Il titolo del libro, del quale l’autore -Nicola GARDINI, professore di Letteratura italiana e comparata presso l’Università di Oxford – anticipa alcuni temi su Il Sole 24 Ore, Domenica 15 novembre 2020 , è IL LIBRO E’ QUELLA COSA, Garzanti, Milano, pagg. 112, € 4,90.

Stringiamo tra indice e pollice un mazzetto di pagine, spingiamo in dentro con l’indice, solleviamo appena la falange del pollice, e le pagine si mettono a correre una dietro l’altra, ricadendo via via di là, e la corsa è la sola cosa che si vede; e l’una è già l’altra. Frrrr… Prendiamo ancora un mazzetto. Frrrr… Frrrr…

Che cos’è questa cosa chiamata libro? Tenendolo in mano, riceviamo, sfioriamo, afferriamo, tentiamo, palpiamo… Neanche si può cominciare a dire quanti gesti importanti compiamo quando teniamo in mano un libro. Ci scriviamo sopra! Appuntiamo la data d’acquisto e il nostro nome. Qua e là vi distribuiamo pensieri, commenti, punti esclamativi, numeri di telefono. Tiriamo linee sotto quello che ci piace, con la matita o con la penna, a mano libera o con il righello, per il lungo e per il largo. Magari componiamo un verso; una frase che non vorremmo dimenticare. Facciamo un disegnino. Un libro conserva le cose. È come la terra. Un giorno, riaprendolo, troviamo non solo i nostri segni, ma anche biglietti del tram, una cartolina, una carta d’imbarco, una banconota, un granello di sabbia, un’impronta tondeggiante di caffè. E quel vecchio foglietto chi sa più che cosa riporti. Neanche ricordiamo da quanti anni si trovi là dentro. E là dentro sarà bene che resti, dove solo può ancora significare.

Quasi tutti gli oggetti della casa servono a qualcosa: la sedia a sedersi, la pentola a cucinare, il bicchiere a bere e così via. Si dirà che il libro serve a leggere e, se non si legge, non serve a nulla, perché la sua funzione principale – leggere – non viene svolta. Sbagliato. Un libro non serve. Agisce. Agisce anche fermo, anche chiuso, anche immobile. Anzitutto ci ricorda sempre che deve essere letto, se non l’abbiamo ancora letto. Una pentola, invece, non ci ricorda che deve essere usata per cucinare, né un bicchiere che dobbiamo usarlo per bere. Il libro che si deve ancora leggere ci sta davanti con una promessa e con un rimprovero; e poi, se non ci decidiamo mai a leggerlo, con un rimpianto. E quel rimpianto non è piccolo, perché assomiglia agli altri nostri rimpianti e li simboleggia tutti. Al tempo stesso, però, poiché è una sineddoche, li riassume e li racchiude, come in un cassetto, e dunque ci protegge dalla troppa pena. Certi libri non li vogliamo proprio aprire, perché il rimpianto ci piace. Nessuno è contento solo di una vita.

Che cos’è questa cosa chiamata libro? È cosa da comprare. E che cosa succede quando si compra un libro? Crediamo – o meglio pretendiamo di credere – che lì dentro troveremo qualcosa. E con questa certezza torniamo a casa. La certezza è anche un’altra: che un libro è l’unica cosa che non minacci di toglierci nulla. Sarebbe bello fare un gioco: entrare in una libreria bendati e uscirne carichi di acquisti. A casa porli sui ripiani. Soltanto allora togliersi la benda. Non si hanno mai troppi libri. E se cominciamo a pensare che ne abbiamo troppi, qualcosa sta cominciando a non funzionare nella nostra testa. È come pensare che abbiamo troppi ricordi, troppi sentimenti, troppa vita. I libri, non bastando mai, sono lì a dichiarare ininterrottamente la nostra insufficienza. Non siamo mai “troppo” vivi. Ci vogliono più gioia, più dolore, più meraviglia. Un nuovo libro che ci portiamo a casa risponde a questo bisogno. Non sto dicendo che la lettura di quel libro ci regalerà un pezzo di vita (certo, lo farà). Sto dicendo che quel libro è già di per sé un pezzo di vita.

Noi non sappiamo mai con certezza che cosa succeda fuori di casa nostra. Compriamo un libro e un po’ di quel che sta fuori ci diventa familiare. Comprare un libro è come dire al mondo: entra, sta’ con noi, come se questa fosse casa tua. Mi fido di te, qualunque cosa tu dica. È una presenza, il libro. Che lo vogliamo o no, non possiamo ignorarlo, quand’anche non arrivassimo mai a leggerne nemmeno una pagina. Adesso è parte della nostra realtà. A volte si nasconde, poi ricompare, poi va a sistemarsi insieme agli altri. Ecco una bella immagine di società! I libri, ritrovandosi nello stesso luogo, aspirano al contatto reciproco più completo. Creano catene. E se un libro lo stacchiamo un poco dal vicino, si piegherà di lato; vorrà aderirgli, come un corpo innamorato.

Certi libri rimangono sullo scaffale anni e anni prima che ci decidiamo ad aprirli. Perché li abbiamo comprati allora, se non avevamo tutto quel bisogno di leggerli? Li abbiamo comprati perché sentivamo di doverli leggere. Tuttavia, il pensiero di dover leggere una cosa – pensiero nobile e generoso – non si traduce immediatamente in lettura, neppure quando il libro è nostro. Intanto, comunque, il libro c’è. Il libro si legge per noi; il libro legge sé stesso. È un po’ come mettere un disco sul piatto, farlo partire e abbassare completamente il volume: la musica suona, non si sente. C’è una bella differenza tra l’avere in casa un libro che si legge da solo e il non poterlo leggere perché non lo si possiede! Quante cose succedono in quel libro chiuso, in quel silenzio musicale! I nostri libri sono una casa infinita, infinibile; sono la vera casa, i cui muri non smettono di riformarsi, di spostarsi, di creare nuove stanze. Sono una grande metafora, fatta di molte metafore. Guardiamoli, i nostri libri. Si aprono, si chiudono, si tirano fuori dalla fila, si ripongono, hanno tante forme. Stanno in piedi o distesi. Chiusi sono parallelepipedi, chiusi e visti dall’alto sono rettangoli (di rado un quadrato), aperti e visti di fronte, all’altezza degli occhi, gabbiani e, se le pagine non si dividono su due lati come due bande di capelli (tipico dei dizionari e dei libri che hanno pagine molto sottili), fanno un semicerchio di raggi.

Alcuni non li riapriremo mai più. Sono quelli che pronunciano la metafora più potente. Ci dicono che nella nostra biblioteca è già in scena la fine. Di questo non si può dubitare, soprattutto quando la biblioteca ne contiene molti (ma succede anche con pochi). Allo stesso modo molte persone che conosciamo non le rivedremo più, per quanto di ciò siamo inconsapevoli. Per fortuna in nessun momento della nostra vita ci è dato sapere quanto di noi e degli altri è già finito. La biblioteca di casa è il luogo in cui la fine è visibile, in cui non è solo ipotesi o assenza. Nella biblioteca di casa l’irrevocabile, però, anziché esser perduto, occupa spazio esattamente come quello che continua. La biblioteca di casa è tutto il tempo del mondo.

 

One Response to Nei libri di casa c’è l’infinito

  1. Rachele ha detto:

    … e poi ho pensato a Fahrenheit 451(oddio!) e ai libri finti decorativi (doppio oddio!).

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