Dedalo, Bari, pagg. 256, € 17

Sono tanti gli illustri scienziati degli ultimi duecento anni originari del Mezzogiorno d’Italia: uomini e donne la cui genialità ha rivoluzionato le sorti della ricerca e ha contribuito alla costruzione di un patrimonio scientifico che va sempre ricordato e valorizzato. Questo è il tema del volume intitolato “Mezzogiorno di Scienza ritratti d’autore di grandi scienziati del Sud” edito da Dedalo, curato da Pietro Greco, giornalista e scrittore, recentemente scomparso, socio fondatore della Fondazione Idis – Città della Scienza di Napoli.

L’intento è far osservare il Sud da un angolo particolare, quello della scienza e degli scienziati.  Da Renato Dulbecco a Ettore Majorana, da Renato Caccioppoli a Maria Bakunin: nel libro sono narrate le storie di 14 luminari nati nel Mezzogiorno tra Settecento e Novecento che hanno svolto attività scientifica in maniera brillante. E a raccontare le loro storie, salvo una sola eccezione, sono comunicatori di scienza a loro volta meridionali.

Il supplemento della Domenico dal Sole 24 Ore di oggi, 31 gennaio 2021, presenta un articolo di Vincenzo Barone (vincenzo.barone@uniupo.it )
intitolato «Ritratti di scienziati – Le grandi menti del Mezzogiorno fuori dagli stereopiti», che riporto.

« Si può associare la scienza a un luogo (una nazione, un’area geografica, una città)? Se per «scienza» si intende il sapere scientifico, la risposta è evidentemente negativa. Ma la scienza è anche un’attività umana, un’impresa collettiva, situata nella storia e nella geografia, frutto del lavoro di donne e uomini che, pur producendo conoscenze universalmente valide, operano in un determinato milieu sociale, culturale e istituzionale, e con esso interagiscono. Ci sono scienziati il cui pensiero e la cui opera non sarebbero stati gli stessi in un contesto diverso; e scienziati che con la propria ricerca e la propria azione intellettuale hanno inciso in maniera profonda e duratura sull’ambiente in cui vivevano. È in questo senso che si può legittimamente e proficuamente parlare di «scienziati del Sud», come fa Mezzogiorno di scienza, una bella galleria di ritratti d’autore di scienziati meridionali curata da Pietro Greco per le edizioni Dedalo.

La scomparsa di Greco, scrittore scientifico acuto e maestro di giornalismo, avvenuta improvvisamente nel dicembre scorso, è stata l’ennesima grave perdita subita dalla cultura italiana nel 2020. Qui voglio ricordare soprattutto l’attenzione che egli ha sempre rivolto ai vari aspetti del rapporto scienza–società, e le sue competenti e profonde riflessioni in merito, che rimangono un solido punto di riferimento in mezzo a tanto superficiale chiacchiericcio. Si può riallacciare a questo tema anche il libro di cui stiamo parlando, che si propone – come scrive Greco – di «osservare il Sud da un angolo particolare», non consueto: quello di alcuni scienziati nati nel Mezzogiorno, che «hanno saputo legare strettamente le loro terre e la loro attività all’Italia, all’Europa e al resto del mondo», dimostrando che la scienza può essere un potente «collante culturale» e uno strumento di modernizzazione, a dispetto di pesanti carenze istituzionali (fino a un secolo fa, tanto per dire, delle venti università italiane solo quattro erano collocate al Sud – tre in Sicilia e una a Napoli).

Un diffuso luogo comune vuole che la cultura del nostro Meridione sia stata – con rare eccezioni, esauritesi nel Settecento – prevalentemente libresca, idealizzante e coltivata da eruditi solitari. Le quattordici brevi biografie contenute in Mezzogiorno di scienza – che coprono un intervallo di due secoli, dal naturalista e medico napoletano Domenico Cirillo, impiccato nel 1799 per aver partecipato alla Repubblica Partenopea, al leccese Ennio De Giorgi (1928-1996), una delle più grandi menti matematiche del secondo Novecento e instancabile attivista per i diritti umani – mostrano quanto questa immagine sia infondata.

Ciò che caratterizza quasi tutte le figure ritratte nel libro, in effetti, è il connubio tra una ricerca di altissimo livello e un forte impegno civile e politico. Si pensi, ad esempio, al palermitano Stanislao Cannizzaro (1826-1910), tra i fondatori della chimica moderna con la sua teoria atomica e molecolare, condannato a morte dai Borbone per la partecipazione ai moti rivoluzionari siciliani del 1848, esule in Francia, poi professore a Genova e a Palermo (dove fu nominato Commissario per la Sanità pubblica in occasione dell’epidemia di colera del 1866), infine cattedratico a Roma, dove divenne Senatore del Regno, si occupò di riforma dell’insegnamento universitario e creò una scuola da cui sarebbero usciti i principali chimici italiani della generazione seguente.

C’è un altro elemento comune a molti dei protagonisti del libro, anch’esso lontano dagli stereotipi: l’interesse per le applicazioni pratiche e industriali della scienza, combinato in non pochi casi con una notevole capacità organizzativa. Per fare solo qualche nome, ricordiamo il matematico siciliano Mauro Picone (1885-1977), che all’Università di Napoli, tra le due guerre, istituì con un finanziamento privato un centro di calcolo numerico, spostato poi a Roma, dove diventò l’attuale Istituto Nazionale per le Applicazioni del Calcolo, e la chimica napoletana Marussia Bakunin (1873-1960), figlia dell’anarchico Michail e prima scienziata ammessa ai Lincei, che, accanto a importanti ricerche di base, condusse studi applicativi di grande rilievo per l’epoca, come quelli riguardanti la produzione di cellulosa dalla paglia, in cui coinvolse il suo giovane collaboratore Francesco Giordani, destinato a diventare presidente dell’IRI negli anni del fascismo e del CNR nel dopoguerra.

Rimanendo in tema, non si possono dimenticare due straordinari organizzatori della ricerca come il palermitano Domenico Marotta (1886-1974) e il napoletano Felice Ippolito (1915-1997). Il primo fece dell’Istituto Superiore della Sanità, che diresse a lungo, un centro di eccellenza nel campo delle scienze biomediche, portandovi, con una vera e propria operazione di «chiamata dei cervelli», scienziati del calibro di Ernst Boris Chain (Nobel nel 1945) e dei coniugi Daniel Bovet (Nobel nel 1957) e Filomena Nitti; il secondo, in qualità di segretario generale del Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (poi CNEN), fu il protagonista della stagione del nucleare civile italiano tra gli anni ’50 e ’60. Entrambi troppo dinamici e troppo poco controllabili per non attirarsi le inimicizie di un mondo politico ottuso; ed entrambi, non a caso, coinvolti in assurdi casi giudiziari che hanno fatto malauguratamente storia.

Perché interessarsi di scienza e di scienziati del Sud? – si chiede Greco. E risponde: «La società democratica e l’economia solidale della conoscenza sono uno dei pochi – se non l’unico – strumento che ha oggi il Mezzogiorno d’Italia per uscire fuori dalle sue rinnovate difficoltà». Su questa strada l’esempio delle grandi figure del recente passato è prezioso. Eduardo Caianiello (1921-1993), fisico teorico napoletano di fama internazionale e vulcanico promotore di ricerche e di iniziative culturali, indicava chiaramente gli ostacoli da superare: la burocrazia da «impero ottomano» (così la definiva), la cronica incertezza sui tempi, il conservatorismo accademico, l’illusione di incassare direttamente i risultati tecnologici trascurando la ricerca fondamentale. La sfida, a ben pensarci, non riguarda solo il Sud, ma l’intera nazione. »

 

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