QUANDO IL PRIVILEGIO DI ESSERE CONTEMPORANEO DI ROCCO SCOTELLARO SI SARA’ ESTINTO …
La Casa Editrice Mondadori, in un volume della collana Oscar Moderni Baobab, ha pubblicato a giugno del 2019 TUTTE LE OPERE DI ROCCO SCOTELLARO. Un volume di 800 pagine, più un indice di 15, precedute dall’Introduzione del prof. Franco Vitelli di 12 pagine Perché abbiamo bisogno di Scotellaro (V-XVI).
Leggo nell’Introduzione traccia di un conflitto generazionale, che, con la scomparsa della generazione che ha conosciuto Rocco Scotellaro, possa svanire anche la conoscenza del poeta e avverto in questo timore un filo di angoscia e di verità. Ho peraltro la sensazione che la contrapposizione giovani/nostalgici esprima il diverso timore della non accettazione, da parte dei nostalgici, del nuovo corso impresso alle opere di Scotellaro dalle più recenti proposte editoriali: ma questo è un campo sul quale non azzardo di posare il piede.
Se abbiamo ancora bisogno di Scotellaro, la sua poesia non ha bisogno dei suoi contemporanei. Leggiamo – giovani e anziani, a ogni età – le poesie di Scotellaro e ne avremo un godimento spirituale e culturale.
Certo, noi nostalgici (intendendo nostalgico in senso anagrafico identificato in contemporaneo di Rocco Scotellaro) abbiamo quasi tutti lasciato il nostro posto su questa Terra. La nostra “nostalgia” è un privilegio, che sta per rstinguersi.
La nostalgia è il dolore del ritorno: nostos (ritorno) e algos (dolore), che oscilla tra la tristezza, per ciò che abbiamo perduto e non può ritornare, e la pienezza del rivivere, immaginando, ciò che è stato. Ma per rivivere immaginando bisogna tornare a casa. Non a caso la parola fu inventata nel secolo XVII da un medico, che registrò i casi di uno studente e di una cameriera, che soffrivano gravi problemi di salute, che li portarono sul punto di morire. Per ragioni diverse entrambi vennero riportati a casa, per morire in famiglia, ma dove, miracolosamente, entrambi recuperarono una florida salute. Una volta c’erano medici che per debellare forme di depressione e di malinconia consigliavano l’ «aria natia». Casa non sono (solo) le quattro mura in cui sé vissuti, ma è l’infanzia; sono i giochi dell’infanzia e gli amici d’infanzia, che tali restano per tutta la vita, anche se ci si sperde per le strade del mondo e non ci si tiene in contatto; e, quando non ci sono più, il sentimento che ci univa a loro si riversa nei loro figli; la casa è la sorpresa crescente della scoperta del mondo, sono i vicini di casa, il vicinato, la piccola comunità del paese per chi ha avuto la fortuna di nascere in un paese. Un paese è la storia di una piccola comunità in cui si nasce per caso, ma a cui si rimane legati per sempre; anche chi tende a fuggire e a dimenticare, a costruirsi una identità metropolitana o cosmopolita non taglia, non riesce a tagliare il cordone ombelicale. Il proprio paese si abbandona per la crudeltà del destino o per esigenze di vita o per libera scelta o per vocazione, e vuol dire, come scrive Cesare Pavese ne «La luna e i falò», non essere soli, vuol dire sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.
La nostalgia è un sentimento dell’anima. Quando torni, se non trovi la casa, il sentimento perisce. Il vero ritorno, il compimento del nostos, ha luogo e può aver luogo nella realtà stessa della casa abbandonata o persa. Qui è chiaro quanto sia forte il dolore che si soffre quando si desidera tornare a casa e si scopre che quel ritorno è a pieno titolo impossibile.
Quando la generazione dei nostalgici sarà definitivamente tramontata, si esaurirà il privilegio di una generazione, non la poesia di Scotellaro. Con la differenza che i giovani non vedranno lo stesso Scotellaro che hanno conosciuto i suoi contemporanei e forse in modo diverso ma ugualmente intenso godranno la sua vera poesia. A patto che lo leggano, s’intende; e su questo avanzo i miei dubbi.
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Un po’ di tempo fa avevo proposto ad
insegnanti di mia conoscenza di far studiare in classe almeno una poesia di Scotellaro, chiedendo loro di diffondere l’iniziativa tra colleghi. Ho dovuto constatare, con grande tristezza, che la proposta non è stata accolta. Eppure non si tratta di insegnanti giovanissimi. Mi consolo pensando addirittura di avere conoscenti “ignoranti”, sperando che il resto del mondo abbia maggiore conoscenza e sensibilità.
Mi dispiace molto avvalorare i tuoi dubbi circa la volontà dei giovani di leggere ancora le poesie di Scotellaro.
A proposito di paese, dopo la più bella e conosciuta definizione di Cesare Pavese, mi piace ricordare le parole di Francesco Guccini: “Vorrei conoscere l’odore del tuo paese, incontrare le pietre, le strade, gli usci e i ciuffi di parietaria attaccata ai muri”.
Forse hai ragione tu, è una fortuna essere nati in un paese.
Un abbraccio
Senza forese: è una fortuna essere nati in un paese. Un sentimento che non mi è stato inculcato da Franco Arminio.