Zia Filomena, a Tricarico, esercitò pubblicamente il mestiere più antico del mondo e venivano anche dai paesi vicini per godere delle sue prestazioni. In Lucania c’erano zia Filomena e le case chiuse di Potenza e Matera; si diceva che ce ne fosse una anche non ricordo dove.

Nel frammento n. 36 del progetto generale dell’Uva puttanella Rocco Scoltellaro annotava: «Zia Filomena, donna pubblica, di cui ho sentito parlare, avrà più di 70 anni, regola il prezzo dei suoi servizi secondo il prezzo del biglietto del cinema, da quando c’è il cinema.  E’ anche possibile un abbonamento, 200 lire un mese di seguito». Rocco ha poi sviluppato questo promemoria nel primo capitolo della parte seconda dell’Uva puttanella.  

Giovanni, prototipo dei giovani addestrati all’amore da zia Filomena, “la faccia di cane buldoc”  e “il naso schiacciato”, gioca ai soldi col merco e a spaccamattoni, e col  guadagno può pagare la tariffa richiesta. Con un suo compagno, Nicola, trascorre una notte d’amore con zia Filomena, e la racconta.          

Il racconto non lo riporto. Consiglio di leggerlo. Racconto solo che i nomi comuni dei due protagonisti e l’icastica descrizione della faccia di Giovanni furono una arguta invenzione di Rocco, che dovette divertirsi molto nel pensarla. A chi lo leggerà consiglio inoltre di dedicare un’altra mezz’ora del proprio tempo e leggere anche gli altri racconti della parte seconda, non per una mia particolare preferenza, ma perché della parte seconda si sta parlando.

     Si leggono altri sei capitoli di racconti di storie locali, alcune leggere, altre segnate profondamente dal tempo drammatico dell’armistizio.  Si raccontano anche l’asta di misere e inservibili cose pignorate dal vecchio usciere di pretura e la ribellione di mastro Innocenzo (II); il suicidio di Pasquale il fuochista (III, pagine terribili e belle, autentiche perle insanguinate incastonate nel romanzo); la misteriosa e tragica vicenda di due fratelli inghiottiti nello spaventoso bombardamento di Potenza (V); la «liberazione» di Tricarico (VI), l’epilogo della vita del padre di Rocco, malinconico e rallegrato dall’arrivo della figlia (Serafina) col marito sottufficiale dell’esercito e il suocero infermiere.  A metà (IV) viene riproposto il rapporto di consanguineità col paese attraverso un’immagine antropomorfica dell’aria, che, quando il paese «è vuoto» e «alzi gli occhi», «ti prende, hai voglia di goderla, di riempirla di te, quella ti prende nelle braccia sue e si sentono le nenie che hai già scritto, esclamano le stesse vacche da Serra del Cedro, ritornano i giorni passati con i fatti che successero e le tinte di allora, i luoghi, la vigna». Uomini e donne conosciuti e conosciute, fatti notti, pezzi di vita lontani nel tempo e cancellati, sotto un velo di polvere. Per quanto possibile e consentito, potrei scostare la povere e fare nomi.   

Gli insignificanti dettagli dati nella storia di zia Filomena stagliarono nitidamente, senza alcun riferimento alla realtà,  la fotografia dei due ragazzi, che nel 1954, quando L’Uva puttanella fu pubblicata, avevano mogli e figli.  

A Tricarico il racconto di zia Filomena venne riletto e riletto, si rise molto e più di tutti se la ridevano i due “addestrati all’amore” da zia Filomena.

Zia Filomena morì. Come racconta Giovanni “Adesso è una schiumarola vecchia”. Ma la testimonianza di Giovanni, creato dalla pungente arguzia di Rocco, non ha valore. È certo che avesse più di 70 anni, come si attesta nel citato appunto. Che si fosse ridotta a vecchia schiumarola o conservasse qualcosa dell’antico fulgore, non lo so.

Dal mio balcone vidi passare il suo funerale non religioso. Seguivano il feretro molte donne,  avevano lo scialle nero sul capo. La pietà l‘ebbe vinta nel vicinato e anche oltre.  

 

3 Responses to Zia Filomena. Una faccia di cane buldoc e il naso schiacciato. La pietà del vicinato.

  1. Langerano Maria Teresa ha detto:

    Riprendendo la frase del racconto “zia Filomena” di Rocco Scotellaro :”La pietà l’ebbe vinta nel vicinato e anche oltre”, si evidenzia il concetto di pietà, di una pietà “laica”: la pietà semplice del vicinato.
    Questo tema fa dialogare Rocco Scotellaro con un altro grande poeta del Novecento: Umberto Saba.
    Nel suo componimento poetico “Città vecchia”, il poeta triestino espone l’idea di pietà che si traduce in solidarietà compassionevole verso gli ultimi, i diseredati, gli emarginati della società.

    Città vecchia
    (………)
    Qui tra la gente che viene che va
    dall’osteria alla casa o al lupanare,
    dove son merci ed uomini il detrito
    di un gran porto di mare,
    io ritrovo, passando, l’infinito
    nell’umiltà.

    Qui prostituta e marinaio, il vecchio
    che bestemmia, la femmina che bega,
    il dragone che siede alla bottega
    del friggitore,
    la tumultuante giovane impazzita
    d’amore,
    sono tutte creature della vita
    e del dolore;
    s’agita in esse, come in me, il Signore.

    Qui degli umili sento in compagnia
    il mio pensiero farsi
    più puro dove più turpe è la via.
    (Umberto Saba)
    Umberto Saba esprime una religiosità che si coglie, negli aspetti più umili della vita: proprio quelli delle donne del vicinato “che seguivano il corteo con lo scialle nero sulla testa”, nel racconto di zia Filomena.

  2. Maria Teresa Langerano ha detto:

    Grazie a te Antonio, che mi fornisci tanti spunti per riflessioni letterarie.

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