforme allo spirito dell’A. scomparso».
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Grazie, é il modo migliore di ricordare Rocco in un centenario in mano ad amministratori inetti. Sono lontano dà Tricarico per qualche periodo e quindi non aggiornato ma credo che qualcosa si fa muovere da parte di Carmelina. Un grande abbraccio per il 25 Aprile in questo tristissimo periodo di disumanità imperante in tutti i campi. Mimmo