A proposito del pittore Pietro Antonio Ferro
Su proposta di Vittorio Sgarbi, presidente della fondazione Ferrara Arte, a unanimità la giunta comunale di Ferrara e il consiglio di amministrazione del teatro comunale hanno scelto Moni Ovadia quale direttore del teatro.
Moni Ovadia, intellettuale di origine ebraica impegnato da sempre nel mondo della sinistra, un vero simbolo tra battaglie civili e esperienze politiche del mondo progressista, sembra quanto di più distante dalla giunta leghista della città estense e la sua scelta ha lasciato a bocca aperta il mondo della cultura e della politica. La tradizione culturale di Ferrara è sicuramente una lunga e ricca storia, densa di personalità di primo piano. Ma nondimeno la nomina di Ovadia, che ha più volte attaccato pubblicamente il segretario del Carroccio, Matteo Salvini, accusandolo di “sparare c…”, oppure definendo la Lega “terreno fertile per il fascismo” è stata un vero colpo di scena.
Ovadia, l’11 dicembre, rivolge un «grazie all’amministrazione e a Sgarbi che hanno fatto questa scelta così libera e fuori da ogni conformismo»”, dichiara la sua intenzione di portare “il Mondo a Ferrara e Ferrara nel mondo” e puntualizza che “nonostante i sessant’anni di militanza tra le file della sinistra (pur senza avere una tessera), sono sempre rimasto libero nel segno della cultura”. L’operazione di designazione di Ovadia, sottolinea, viene da un suggerimento «dell’amico» Vittorio Sgarbi, presidente di Ferrara Arte con il quale «mi dovrei scannare in qualche salotto televisivo – ironizza – ma questo è un compito che lascio fare a lui».
La cultura, oltre l’ideologia. “La politica – prosegue l’artista – naturalmente divide, così come la religione. L’elemento che invece traccia il profilo identitario di una nazione, a maggior ragione dell’Italia, è proprio la cultura. La cultura che unisce e che arricchisce tutti, seppur da diverse prospettive”.
Fiorenzo Baratelli, direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara, indirizza a Moni Ovadia una ‘lettera aperta’ pubblicata sul quotidiano Ferrara Italia, che al momento in cui scrivo ha avuto 1291 visualizzazioni e 14 commenti. Fiorenzo è una carissimo amico da una vita e la nostra amicizia, cresciuta nel rapporto tra un comunista e un democratico cristiano, è stata ed è per me molto arricchente: nello spirito di questa amicizia posso testimoniare che la filosofia, la letteratura, la storia e la bella politica sono le sue passioni e lui mi ha inviato una copia della ‘lettera aperta’, che ho letto prima che sul giornale. La riporto:
Caro Moni Ovadia, mi rivolgo a te con il ‘tu’ perché ti conosco da una vita. Non personalmente, ma attraverso la tua opera. Ti ho sempre stimato come uomo di teatro, come autore di testi e per il tuo coraggio nel sostenere valori e posizioni controcorrente. Insomma, nel campo dell’intellettualità di sinistra hai svolto una funzione di pungolo e anticonformismo che ho sempre apprezzato.
Questa che ti scrivo è una lettera difficile e schietta, come dovrebbe piacerti se ti ho giudicato bene nei decenni. Do per scontato il rispetto della libertà di scelta che è sacro per ciascuno. Forse, meno scontata è la libertà di dirsi apertamente come la pensiamo sulle scelte che hanno un evidente significato pubblico ed etico-culturale. Nella storia travagliata della sinistra (storica e non) si è sempre interpretato il dissenso in termini schematicamente drammatici: o come ‘tradimento’, o come l’anticipazione di una innovazione non capita dai più.
La tua decisione di accettare la proposta di nuovo direttore del teatro Comunale di Ferrara per me non è né l’una, né l’altra cosa. Semplicemente la considero un errore. Vedremo cosa ci riserverà il futuro, ma già ho notato alcune contraddizioni nel muovere i tuoi primi passi pubblici che stridono rispetto alla tua storia pubblica di decenni. Partiamo dall’autore di questa mossa, indubbiamente intelligente dal suo punto di vista: Vittorio Sgarbi. Leggo queste righe in una tua intervista ad un quotidiano cittadino: “Spesso sono in disaccordo con le posizioni di Sgarbi, quasi un anarco-delirio libertario. Al contempo è un uomo d’eccezione di grandissima cultura, tanto libero quanto eccentrico, con amicizie trasversali. E’ un intellettuale spericolato e sperimentale, cosa che mi piace.” A parte la rituale e obsoleta formula retorica di denunciare dissensi avuti con una persona guardandosi bene dall’indicarne almeno uno preciso, ti rivolgo subito una domanda che riguarda un ‘dissenso’ che dovresti esprimere qui e ora. Il ‘libertario’ Sgarbi ti ha chiesto pubblicamente di muoverti in ambito teatrale e di evitare di fare politica. Non ho letto una tua pronta risposta contro questa intimazione.
E’ vero che la cultura deve aiutare a superare ogni steccato ideologico, ma non a cancellare un valore fondamentale scritto nel suo dna: la libertà di opinione. Di conseguenza ti rivolgo un’altra domanda. Se Sgarbi terrà fede nel portare avanti la sua opera di riabilitazione dello squadrista fascista Italo Balbo, fino a chiedere di intitolargli una via, tu sarai libero di dire pubblicamente forte e chiaro il tuo no come si ricava dalla tua coerente biografia di ebreo antifascista? Un’ultima osservazione su un dettaglio significativo. Ho letto che alla presentazione pubblica della tua nomina hai ringraziato il sindaco e il vicesindaco. Conosci qualcosa delle gesta e delle dichiarazioni fatte in varie circostanze dal vicesindaco Nicola Lodi? Se ti fossi informato, forse avresti ringraziato solo il sindaco. O ti interessa solo la parte che il vicesindaco ha avuto nella tua nomina? Bè, una visuale un po’ ristretta, non ti pare? Certamente bene in sintonia con lo ‘spirito del tempo’ di individualismo assoluto che, in tante occasioni, hai efficacemente criticato con una critica culturale efficace e corrosiva.
Insomma, caro Moni, il vice sindaco Lodi sta alla cultura come il sottoscritto alla conoscenza della fisica nucleare. E non mi riferisco alla cultura intesa come erudizione, ma nel suo profondo significato di rispetto, tolleranza, inclusione, apertura ed empatia verso l’altro.
Sinceramente ti auguro buon lavoro nel campo in cui sei stato nominato. E sono sicuro che le idee e le capacità non ti mancano. Sono meno sicuro che tu possa permetterti di comportarti da persona e cittadino libero di esprimere le proprie opinioni su tutto ciò che riguarda la vita della polis. Ma come insegnava il nostro Gramsci, che cosa diventa la cultura se la separi dalla vita della città e della comunità in cui operi? A cosa si riduce la cultura se, nel rispetto dell’avversario, si inibisce una funzione di civile conflitto aperto e acceso delle idee e delle visioni del mondo?
Lo so che sono considerazioni pesanti, ma conosco questa destra e non posso tacere i miei dubbi e le mie inquietudini.
Con immutata stima e affetto.
La vicenda ha un indubbio rilievo e interesse. Tuttavia ne parlo in un blog di bagatelle e cammei tricaricesi perché ha richiamato alla mia mente un evento tricaricese del quale si è perso il ricordo ed è invece bene rimettere in luce. Anche dell’evento tricaricese è protagonista Vittorio Sgarbi. La regione Basilicata – e ha fatto bene – ha speso molte energie (soldi) nella valorizzazione culturale dei beni immateriali, tangibili e intangibili della regione. Un anno l’intervento della regione si diresse sulla figura e l’opera di Pietro Antonio Ferro, pittore di origini lucane ma di formazione extraregionale, che dominò il panorama artistico della Basilicata tra la fine del XVI e il primo trentennio del XVII secolo con un gran numero di opere dal taglio controriformistico, concentrate nelle diocesi di Tricarico e di Acerenza-Matera, e realizzate in circa quarant’anni, associando a sé un discreto numero di aiuti. Di lui si conoscono pochissimi dati biografici. Un documento del 1601 lo dichiara “de terra Ferrandina” e un altro del 1622 “pictor de Tricarico“, città dove aveva la sua bottega di pittore. Si era formato a Roma, assimilando la cultura artistica del cantiere della Biblioteca Sistina e dei grandi artisti dell’epoca attraverso una serie di incisioni delle loro opere prodotte da fiamminghi e tedeschi (Hans Van Aachen, Cornelis Cort, Egidio Sadeler), che acquistava nei periodici ritorni nella città pontificia. In un’epoca artisticamente feconda per la Basilicata. Le sue pitture si possono ammirare in molti centri lucani, ma soprattutto a Tricarico, dove realizzò i due preziosi cicli di affreschi nella Cappella del Crocifisso (1611) e nella chiesa di S. Maria del Carmine (1612), oltre a varie tele oggi custodite nel duomo e nel Museo diocesano. Per questo intervento furono stanziati e ovviamente pagati 9.000 euro. Il comune di Tricarico affidò l’incarico a Sgarbi, il quale si recò due volte a Tricarico. Una prima volta giunse a Tricarico dopo la mezzanotte e si recò a visitare le pitture di Ferro nella cappella del Crocifisso e nelle chiese del Carmine e di Santa Chiara. Di quella visita notturna si può trovare qualche fotografia su FB, grazie all’instancabile impegno di Michele De Grazia di documentare con la sua macchina fotografica ogni evento tricaricese. Tornò a Tricarico una successiva sera e dalla cappella di San Pancrazio parlò senz’altro del pittore Ferro. Non faccio ironia. Tranne qualcuno che l’accompagnò nella visita notturna, non si trova a Tricarico nessuno che ricordi cosa disse Sgarbi, né si trova, ed esiste, un suo qualsiasi documento sull’opera del pittore. Ho telefonato ad amici e nessuno ricordava l’evento e, invitato a forzare la memoria, non ricordava di che cosa avesse parlato Sgarbi. A chi voglia sapere qualcosa del pittore Ferro consiglio di consultare il saggio di Carmela Biscaglia e Sabrina Lauria «Tricarico: arte storia e architettura» e di fare ricerche su internet. Inutile accanirsi nella ricerca di un contributo di Vittorio Sgarbi.
5 Responses to A proposito del pittore Pietro Antonio Ferro
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Una scelta clamorosa, che suscita in me sensazioni strane e sentimenti contraddittori. Non riesco a commentare l’inziativa.
Comunque, colgo l’occasione per augurare buone feste natalizie a tutti gli amici del blog di Rabatana. Auspico con tutto il cuore che si riesca tutti a recuperare la serenità perduta.
Angelo Clangelo
Caro Angelo, L’incarico a Moni Ovadia di direttore del teatro comunale di Ferrara e l’incarico conferito a Vittorio Sgarbi per far conoscere l’opera del pittore Pietro Antonio Ferro sono racconti kafkiani. Quando un giovane impiegato si trova un mattino trasformato in uno scarafaggio, la metamorfosi viene accettata senza discussione, la vita può continuare persino con un grosso insetto in casa. Così è anche Il processo: vicende completamente assurde non destano la meraviglia di nessuno. Tutti sono sempre impassibili, lo scarto della vita normale non viene rilevato, non si è visto. E non si vede. Buon Natale.
Sinceramente penso che il giudizio su Moni Ovadia possa essere dato solo nel momento in cui lo avremo visto all’opera in questa nuova veste. Prima mi sembra un pregiudizio. Il teatro, è un bene comune della cittadinanza che ne fruisce e non un bene personale di chi nomina i direttori .Ritengo che Ovadia abbia fatto bene ad accettare l’incarico proprio in un’ottica di servizio alla cultura del luogo, indipendentemente dalle astuzie di chi lo ha nominato.
Invece sulla vicenda Sgarbi- Ferri pittore mi sembra che la scorciatoia di usare Sgarbi per dare notorietà Pietro Antonio Ferri da parte della Amministrazione comunale di Tricarico , si sia rivelata per quello che è: una ingenua e grossolana pseudo iniziativa culturale, che scambia la serietà ,dello studio per una una storiografia di un artista con uno spot pubblicitario, in questo caso targato Sgarbi. Avrebbero fatto bene ad utilizzare i 9000 euri per finanziare un dottorato di ricerca o una tesi di laurea di qualche giovane del luogo. Avrebbero ricavato informazioni, valutazioni storiografiche e preziose informazioni da utilizzare per autentiche iniziative culturali. E certamente non per fare oscuri comizi. A beneficio del territorio, dei cittadini e della cultura.
Antonio Carbone: chi? Sapere chi ha commentato è importante per capire e ben rispondere.
sono Tonino, purtroppo l’omoninia dei Carbone ..è irrisolvibile