Egidio Sproviero ha avuto l’amabilità e mi ha usata la cortesia di condividere un mio scritto a cui ho dato il titolo «L’essenza del levismo e dell’antilevismo». Senza volerlo mi trovo “coinvolto” nella discussione che si è aperta su un intervento di Gaetano Cappelli sulla Gazzetta del Mezzogiorno e che l’amico Sproviero sta documentando. Avevo precedentemente mandato al Dott. Sproviero un saluto da Ferrara in ricordo di un “aperitivo letterario” allo storico Caffè Europa col figlio. Riconosco una certa mia sprovvedutezza, perché quel saluto si occupa dell’intervento dello scrittore potentino: d’abitudine su questioni letterarie et similia non vado oltre un ‘mi piace’ o il far appena appena trapelare che ‘non mi piace’; in questo frangente avevo invece azzardato a tracciare un giudizio di merito. Non volendo, mi aveva preso la mano, una mano storta perché tutto potrebbe interessarmi tranne che l’antilevismo dello scrittore di via Pretoria.

Io, vecchio di 92 anni, ammazzo il tempo – come si dice – raccontanticchiandolo, il mio tempo. Mi sono ficcato in testa che il tempo di ogni essere umano non vada oltre i venticinque/trent’anni; il resto si vive, si costruisce, si fanno amicizie, si hanno figli e nipoti, gioie e dolori, e il tutto, mescolandosi, diventa una gran confusione. Fascismo e antifascismo; guerra e pace; comunismo, anticomunismo e cattocomunismo; democristianesimo e DEMONcristianesimo; Lucania ed Emilia-Romagna. Può bastare. Cala il sipario e ha inizio un nuovo spettacolo per un nuovo pubblico.

Io credo – sono certo – che il tempo passato – il “proprio” tempo passato – esiste in un qualche remotissimo angolo dell’Universo e ho imparato a rifugiarmi in esso; lo vivo come fosse presente e qualche volta ho l’imprudenza di raccontarlo sul mio sito.

Agli inizi del mio tempo c’è stato anche l’antilevismo, uno dei capitoli più tragici e intricati e complessi e, col levismo, più belli della Storia della Lucania, dell’Italia e del mondo. Per prima cosa vidi – nel senso che venni a conoscere il curioso titolo di un libro, Cristo si è fermato a Eboli, da cui il levismo e l’antilevismo sono nati. Vidi il titolo del libro, ma non seppi chi fosse l’Autore. Frequentavo a Potenza il quinto ginnasio, Via Pretoria era tappezzata di manifesti; era caduto il fascismo, si eleggeva l’Assemblea Costituente; mancava allora una regolamentazione dell’uso degli spazi per l’affissione dei manifesti, che sulle pareti non risparmiava neppure lo spazio di un francobollo.

Non mi sfuggirono dei manifestini che annunciavano il discorso dell’Autore di un libro intitolato, appunto, Cristo si è fermato a Ebolii. Un titolo strano, incomprensibile – una bestemmia, una maledizione ?–. Trascurai di leggere il nome dell’Autore ovvero, se l’avessi letto, l’avevo immediatamente radiato dalla mente. Rimase il titolo del libro, come un martelletto che picchiava il cervello. Cristo si è fermato a Eboli, che vuol dire? e perché proprio a Eboli e non a Battipaglia che avrebbe avuto più senso?

Seppi solo dopo che l’Autore si chiamava Carlo Levi, era un socialcomunista del Nord confinato – esiliato si diceva allora – a Grassano. Aliano o Galliano non era neppure nominato.

Cristo si è fermato a Eboli è un libro che parla male di noi. Arrivato a Eboli, Cristo si è fermato e non è voluto venire tra noi.  Questo dice il libro. E’ così semplice, così chiaro. E ora questo Tizio viene a chiedere i nostri voti per andare eletto all’Assemblea Costituente – con che coraggio? con quale faccia tosta? A fare che all’Assemblea Costituente? A cancellarci dalla Carta geografica, è chiaro.
Questa era l’aria.

Saputo che questo Carlo Levi avrebbe fatto un comizio a Tricarico – un sabato o una domenica – colsi l’occasione per un breve ritorno a casa. Don Rocco Mazzarone mi spiegò che questo libro non era come si pensava che fosse. Come non credere a don Rocco ? Bisognava leggerlo il libro, ma non era facile allora trovare un libro e comperarlo. Comunque, pur senza leggerlo credetti a don Rocco, e poi a Rocco Scotellaro, e feci  all’istante il salto dall’antilevismo al levismo.

Ho raccontato altre volte sul mio sito il comizio di Levi a Tricarico e l’inizio di una amicizia, la più bella, la più grande e profonda amicizia a cui abbia mai avuto la fortuna o l’avventura – non so come dire – di assistere.

Bisognava però non mostrarla tanto questa fortuna. Frequentavo il liceo ad Amalfi. Il professore di Italiano era un lucano, ma non aveva letto il libro, a Salerno non si trovava e solo a lui potetti confidare che il libro era bello, anche se forse non l’avevo ancora letto. La maggioranza dei convittori eravamo lucani, a tutti saliva il sangue agli occhi solo a sentire un accenno al libro. Due compagni erano addirittura di Aliano e avevano conosciuto Levi quando scontava la pena del confino. Uno, che ben conosce il mio amico Angelo Colangelo, non aveva particolare animosità, ma forse addirittura una inconscia simpatia: aveva posato con altri bambini per un quadro che Levi dipingeva. L’altro era nipote di don Luigi, il personaggio di maggiore rilievo del Cristo si è fermato a Eboli, podestà e segretario del fascio di Aliano, quello che ha dato il nome ai luigini contrapposti ai contadini. Don Luigi Garambone, psedonimo leviano: Magalone. Quest’altro mio compagno era figlio della sorella di don Luigi, donna dal polso fermo e il pugno forte, quella che dava la linea al potente fratello.

Eravamo sotto esami quando venne a trovarmi in convitto Rocco Scotellaro. Il nipote di don Luigi mi voleva sbranare, dopo Levi quel Senzadio di Rocco Scotellaro, mi rinfacciava, era il peggiore nemico della Lucania.

Diceva che lo zio avesse scritto un libro intitolato Un cretino si è fermato ad Aliano. Di questo libro non si è mai saputo nulla, se fu scritto o no, forse fu scritto, perché il nipote mostrava di saperne molto a memoria. Io ho conosciuto di persona don Luigi, nonostante la differenza di età e la deferenza che i lucani avevano per le persone anziane, forse avrei potuto chiedergli se avesse veramente scritto il libro. Ma non ho mai osato, con don Luigi non ho mai osato parlare del suo tempo.

Una caratteristica comune rappresentava gli antilevisti: non solo non avevano letto il Cristo, ma non l’avevano neppure preso in mano o visto.

Il libro di testo di Letteratura Italiana al Liceo era il Compendio storico della Letteratura Italiana di Natalino Sapegno. Del Cristo si è fermato a Eboli sul Compendio è scritto semplicemente: Un libro veramente bello, Cristo si è fermato a Eboli, del pittore torinese Carlo Levi. Il grande critico letterario aveva piantato il seme del levismo. Il seme è germogliato e ha riempito le Biblioteche di tutto il Mondo. Se anche rese Carlo Levi “immensamente ricco”, lo scrittore di via Pretoria se ne faccia una ragione.

 

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