PREMESSA

L’argomento della presidenza del consiglio di Emilio Colombo è trattato come appendice nel senso che l’argomento non fu trattato nel corso del Seminario di studi su Emilio Colombo. Protagonista della storia italiana ed europea del Novecento del 9 dicembre del 2019. Autore dell’Appendice è Luigi Giorgi, membro della Società italiana per lo studio della storia contemporanea (Sissco). Luigi Giorgi attualmente lavora presso l’Istituto Luigi Sturzo, in qualità di Coordinatore delle attività culturali. Ha scritto diversi saggi e monografie sulle vicende del cattolicesimo democratico e dell’Italia contemporanea.

Sette note che segnano l’Appendice sono state omesse in questo post trattandosi dell’indicazione di meri rinvii. E’ riportata la prima nota che definisce il periodo tragico e tormentato per lo Stato italiano non meno che per la DC, in cui Emilio Colombo assunse la guida del governo. Eccola: “In luglio a Reggio Calabria iniziò la rivolta contro la decisione di collocare il capoluogo della Regione a Catanzaro, che si prolungherà fino al febbraio 1971. Sempre in luglio il consiglio del Comando della rivoluzione libica emanò una legge che impose, con decorrenza immediata, l’espulsione degli italiani residenti nel Paese e la confisca dei loro beni”.

APPENDICE

Emilio Colombo è stato uno dei padri della Repubblica e uno dei maggiori sostenitori del percorso di Unione europea. Uomo delle istituzioni, impegnato in vari incarichi di governo, ha rappresentato la Democrazia cristiana ai massimi livelli. Sotto la guida di statisti come Alcide De Gasperi, egli ha iniziato la sua attività politica nazionale già all’Assemblea costituente nelle file della Dc.

Fu più volte ministro con responsabilità che spaziarono dalle materie economiche agli affari esteri. Ricoprì diversi e prestigiosi incarichi europei. Si spese per la stabilizzazione e il rafforzamento economico del nostro settore produttivo e della nostra moneta di allora, nonché nella costruzione di un assetto internazionale ed europeo che si avviasse verso un percorso di pace e collaborazione fra i vari stati. In particolar modo visse come principale l’ispirazione europeista nella tensione continua all’unificazione politica dell’Europa.

Fu Presidente del Consiglio dei Ministri dal 6 agosto 1970 al 17 febbraio 1972 in un periodo tragico e tormentato per lo Stato italiano non meno che perla Dc. Nelle comunicazioni alla Camera del 10 agosto, all’atto di chiedere la fiducia, si possono cogliere alcuni punti focali della sua azione generale.

L’intervento si apriva con un riferimento alla situazione internazionale, che veniva svincolata dalla semplice rappresentanza degli interessi nazionali e inquadrata nella più ampia convergenza di interessi comuni. All’interno di tale scenario collocava provvedimenti economici che garantissero stabilità. E il perseguimento del rispetto (profondo, affermò) delle Assemblee parlamentari come istituzioni fondamentali, sia per gli equilibri politici che sociali:

Il tema della stabilità interna – disse – ci richiama alle condizioni politiche ed economiche del nostro paese ed a ciò che, rispetto ad esse, vuole essere il Governo che ho l’onore di presiedere e che oggi si presenta al Parlamento per chiedere la fiducia, con sentimento di profondo rispetto.

Si rendeva conto, altresì, che il Paese aveva bisogno di una crescita “ordinata” in grado, disse, di incanalare la vitalità delle richieste di cambiamento. Tali esigenze potevano rappresentare un momento di crescita collettiva soltanto se declinate, socialmente e politicamente, attraverso il sistema parlamentare-rappresentativo come disegnato dalla Costituzione. Non si poteva operare: «per vie esterne, scavalcando le sedi istituzionali di decisione e di controllo, o premendo su queste nel tentativo di imporre un proprio particolare punto di vista››.

Risultava, quindi, basilare al fine di accompagnare la riforma del sistema non solo politico, ma sociale, di un paese in mutamento, l’esigenza di rendere più efficiente il centrosinistra, portandolo oltre il significato, come disse, di “schieramento cerniera”. La collaborazione organica, espressa dal centrosinistra, acquisiva una maggiore importanza nel momento in cui si impegnava nella difesa della democrazia: «della libertà e della legalità democratica da ogni tentazione eversiva››

Contro la violenza, il governo si schierava senza tentennamenti. Allo stesso tempo intendeva impegnarsi in una pacificazione degli animi. A una debolezza della libertà, e delle libertà, che poteva aprire varchi a deviazioni dal carattere autoritario, si doveva opporre la costruzione di un sistema che unisse libertà e forza: «Non abbiamo altro avvenire che una libertà capace di difendersi››

Il metodo migliore anche in questo connubio, che poteva apparire un ossimoro, era, affermò, partire dalla libertà, sempre e comunque. E ciò si poteva sviluppare secondo una nuova percezione del quadro complessivo. Al cui interno andavano comprese le dinamiche della piazza, nonché dello stesso senso della democrazia e dello Stato come istituzioni ed enti comunque perfettibili:

Dobbiamo abituarci a distinguere, come è giusto in una democrazia moderna, in un paese industrialmente avanzato, ciò che è fisiologico da ciò che è patologico. Non si può vedere in ogni manifestazione un fatto eversivo, ma non si può vedere neppure in ogni intervento dell’autorità un fatto repressivo. Dobbiamo uscire da questi automatismi che tolgono ogni spazio e ogni confronto sereno, che radicalizzano i comportamenti, che avvelenano i rapporti, che sfociano inevitabilmente nello scontro.

Dopo aver esposto una serie di provvedimenti economici e sociali, passava ad affrontare, di nuovo, la politica estera che interpellava il nostro paese come forza europea e mediterranea, soprattutto con la questione libica. Esprimendosi nell’ambito di quella vicenda ribadiva la necessità di una valorizzazione delle Nazioni unite e del ruolo europeo. Avvertiva, inoltre, come la sua generazione dovesse, rispetto alla questione europea, rinnovare il linguaggio e: «rifiutare le formule che prima esprimevano una realtà ed aiutavano a comprenderla, ma che oggi, com’è normale, se ne sono allontanate››.

L’intervento di Colombo rappresenta quindi, al di là dello specifico legato alla contingenza del momento, una testimonianza che concorre a comprendere il sostrato politico, culturale e spirituale su cui la sua azione si è poggiata.

Egli mostrava estrema attenzione alle forme, politico-istituzionali, della democrazia, come metodo e sostanza, pur nel cambiamento di paradigmi generali. Collocava, inoltre, questa riflessione, nelle compatibilità nazionali, attraverso la rimodulazione, e il rafforzamento, dell’istituto parlamentare come elemento di partecipazione e garanzia del libero confronto. Il quale poteva svolgersi soltanto attraverso la centralità della libertà sia come diritto inalienabile della persona sia come espressione dell’ordinamento statale e delle forme del dibattitto politico. Aspetti, questi, che vivevano nella loro dinamicità.

In uno scambio vicendevole, senza sterili supremazie, fra Stato e società civile, fra volontà di cambiamento e necessità di garantire questa richiesta nel rispetto più ampio delle regole. Queste ultime intese secondo una concezione di autorità che individuava, sempre, come primum, la libertas. In ciò l’Europa diveniva protagonista come manifestazione politica, sempre più unitaria, di un nuovo equilibrio, anche formale, strutturato oltre il semplice dato economico. In modo da favorire, il più possibile, la partecipazione dei cittadini, e del Parlamento, ai percorsi decisionali comunitari.

Emilio Colombo immaginava, quindi, una politica che si svolgesse secondo il crisma della libertà, e pertanto della persona; dell’equilibrio, inteso in senso dinamico e organico, in grado di ridefinire il perimetro del discorso pubblico, e privato, attraverso nuove pratiche, nuovi diritti e doveri, e un lessico rinnovato e adeguato. Un insieme di valori e ideali, di pratica politica e di governo (interna e internazionale) che riveste un indubbio interesse e che solleva ancor più la necessità di approfondire e ampliare gli studi sul politico lucano. Così come è emerso, e compare, dal novero delle relazioni di quella giornata di dicembre e che qui l’Istituto Sturzo ripropone nel quadro della sua opera di valorizzazione e promozione della cultura democratica del nostro paese e del cattolicesimo italiano ed europeo. Un percorso inteso non come semplice pratica erudita ma come materia “viva” sulla quale costruire prospettive e politiche future. Soprattutto in questi tempi di crisi.

 

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