Domenico Langerano è rimasto quasi impressionato da un semplice fatto che ho riferito in calce al racconto «Sulle tracce di un caro fantasma»di Angelo Colangelo. Il fatto è il seguente: un giovane napoletano, volontario nella guerra civile spagnola, viene dato per morto in combattimento. Alcuni anni dopo (1942) lo si ritrova combattente sul fronte russo tra le fila dell’esercito sovietico; fatto prigioniero e riconosciuto, viene fucilato e alla sua famiglia viene revocata la pensione, comprese le rate arretrate. Il fatto qui comincia e qui finisce, e questo ristretto recinto rimane impenetrabile a qualsiasi ricerca ideal-realistica. Domenico Langerano, il caro amico Mimmo, auspica che Angelo (o io stesso) facciamo questa ricerca e pubblichiamo il risultato su questo blog.

Consiglio al caro amico Mimmo di leggere o rileggere il libro di Ruggero Zangrandi Il lungo viaggio attraverso il fascismo: una lettura che può essere utile anche oggi, perché il viaggio continua ancora e affronta alcune questioni centrali nella riflessione politica attuale. Per consolarlo gli racconterò un altro fatto incredibile che si svolge in un recinto aperto. Io non rileggo il suddetto libro da almeno una cinquantina di anni, avendolo letto e riletto non meno di una dozzina di volte e conservando un vivo ricordo. Non lo riprendo (ancora) in mano, perché salire una scala per raggiungerlo me lo vietano le mie articolazioni malandate e riassumo il contenuto aiutandomi con scritti telematici.

Il volume parla del ruolo che, secondo l’autore, avrebbero dovuto avere gli intellettuali durante il fascismo, per orientare in senso democratico la generazione dei giovani, quelli nati tra gli anni Dieci e Venti del Novecento, che, non avendo esempi, punti di riferimento, sostegni di alcun genere, furono largamente fascisti e non trovarono maestri che li aiutassero a comprendere. Questa tesi di fondo accompagna la riflessione di Ruggero Zangrandi, classe 1915, che ci narra la sua vita di giovane studente, trasferitosi a Roma da Milano a frequentare il Liceo classico Tasso, dove dal 1929 diventa compagno di banco e amico di Vittorio Mussolini, figlio del duce, e frequenta la casa del duce, villa Torlonia.

Zangrandi, che ama la scrittura e il giornalismo, racconta nella prima parte del libro come divenne collaboratore del giornale Il Popolo d’Italia fondato da Benito Mussolini, con una serie di corsivi polemici sugli aspetti più controversi e grotteschi della cultura dominante, pensando che nel fascismo ci fosse un tarlo, un’incongruenza che ne minasse le radici innovative, un difetto che con la critica serrata si poteva eliminare per riportarlo alle origini rivoluzionarie. Benito Mussolini ha occhi aperti e lascia credere che siano suoi alcuni pezzi del giovane Zangrandi pubblicati senza firma sul suo giornale.

A Zangrandi il fascismo sembrava una sorta di melting pot dove convivevano idee e posizioni diverse. Con una critica serrata di certe scelte del regime, esso si sarebbe liberato dagli aspetti più reazionari. Così Zangrandi criticò il Futurismo, giudicato un movimento letterario che, dietro le apparenze, era sostanzialmente conservatore e promosse il movimento del Novismo, che doveva sprovincializzare la retorica fascista.

Nel volume Zangrandi racconta le sue lunghe e tormentate discussioni con un gruppo di amici, combattuti, come lui stesso afferma, “tra un moto spontaneo, generoso, perfino entusiasta di attrazione verso il fascismo (definito fascismo universale, del quale faceva parte anche Vittorio Mussolini) e il sospetto (o solo la sensazione) che ci fosse qualcosa che non andava”. Permane in molti di loro l’idea che il contributo critico che i giovani potevano dare avrebbe indirizzato in senso progressivo la politica di Mussolini.

Sulla conquista dell’impero in Africa orientale i giovani inquieti condividono la lettura che ne fa il regime come di una grande azione di liberazione dei popoli neri asserviti da spietati rais locali. Va ricordato en passant che non tutti i giovani italiani furono persuasi dalla propaganda fascista. Ilio Barontini, Domenico Rolla e Anton Ukmar, che da triestino sloveno aveva conosciuto la campagna di feroce repressione che il fascismo aveva condotto contro gli slavi al confine orientale, andarono in Etiopia per dare man forte ai ribelli, combattendo al loro fianco con risultati così apprezzabili che Barontini fu nominato vice imperatore da Hailé Selassié.

Dopo la metà degli anni Trenta, il salto. Zangrandi ha come una fulminazione: – Ma noi siamo comunisti -, esclama e crea un “partito socialista rivoluzionario” insieme a Carlo Cassola, Paolo Alatri, Ugo Mursia, Bruno Zevi ed altri, e si spende per diffondere in tutta Italia la sua organizzazione. Ma essa oscilla ancora – par di capire – tra un rifiuto del fascismo e una sua accettazione critica: ancora si è confusi, dubbiosi, diffidenti. In sintesi, è la guerra a spazzare ogni dubbio e a traghettare Zangrandi all’antifascismo. Fatto prigioniero nel 1942, è deportato e incarcerato in Germania, e ritorna in maniera rocambolesca a Roma nell’agosto 1945.

La seconda parte del volume è una dettagliata e impietosa enumerazione degli intellettuali che aderirono al fascismo, talvolta per ambizione personale, per amor di quieto vivere o per gusto della piaggeria. Impressionanti sono le attestazioni di fedeltà al regime che vennero tributate da personalità della cultura che, per il loro prestigio, non sarebbero mai state represse e a cui il regime non chiese nulla. Essi spontaneamente e senza costrizioni fecero dichiarazioni di stima e fedeltà a Mussolini. Nel lungo elenco Zangrandi nomina tantissimi personaggi del giornalismo, della politica, della letteratura, della magistratura e dell’esercito. Mette in evidenza le contraddizioni di un filosofo come Benedetto Croce, considerato anche da Renzo De Felice il faro della libertà, il quale votò la fiducia al governo quindici giorni dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti. Zangrandi non risparmia Giuseppe Ungaretti, Carlo Emilio Gadda, Giacomo Debenedetti, Salvatore Quasimodo, Ruggedro Orlando, , Anna Banti, Ennio Flaiano, Emilio Cecchi, Vitaliano Brancati. In questa parte del volume Zangrandi usa tutta la sua ironia per descrivere un mondo culturale che per eccesso di zelo si diede da fare per dare legittimità alle imprese del regime, con diverse responsabilità, ma senza sottrarsi neppure all’approvazione delle tesi razziste e antisemite, come successe a Giudo Piovene. Zangrandi ci fornisce dei sapidi ritratti biografici dei cedimenti ideologici di tanti colti, cui non risparmia frecciate al curaro. Al lettore non sfugge che questi intellettuali transitarono poi nella Repubblica, conservando ruoli di opinion makers, come successe a Indro Montanelli.

Ho gran voglia di leggere i lunghi elenchi in calce al volume e trovare nomi che mai ti saresti aspettato e persino alcuni che dopo divennero miei amici.

L’autore ricorda anche chi si oppose al regime, spesso persone che rinunciarono o abbandonarono la loro carriera o furono esuli come Gaetano Salvemini, Guglielmo Ferrero, Barbara Allason, Guido De Ruggero, ma anche insegnanti, persone meno in vista, che per la loro non adesione furono del tutto emarginati.

Qui risiede uno dei punti deboli del discorso generale di Zangrandi, ossia che ci fu la solitudine della sua generazione, giacché, come egli stesso scrive, ci fu chi si oppose al regime e quindi che scelte diverse non erano del tutto precluse o sconosciute.

Un aspetto interessante da considerare è la ricezione del libro di Zangrandi nel dopoguerra. Pubblicato per la prima volta nel 1947 ricevette molte critiche anche da una parte del PCI, cui l’autore si era iscritto. La volontà di Zangrandi era quella di recuperare alla democrazia quelli che erano stati fascisti, perché non avevano conosciuto altra ideologia. Criminalizzarli, emarginarli, non cercare di comprendere le loro scelte sarebbe stato esiziale per il paese e avrebbe consegnato un grande numero di loro a partiti come la Democrazia Cristiana o addirittura il Movimento Sociale Italiano. Pietro Secchia era contrario all’operazione di recupero che Zangrandi proponeva, Palmiro Togliatti al contrario la appoggiò, facendolo diventare un “professionista della memoria” degli ex fascisti transitati poi nell’Italia repubblicana. Togliatti riteneva che l’opera di reinserimento e di dialogo con chi era stato dalla parte opposta della barricata fosse indispensabile per la tenuta del Paese. Non si poteva “rifare l’Italia con dieci o ventimila persone”, come voleva Secchia, ma bisognava che il PCI si aprisse anche a chi era stato fedele a Mussolini ed era in seguito approdato all’antifascismo e alla Resistenza.

A questo punto si possono fare alcune schematiche osservazioni. Intanto bisognerebbe interrogarsi sull’importanza che viene ancor oggi attribuita al ceto degli intellettuali, senza comprendere che molti di essi erano e sono gli ingranaggi principali del consenso alle diverse forme di potere e non detengono alcuno statuto speciale che li differenzi dagli altri cittadini. Quando scelgono politicamente lo fanno in base a determinate convinzioni che sono proprie anche di altri strati sociali. La cultura non è sempre uno strumento di critica, se un intellettuale soggettivamente non lo vuole. Inoltre, certamente acuire le lacerazioni post-belliche non avrebbe consentito la ripresa del paese. Il problema è che poi il tema del consenso di massa, del ruolo degli intellettuali, del peso che certi loro originali convincimenti potevano aver avuto nella produzione o negli orientamenti successivi è stato davvero poco indagato e il lavacro di una intera classe dirigente ha impedito di analizzare compiutamente il fascismo. L’approfondimento è rimasto appannaggio di una ristretta cerchia di intellettuali motivati, senza diventare coscienza civile diffusa.

All’amico Mimmo, che reputo certamente invogliato a leggere o rileggere Il lungo viaggio, faccio dono dell’annunciata storia. Chi ascolta questa storia vedrà due giovani percorrere in solitaria il loro viaggio attraverso il fascismo. Non si conoscono, non hanno nulla in comune e tutto diverso. Di uno di loro mi fu detto da alcuni amici. Di lui non so quasi niente, neppure il nome, che mi fu fatto ma ho dimenticato. Forse era ligure, ma non sono sicuro. Tipo strano, astruso, impenetrabile, contraddittorio – contraddittorio per insondabile coerenza. Ripeto e sottolineo: contraddittorio per insondabile coerenza. Costui fu ammesso alla Scuola Normale di Pisa. La Scuola ha natura “residenziale e collegiale” In questa breve definizione la Scuola individua la vita collegiale come caratteristica specifica del modello formativo della Normale. La collegialità non è solo un’efficace soluzione logistica ma anche una opportunità per agevolare lo sviluppo di uno spiccato senso di comunità, il confronto precoce con la ricerca – grazie al contatto con i colleghi più anziani, i ricercatori e i docenti – e la maturazione di esperienze e competenze interdisciplinari. La Scuola è a costo zero per i suoi allievi. Le tasse riversate all’Università di Pisa sono rimborsate  per intero dalla Scuola che, inoltre, sostiene le spese di studio dei suoi allievi del Corso ordinario con un piccolo contributo mensile. Inoltre, nel corso degli anni di studio, gli allievi usufruiscono: dell’alloggio gratuito (stanza singola con bagno presso uno dei collegi per tutta la durata della carriera accademica, del vitto gratuito presso la mensa della Scuola, e di altri significativi benefici.) Alla Scuola si accedeva dopo il superamento di un concorso altamente selettivo, con prove scritte e orali, a partenza zero: né il voto di maturità,  né altri titoli pregressi contavano ai fini della valutazione. Una volta divenuto allievo, lo studente normalista si impegnava  a seguire gli insegnamenti interni alla Normale e i corrispondenti corsi di studio dell’Università degli Studi di Pisa. Affrontava dunque due percorsi formativi paralleli e complementari, uno all’interno della Scuola, l’altro presso l’Università, con l’obbligo di mantenere una media di voti annuale almeno del 27, con nessun voto inferiore a 24.

Io ho conosciuto tre studenti normalisti che avevano fatto parte della Scuola qando la frequentava anche la persona di cui sto parlando. Uno è stato il mio professore di latino e greco al liceo (che non fece mai cenno a questa persona) e due carissimi amici straordinariamente eruditi e colti, dai quali ho molto ricevuto per la mia formazione culturale e civile. Cito due nomi che fecero parte dello stesso gruppo studentesco a diversi livelli di anzianità per dare un’idea del livello della Scuola: Alessandro Natta, che succederà a Enrico Berlinguer quale segretario nazionale del PCI e Azeglio Ciampi.

Introdotto anche per gli studenti della Scuola Normale il giuramento che impegnava sostanzialmente all’adesione al regime fascista, la persona di cui si tratta, studente della Normale, fu il solo che rifiutò di giurare e dovette lasciare la Scuola, rinunciando al prestigio e ai vantaggi di cui ho detto. Non ci fu nessun altro.

Quando gli eventi politici e bellici precipitarono, la persona di cui si tratta si arruolò nell’esercito Graziani della repubblica sociale italiana. I miei amici ex normalisti non furono in grado di spiegarmi e di spiegare a loro stessi i motivi di questa scelta incomprensibile e incredibile. Il loro ex collega non si era convertito al fascismo con una inversione a U, non aveva cambiato idea, ripudiava il fascismo, ma si era arruolato nell’esercito fascista di Graziani per gli stessi motivi di coerenza per cui aveva rifiutato il giuramento di fedeltà al fascismo. Niente è stato mai così grave e – la parola è stata profondamente meditata -, così stupido. Eppure, pur così grave e così stupida, i miei amici ritenevano meritevole di rispetto la scelta del loro ex collega. Chi può comprendere fino in fondo il mistero di quell’infelice e sciagurato periodo della nostra vita? Eppure sono in tanti a non vedere che il viaggio sta ancora continuando.

 

3 Responses to Il lungo viaggio attraverso il fascismo … e quel che continua

  1. domenico langerano ha detto:

    Carissimo,
    sempre spiazzante: é un indovinello?
    L’ignoto giovane napoletano passa dall’anticomunismo all’antifascismo e lo fa nel furore e fors’anche nel terrore delle armi, pagando un caro prezzo.
    L’ignoto intellettuale citato nel secondo caso, pur partendo dalla lodevole intenzione di purgare il fascismo da dentro, non so se solo negli aspetti ‘colti’, quindi ‘indolori’, si va poi ad arruolare nelle armi della repubblica di Salò che certamente non presupponevano azioni ‘indolori’.
    Non so chi sia quest’ultimo cambiacasacca, termine che uso per intenderci, non per per offesa o disprezzo ai nostri due uomini, perché anche nel secondo caso non credo che si sia trattata di una scelta fatta per snobismo, ma forse con sofferta decisione perché lo andava ad immergere nel fragore di armi vere e, tra l’altro, schierandosi da una parte che volgeva alla sconfitta.
    Caro Antonio, a parte la curiosità che mi hai ‘solleticata’, condivido appieno la tua riflesssione finale che non limita incomprensione di questi comportamenti a quell’infelice e sciagurato periodo vissuto dai nostri due ignoti, ma che il viaggio sta ancora continuando e le tentazioni di scivolare verso il decisionismo e l’autoritarismo che la vita odierna ci obbliga di vivere sono moltissime e qualcuno all’amo ha già abboccato, sotto questo aspetto la vittoria dei moderati americani sulla pazzia trumpiana spero riaccenda in molti la fiducia in un futuro non più rosso o roseo ma almeno sereno o quanto meno non molto complicato.
    Mi sento di poter dire al ‘collega normalista’ da indovinare che, come chiosi tu, il viaggio sta ancora continuando, anzi mi accogo che sta peggiorando perché la nostra è ormai la bandiera del nulla
    la mia…..
    è la bandiera della pace su facebook

    li ho risolti con la bandiera della pace sulla mia pagina di facebook

  2. domenico langerano ha detto:

    Caro Antonio, l’ultimo rigo riguardava il modo con cui ho risolto i miei dubbi o inquetudini personali che …. forse non dovevansi spiattellare non essedo ruscito a cancellare.
    Dai! che questa ironia finale e dozzinale merita la tua risata come augurio per una buona notte
    Mimmo

    • Antonio ha detto:

      Caro Mimmo,
      Secondo me il napoletano fu semplicemente una vittima del suo tempo e delle circostanze che lo coinvolsero nelle due guerre; dell’ex normalista potrebbe dirci qualcosa un colto psichiatra altamente specializzato. Natta, per esempio, e tanti non nutrivano fiducia nel fascismo e giurarono perché il rifiuto non sarebbe servito a nulla, sarebbe stato addirittura dannoso.
      Il passaggio della Basilicata alla zone arancione ci ha sconvolti.

      Buona notte,Antonio

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