Sabino CASSESE «IL GOVERNO DEI GIUDICI» – Laterza, pagg. 98, € 12

L’ordine giudiziario ha acquisito un ruolo diverso da quello indicato nella Carta espandendo il proprio potere: la crisi all’interno del CSM
e le contaminazioni con la politica

Gianluigi GATTA, professore ordinario di diritto penale nell’Università degli Studi di Milano (Supplemento domenicale del Sole 24 Ore del 6 marzo 2022)

Con Il governo dei giudici , Sabino Cassese, professore di diritto amministrativo, già giudice costituzionale e ministro della funzione pubblica, offre al grande pubblico una riflessione critica sullo stato di salute della magistratura e della giustizia nel nostro Paese. Si tratta di un contributo autorevole a un dibattito sempre attuale e dalle antiche origini.

Al centro della riflessione è il ruolo che la Costituzione assegna alla magistratura, definendola come «un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere». Ebbene, la tesi di Cassese è che «quello che la Costituzione definisce “ordine” è divenuto “potere”» e che «l’ordine giudiziario ha acquisito un ruolo diverso da quello prefigurato nella Costituzione».

La premessa è rappresentata dalle radici storiche e costituzionali del principio della separazione dei poteri dello Stato – legislativo, esecutivo e giudiziario -, che nella prima parte del volume vengono rievocate. Se la Costituzione definisce la magistratura un “ordine” autonomo e indipendente, dotato di un organo di autogoverno – il Consiglio Superiore della Magistratura –, è perché, prima del XVIII secolo, sono esistiti ordinamenti nei quali «la funzione giudiziaria non era nettamente separata né da quella amministrativa, né da quella normativa». Al superamento di quell’epoca molto contribuì Montesquieu, che nella sua celebre opera (De l’esprit des lois, 1748) pose le basi della separazione dei poteri dello Stato definendo quello giudiziario come un “potere nullo” e i giudici come “la bocca della legge”, che devono limitarsi ad applicare, senza assumere alcun ruolo creativo o di interferenza o supplenza nei confronti del potere legislativo, a sua volta distinto da quello esecutivo. La separazione dei poteri, nella tradizione costituzionale europea, tiene la funzione giudiziaria lontana dal potere politico. La chiave di lettura dell’attualità italiana, scelta da Cassese, è appunto quella della distanza della realtà dall’ideale illuministico. La tesi – esplicitata sin dal titolo del volume – è che tale distanza sia eccessiva, al punto da affermare che «la separazione dei poteri è tradita dall’espansione del potere giudiziario in Italia».

Gli indici di questo tradimento, secondo Cassese, sono plurimi e vengono passati in rassegna senza fare sconti.

Un primo fronte di crisi – il più noto perché messo a nudo da recenti scandali – è interno alla magistratura: il Consiglio Superiore della Magistratura, dal quale in un contesto di «frantumazione correntizia» dipendono le progressioni delle carriere, «è divenuto una stanza di compensazione tra gruppi e persone, invece di operare come strumento di difesa dell’indipendenza». L’autogoverno ha favorito l’«autoreferenzialità», testimoniata, tra l’altro, dai giudizi sistematicamente positivi nelle periodiche valutazioni di professionalità, dalle quali dipendono livelli retributivi di gran lunga superiori a quelli dei magistrati di altri Paesi, nonché da quella che Cassese definisce una «politica malthusiana di reclutamento»: da anni i posti messi a bando non vengono quasi mai coperti all’esito dei lavori di commissioni di concorso che sono presiedute e composte a maggioranza da magistrati.

Un secondo fronte critico riguarda le contaminazioni tra magistratura e potere politico, esecutivo e legislativo; contaminazioni sempre maggiori, che hanno portato la magistratura, afferma Cassese, a far parte della governance nazionale. Quanto al potere esecutivo, il riferimento è in particolare ai “magistrati ministeriali”, collocati fuori ruolo per adempiere a compiti amministrativi, anche di vertice (capi di gabinetto, capi dipartimento, ecc.). «È un ossimoro», secondo Cassese: «se si è magistrati, cioè appartenenti al potere giudiziario, non si può essere ministeriali, cioè parte del potere esecutivo».

Quanto poi al potere legislativo, al profilo, se si vuole nobile, del ruolo crescente della giurisprudenza come fonte del diritto (c.d. diritto giurisprudenziale), si affianca quello del ruolo politico di alcuni magistrati, che passando attraverso “porte girevoli” assumono incarichi come amministratori locali o come parlamentari. Cassese a tal proposito sottolinea un nesso tra il protagonismo e l’esposizione mediatica di alcuni magistrati – spesso pubblici ministeri – e gli sconfinamenti nella politica.

Il paradosso è che, per quanto in crisi, la magistratura è al centro dello spazio pubblico. I sondaggi certificano il calo di fiducia dei cittadini nella magistratura, imputabile in buona misura alla lunghezza dei processi: a inefficienze della funzione giurisdizionale che tradiscono le aspettative dei cittadini nella giustizia, e che le riforme in atto mirano a superare. Eppure, il potere dei giudici è in crescita, nota Cassese, anche per la «debolezza della politica rappresentativa»: il calo della fiducia nei politici è maggiore rispetto a quello che si ripone nei magistrati, che restano comunque al centro della politica, e dei quali non di rado questa si avvale.

In conclusione, il volume delinea, in chiave critica, un orizzonte di problemi che merita una seria riflessione e che proprio in questo momento è al centro del dibattito pubblico.

 

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