di DANILO TAINO – Corriere della Sera 29 dic. 2020

ANGELA MERKEL

Nei giorni della crisi più grande, la «Persona dell’Anno», quella che ha guidato con mente e mano solide il suo Paese (e alcuni altri), non poteva che essere la leader più grande sulla scena globale. Questo titolo, ad Angela Merkel lo si sarebbe potuto assegnare per parecchi dei 15 anni del suo cancellierato. E, in effetti, i riconoscimenti le sono stati dati copiosi, dal 2005. Le manca il Premio Nobel ma chissà…è vicina alla fine della sua carriera politica — è altamente improbabile che si ricandidi alle elezioni tedesche del prossimo autunno anche se molti lo vorrebbero — e quando uscirà di scena saranno proprio i mesi in cui si tireranno le fila per capire quale governante mondiale meglio di altri ha agito durante la pandemia. Frau Merkel non è una santa. Nemmeno in senso strettamente politico. Negli anni in cui ha guidato il governo della Germania ha commesso i suoi errori, come tutti. Ma la leadership che ha messo in campo durante la crisi del virus non può non suscitare ammirazione. Altri primi ministri e presidenti (francamente non molti) se la sono cavata benino di fronte alla Covid-19. Ma solo la cancelliera tedesca ha mostrato lucidità nella gestione della crisi, solo lei ha visto i suoi consensi salire repentinamente e solo Merkel ha ripetuto, come aveva fatto in passato ma ora nella situazione più difficile, l’impresa di tenere assieme gli europei, prima convincendoli a un Recovery Fund massiccio e condiviso e poi mediando una soluzione sulla difesa della democrazia nell’intero continente.

Il 2020 non è di Donald Trump, non è di Xi Jinping e ancor meno è di quegli «uomini forti» che guidano Nazioni a democrazia in recessione: è di Angela Merkel, cancelliera del Paese in cui la democrazia funziona probabilmente meglio che in ogni altro dell’Europa continentale. Dal punto di vista dell’economia europea, la leader tedesca ha fatto un passo che è stato fondamentale nel 2020 e ha la potenzialità di essere decisivo nel 2021 e a più lungo termine. L’idea di condividere a livello di Unione europea il debito da assumere per rispondere alle conseguenze della pandemia e dei lockdown e di distribuire poi i denari tra i 27 Paesi secondo criteri di necessità è fattualmente più di Emmanuel Macron che di Merkel. Ciò che la cancelliera ha fatto è stato di fornire e accendere il motore affinché ciò fosse realizzabile. Innanzitutto, mettendo il peso della Germania dietro al progetto di Recovery Fund in tutte le sue articolazioni: non era scontato, si è trattato di una scelta che diverge dall’approccio tradizionale tedesco all’economia e al rapporto tra membri della Ue; senza quello niente si sarebbe mosso. Il governo tedesco ha potuto spostare la Germania su questa posizione grazie all’autorevolezza della cancelliera nel Paese: autorevolezza accumulata negli anni e molto cresciuta già nelle prime fasi della sua gestione della crisi da virus. La fortuna In secondo luogo — fattore non insignificante — Merkel è una leader fortunata.

Il caso ha voluto che la presidenza di turno della Ue per il secondo semestre del 2020 spettasse alla Germania. Il Paese più rilevante e la leader più credibile hanno quindi avuto la legittimità a guidare il progetto di massiccio sostegno dell’economia continentale (750 miliardi) in congiunzione con la definizione del bilancio settennale, 2021-2027, dell’Unione. Per di più sostenuti a Bruxelles dalla presidente Ursula von der Leyen, per anni collaboratrice di Merkel e suo ministro. L’accordo raggiunto lo scorso luglio è una novità politica di rilievo, fa compiere un balzo in avanti alla Ue, e in economia ha mandato un segnale di solidità alle imprese e ai mercati: tranquillizzante, nella misura del possibile, perché l’Europa ha detto di esserci. La rilevanza del Next Generation Eu è in prospettiva ancora maggiore. Non solo perché ha l’obiettivo di modernizzare le economie per i prossimi anni — impegno da verificare nei risultati — ma anche perché dovrebbe evitare nuove divergenze tra i Paesi della Ue, cioè impedire che i le economie più solide escano dalla crisi prima e meglio delle altre. Qualcosa che farebbe vacillare il mercato unico.

Anche questa positività sarà da verificare e l’esito dipenderà dalla capacità dei governi nazionali di impiegare le risorse europee e di fare le riforme che le dovrebbero accompagnare. Ma l’opportunità è lì. Sotto la minaccia della crisi, Merkel ha insomma guidato l’Europa su strade mai frequentate. Lo ha fatto con il metodo suo proprio che è poi l’unico che nella Ue sembra funzionare: lavorando al compromesso tra i 27 ma sempre un po’ in avanti, come aveva già mostrato di sapere fare nel caso della crisi con Mosca a causa dell’annessione russa della Crimea e durante l’ondata migratoria del 2015-2016. Certo, l’intera economia europea sarebbe in condizioni migliori se negli anni scorsi la cancelliera (come altri leader) avesse compiuto anche altre scelte. Riforme per rendere più aperta ed efficiente la Germania. Lavorato per dare una spinta al completamento del mercato unico sul lato dei servizi. Seguito una politica commerciale più europea e non un rapporto quasi esclusivo con la Cina fondato solo su criteri di business e poco politici. Il fatto è che Merkel guida un Paese che rimane restio a essere leader e vuole avere un’anima più economica che politica. Proprio per questo, però, i risultati non prevedibili che ha ottenuto in questo 2020 sono ancora più apprezzabili. Sono un salto di qualità per la cancelliera stessa. Agli occhi dei tedeschi, nei suoi interventi rigorosi e accorati per parlare del virus, rimane la Mutter del Paese, la solida madre di famiglia. Ma in ore drammatiche ha saputo muovere le forze dell’Europa in una nuova direzione. Per questo Angela Merkel è la Persona dell’Anno 2020.

 

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