Donna Pupa se ne è andata a quasi 102 anni e a 80 di amicizia cordiale stretta costante viva, in continua presenza benché le nostre vite ci abbiano portati a vivere in luoghi lontani. Non abbiamo mai mancato una sola occasione di incontri: a Tricarico, al casino di Malcanale, il luogo a cui sono legati i ricordi più belli delle nostre vite (cioè della vita mia e di mia moglie Titina); a Matera, a Modena, a Ferrara, a Venezia, ai matrimoni dei figli, sui treni. Alla stazione di Bologna, tornando a casa dopo una giornata di lavoro sentivo chiamare: Tonino, Tonino. Era il mio nome da ragazzo, il mio nome rimasto in Lucania, ma non potevo essere io quel Tonino. Invece donna Pupa chiamava proprio me. Lei e il marito, don  Giovanni, andavano a Venezia e stavano prendendo lo stesso mio treno, che prendevo anch’io per tornare a casa dopo una giornata di lavoro. Non scesi a Ferrara e con donna Pupa e don Giovanni proseguii fino a Venezia, da dove tornai ovviamente molto tardi, senza aver potuto informare Titina, perché allora non c’erano i telefonini, giustamente preoccupata.

Negli ultimi anni ci sentivamo immancabilmente al telefono alle Feste comandate, a Natale e a Pasqua, ma era lei a farsi viva ogni tanto, in altri periodi, fresca, giovanile e ironica come sempre. Si lamentava delle figlie: – Mi stanno addosso. Sono asfissianti, si preoccupano di questo e di quest’altro. Ma che vogliono? Io ho solo 97 anni (o 98 o 99, ecc., secondo lo scorrere lento degli anni); sto benissimo e non capiscono che l’età non è una malattia.

La conobbi nel mese di giugno del 1940, qualche anno prima del marito, l’avvocato Giovanni Santoro di Tricarico, don Giovanni appunto. Io ero un imbranatello di paese di 10 anni e lei una bellissima giovane donna di città, Matera. Aveva 21 anni. Mi dette un grandissimo dolore e la odiai come di più non si può odiare, piangendo tutte le lacrime nell’intera quella prima estate di guerra. Da qualche giorno, infatti, Mussolini  aveva dichiarato guerra alla Francia e all’Inghilterra, io a Matera facevo l’esame di ammissione al ginnasio. Un professore, amico di mio padre, lo assicurò che avevo fatto un esamone in tutte le  materie e sarei stato promosso a pieni voti. Invece fui rimandato con 1 in educazione fisica, e sapemmo cha la mia bocciatura l’aveva voluta, insistentemente voluta e imposta proprio donna Pupa.

Ricordando o raccontando quel periodo l’ho sempre chiamata donna Pupa, e così la chiamo ancora ora. Per il rispetto che i lucani della mia generazione avevano e, coloro che sopravvivono, hanno per le persone più grandi, le ho sempre dato il voi, come pure Titina. Inconcepibile, per la nostra cultura ed educazione ricevuta, il passaggio al tu, a nessuno passava per la testa un simile salto confidenziale, anche se la confidenza era diventata tanta, più di una parentela.

Torno alla bocciatura. Per motivi legati a quel tempo travagliato, precedente di qualche mese l’entrata in guerra, fui ritirato dalla scuola e mandato a prendere lezioni private per la preparazione all’esame d’ammissione da un sacerdote di Stigliano, don Rizzo. Fui ben preparato, ma non si pensò alla ginnastica, pratica alla quale il fascismo e il segretario del partito Achille Starace attribuivano grandissima importanza, e alle figure ginniche previste per il programma di educazione fisica di quell’anno. All’esame, non conoscendo quelle figure e incapace di districarmi in quella complicata situazione, rimasi imbambolato come un baccalà imbranato. Donna Pupa, seduta al tavolo della Commissione d’esame, mi intimò di restare fermo. Il mio impaccio crebbe. Quando l’esibizione ginnica fu terminata, il professore di educazione fisica, un certo Apicella, un’autorità essendo vice segretario federale di Matera del partito nazionale fascista, mi chiese di saltare l’asticella posta per il salto in alto: io presi la ricorsa e, giunto davanti all’asticella, mi bloccai, sempre come un baccalà imbranato.

L’amico di mio padre gli raccontò che in sede di giudizio finale ci fu una generale opposizione a che io, avendo superato con alti voti tutte le altre materie, fossi rimandato solo in educazione fisica, ma donna Pupa si oppose come una furia; il professore Apicella, che forse non reggeva al fascino della sua bellissima e giovanissima supplente, non seppe resistere e si impuntò a bocciarmi con un misero 1. Donna Pupa, spiegò l’amico di mio padre, non era neanche membro della commissione d’esame dei maschi. Ella era una supplente del professore Apicella per giudicare l’esibizione delle ragazze, che, secondo la rigida e ipocrita morale fascista, non dovevano esibirsi davanti a esaminatori maschi. Non aveva, dunque, nessun titolo per intromettersi nel giudizio sul mio esame, ma in barba ai ruoli mi fece bocciare.

Qualche anno dopo donna Pupa sposò in seconde nozze don Giovanni. Bellissima. Era una giovanissima vedova di guerra con un bambino. Il primo marito si chiamava Restucci, il bambino Amerigo, in assonanza con lo scopritore dell’America. Amerigo Restucci diventerà un architetto di fama e rettore dell’Università Iuav di Venezia. Una sorella sposò l’avvocato Giovanni Laureano, un altro don Giovanni, avvocato, amministratore pubblico e politico, figlio del farmacista don Pietro.

Dimenticai l’offesa subita e, col favore della mia unione con Titina De Maria, entrai nella cerchia delle sue strette amicizie. Ci vedevamo tutte le sere al “cinema di don Mimì”. A casa dell’avvocato De Maria, don Mimì, padre di Titina, c’era l’unica televisione di Tricarico, in bianco e nero, con un solo canale. La sera gli amici e la gente correvano liberamente a vedere “il cinema di don Mimì”. Il maggiore successo lo riscuoteva Carosello, un programma pubblicitario di veri tormentoni. La maggior parte degli spettatori, specialmente i bambini, visto quello, andavano via.  Calimero, Topo Gigio, l’Omino coi baffi, Miguel… E poi ancoraJo Condor, il Vigile Concilia, Cimabue, La Linea, Grisù… Il tormentone che più piaceva era il brodo Lombardi: “ Non è vero che tutto fa brodo / E’ Lombardi il vero buon brodo”. Devo confessare che, alcuni anni dopo, quasi mi emozionai, comunque fui molto sorpreso quando a Ferrara ricevetti nel mio ufficio proprio il Lombardi del brodo, un omino avvolto in un cappottuccio, che non produceva più brodo, ma saponette.

Donna di grande ironia, donna Pupa, spesso auto-ironia. Don Giovanni, quando si innamorò di lei era fidanzato e dovette disdire il fidanzamento. Non so chi ha detto che i ricordi sono l’elemosina del tempo. Io ho ricevuto l’elemosina di tale disdetta di fidanzamento, perché Titina accompagnò Giuseppina, la nipote di don Giovanni, a casa della fidanzata disdetta, che indico con una lettera dell’alfabeto presa a caso (L), per la restituzione delle lettere e dei regali, mi ha raccontato con quanta cordialità signorilità e grazia furono ricevute e furono loro offerti dolci e bibite. (L) poi sposò un politico, che divenne senatore. Le due coppie si incontrarono a una festa di matrimonio e, salutandosi cordialmente, donna Pupa disse: – Giovanni, pensa: se avessi sposata (L) ora saresti senatore –. Stupendo! Piuttosto che autoironia, direi ironia filosofica.

– Che donna, donna Angelina -, raccontava donna Pupa. Donna Angelina era la madre, che ho conosciuto. – Sette generi per sei figlie femmine. Li ha conquistati tutti lei -.

Erano sei sorelle e un fratello, secondogenito. La primogenita, diventata una bella signorinella, dichiarava la primogenitura e meno anni del fratello nato dopo. Donna Angelina li chiamò e disse: – Mettiamo ordine. Da questo momento il primogenito è lui.

Bellissime e indimenticabili le lunghe estati trascorse ai due casini di De Maria e di Santoro, dove affluivano un sacco di amici. Da Santoro si giocavano interminabili partite a tressette. Una volta don Giovanni, evidentemente ironizzando, propose: – Facciamoci un 500 secco -. Intendeva un tressette senza rivincita vinto da chi avesse realizzato per primo 500 punti.

Si mangiavano uastedde favolose: enormi fette di pane condite con olio, sale, pomodoro, aglio e origano. E racconti, chiacchiere, un po’ di pettegolezzi. Se ci incontravamo nelle passeggiate lungo i viottoli di Malcanale donna Pupa ci diceva: -Venite a mangiare da me -. L’invito ci tentava – erano allegri i pranzi di donna Pupa -, ma eravamo in tanti, il pranzo donna Pupa l’aveva già preparato: come avrebbe potuto dar da magiare anche a noi ? Ci tranquillizzava: – Non vi preoccupate, aggiungo un cucumo d’acqua e mangiamo tutti -. E con quel cucumo d’acqua consumavamo un pasto allegro e abbondante, che ci saziava.

Ora che è morta la nipote Giuseppina Santoro si preoccupò di chiedere alla figlie: – Titina lo sa che è morta Giuseppina ?

Ho ricordato che il tempo ci lascia elemosine. Ma l’amicizia con donna Pupa non vuole elemosine. Quante amicizie ho vissuto nella mia lunga vita. Belle amicizie che mi hanno dato tanto, e si sono perse lungo il corso del tempo. Molto lunga, ma non altrettanto, è stata l’amicizia con Gilberto Marselli, che però ebbe una lunga assenza.

La storia dell’amicizia con donna Pupa è quindi raccontata. A raccontare non la finirei più, ma raccoglierei elemosine. E qui mi fermo … .

 

13 Responses to DONNA PUPA: Storia di un’amicizia lunga quasi un secolo

  1. Angelo Colangelo ha detto:

    Non mi va di commentare, perché ogni commento sciuperebbe la
    meraviglia di questa testimonianza. Dico semplicemente: STUPENDO. Grazie, Angelo

  2. Antonio ha detto:

    Vedete quei bambini? Sono il rettore dell’Università IUAV di Venezia; il direttore dell’Unità operativa di Nefrologia, dialisi e ipertensione del Policlinico bolognese; un procuratore della Repubblica di Milano.
    Io ero innamorato della ragazza seduta al loro fianco.

  3. Monica ha detto:

    Che donna formidabile, ho avuto il piacere di conoscerla negli ultimi anni della sua vita, ma di lei non mi dimenticherò mai. Quanti racconti e quanta forza racchiusa in lei

  4. Monaco Cesare ha detto:

    Grazie carissimo Tonino per questo stupendo racconto della indimenticabile donna Pupa appartenuta ai ricordi della gioventù.E’ stata una Signora senza tempo che ha segnato quel tempo a noi tanto caro.Donna Pupa e la sua stupenda famiglia e’ appartenuta alla storia del nostro paese che non ha mai abbandonato anche se lontana ma sempre presente dell’amata Malcanale. Mia madre aveva una venerazione per Lei avendola sostenuta moralmente con la sua giovialita’ nei momenti di difficoltà. Non e’
    vissuta invano! Ciao Cesare

  5. Maria Viti ha detto:

    Quanto sono preziose, a posteriori, queste elemosine: ci fanno vivere il fascino del tempo passato come in un film degno di Oscar.
    Grazie per questa bella testimonianza in onore di una donna che avrei voluto conoscere!

  6. Amatore Salatino ha detto:

    Poiché le emozioni non hanno confini, da pugliese, in mezzo a tanti egregi lucani, grato e commosso per un racconto sobrio, sincero, umano, di sentita amicizia, mi inserisco anch’io per augurare a tutti voi, amici di Donna Pupa, felicità.

  7. vito molfese potenza ha detto:

    favolosa e bellissima la storia di zia Pupa che ho festeggiato con emozione in occasione dei suoi cento anni.
    Un grande affetto per mia mamma,Titina Santoro che venerava lei e lo zio Giovanni.
    Lei la venera

  8. vito molfese potenza ha detto:

    Favolosa e bellissima la storia di zia Pupa che ho festeggiato con emozione in occasione dei suoi cento anni.
    Un grande affetto per mia mamma, Titina Santoro, che venerava lei e lo zio Giovanni

    • Antonio ha detto:

      Questo intervento ha molto commosso me e Titina, fino alle lacrime. Titina, tua madre, è stata nostra carissima amica e ricordiamo bene quale enerazione avesse per lo zio Giovanni.

  9. Antonio ha detto:

    Donna Pupa è sepolta nel cimitero di Tricarico, che aspetta anche me e Titina. Non abbiamo fretta, a dire il vero, ma …

  10. Maria Paola Langerano ha detto:

    Che donna straordinaria!Il tuo racconto, caro Antonio, la tratteggia vivida anche davanti agli occhi di chi,come me, non ha avuto il privilegio di conoscerla. Così come quei giorni, ricostruiti dalle tue parole nei gesti degli affetti autentici. Grazie per averci concesso il passo tra i tuoi ricordi che trascendono le categorie temporali e che diventano anche un po’ nostri, se riusciamo a riconoscerci.

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