100 anni fa, l’8 febbraio 1921, nasceva LEONARDO SCIASCIA
Leonardo Sciascia, Il filologo della realtà di Salvatore Silvano NIGRO
( Copertine di libri a cura di Rabatana )
Leonardo Sciascia è scrittore di coltivata razionalità indagatrice. E si rivela filologo della realtà socio-politica. Ha esercitato la sua «scienza» sul tema forte dell’amministrazione della giustizia e sulla ricostruzione critica della «verità» attraverso gli indizi anche più sottili. Il talento investigativo ha fatto di Sciascia un detective, e lo ha posto nella discendenza degli investigatori letterari amati e studiati, di ognuno dei quali ha rilevato un hobby: se il sergente Cuff inventato da Wilkie Collins nel romanzo La pietra lunare coltiva rose, «Nero Wolfe costosamente coltiverà orchidee», ha scritto, «e se Sherlock Holmes suona il violino, altri avrà la passione per la letteratura e le porcellane cinesi, per i libri rari o i pesci tropicali». Sciascia, per sua stessa ammissione, si riconosceva l’hobby dell’editoria. E altri ne ha praticati con diletto. È stato un amatore di stampe, un appassionato di critica d’arte, di cinema e fotografia, un bibliofilo. Queste passioni collaterali sono ora, nell’occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore (nato l’8 gennaio del 1921), all’attenzione della critica.
Negli anni giovanili Sciascia ha aspirato a lavorare per il cinema come regista, soggettista e sceneggiatore. E anche come critico cinematografico. Quando era ancora studente a Caltanissetta spediva a un suo compagno di Racalmuto «cartoline illustrate con i volti dei divi del cinema, da Charles Farrell a Marta Eggerth» e gli confidava: «mi raffermo … nella mia ipotesi di essere infallibile in fatto di cinematografo». La notizia e il documento inedito si trovano nel libro di Salvatore Picone e Gigi Restivo, Dalle parti di Leonardo Sciascia (prefazione di Gaetano Savatteri), Zolfo editore: si tratta di una originale, ricca e suggestiva biografia dello scrittore raccontata attraverso i luoghi nei quali visse o che visitò; e attraverso l’incidenza che questa topografia, a partire da Racalmuto, Caltanissetta, Palermo, ha avuto sulla sua produzione letteraria.
Adelphi pubblica un libretto prezioso: Leonardo Sciascia, Questo non è un racconto. Scritti per il cinema e sul cinema, ottimamente curato, come sempre, da Paolo Squillacioti. Nel 1987 Sciascia scrisse: «Ormai il cinema mi annoia, ci vado soltanto per vedere i films di Fellini: non più, dunque, di una volta ogni anno. Ma fin verso il 1960, a partire dagli anni del cinema muto, di films ne ho visti tanti: spesso due in una giornata».
Nella raccolta adelphiana di scritti inediti o dispersi leggiamo due soggetti per films mai realizzati (uno approntato per Carlo Lizzani, l’altro per Lina Wertmüller»), entrambi su due donne che si scontrano in Sicilia con l’omertà mafiosa: «Due figure di donna», commenta Squillacioti, «che dovrebbero far riflettere chi continua a sostenere la tesi della scarsa attenzione di Sciascia per i personaggi femminili». Un terzo scritto non è un «racconto», dice Sciascia, non è un «soggetto», e neppure un «saggio». È una «discussione su un soggetto», per un film ambientato negli Stati Uniti del 1925, tra proibizionismo e gangsterismo, che Sergio Leone abbandonò. Al miglior saggismo di Sciascia appartengono le cronachette sul cinema, piene di vivacità, arguzia, ironia: «I… censori sono ancora abbarbicati al nudo (s’intende per coprirlo): ben lontani da quella elementare saggezza che, in materia, propone invece di largheggiare nel nudo, appunto, per farne passare la voglia». Le osservazioni metodologiche di Sciascia sono illuminanti: «Per quei rari e fuggevoli contatti che abbiamo avuto col mondo del cinema, a noi appare sempre miracoloso il fatto che un film riesca a venire fuori – ottimo o mediocre che sia – da quel caos che è il lavoro di preparazione letteraria, il lavoro che vien fatto sul soggetto e da cui vien fuori la sceneggiatura o trattamento che dir si voglia … La verità è che l’autore del film è il regista, e soltanto lui sa quel che un film sarà, soltanto in lui è, coerente ed unitaria, l’idea del film: e soggetto e sceneggiatura non hanno più importanza di quanta ne abbia un qualsiasi e meccanico strumento di lavoro». Non mancano i giudizi taglienti sugli stereotipi che il cinema di ambientazione siciliana continua a divulgare. E ci sono poi, nel libro, dei ritratti in morte (di Gary Cooper e di Buster Keaton) che sono brevi, e tuttavia valgono quanto interi saggi. A non parlare delle pagine dedicate all’amato Mosjoukine.
Uno studio approfondito sugli scritti d’arte di Sciascia, e sulla sua passione per le stampe e le fotografie, è il bel libro di Giuseppe Cipolla, Ai posteri felici . Leonardo Sciascia e le arti visive. Un caleidoscopio critico (prefazione di Gianni Carlo Sciolla), Edizioni Caracol. Va subito detto che Sciascia non si considerava un collezionista ma un amateur d’estampes: «Non ho del collezionista», scriveva, «né il criterio né l’ordine. Non mi importa nulla della catalogazione, stati, biffature, firme». Aveva un approccio «da bibliofilo», dice Cipolla che allega una nota di Vincenzo Consolo: «Sciascia amava il disegno, le gravures, acqueforti e puntesecche, che, con il loro segno nero si potevano accostare alla scrittura, erano anzi per lui un’altra affascinante forma di scrittura, simile allo scrivere che è “imprevedibile quanto il vivere”». Negli scritti d’arte di Sciascia, siano essi saggi, articoli, presentazioni, «la scelta di una pronuncia sull’arte sfuma nella stessa dimensione traspositiva della letteratura». L’osservazione è di Cipolla. Il giovane studioso analizza gli scritti di Sciascia relativi alla cultura figurativa siciliana procedendo dalla Sicilia antica e moderna, per arrivare all’Ottocento e Novecento. Non tralascia le illustrazioni di copertina che Sciascia scelse per i suoi libri, passa in rassegna i quadri che si narrativizzano nei suoi romanzi, recupera all’attenzione gli scritti militanti sull’incuria e la dispersione dei beni culturali. Si occupa anche dello Sciascia editore che, in quanto direttore della rivista «Galleria», contribuì a costruire numeri monografici su vari artisti.
Un contributo all’arricchimento degli studi su Sciascia editore ci viene offerto da un saggio di Antonio Resta e Raffaele Ruggiero, Belfagor ti aspetta sempre, nel nuovo numero della rivista «Todomodo» della Olschki: «I redattori di “Belfagor”… hanno ascoltato in modo diverso … l’aneddoto dei primi rapporti tra Leonardo Sciacia e Carlo Ferdinando Russo, rapporti di committenza editoriale per una traduzione italiana del romanzo di David Herbert Lawrence, Lady Chatterley’s Lover. In particolare, quando qualcuno evocava la necessità di dedicare a Sciascia uno dei Ritratti critici contemporanei, il direttore Carlo Ferdinando Russo diceva sempre: -Sì ma occorre trovare il collaboratore giusto: sapete, io per Sciascia ho perfino lavorato-. E subito raccontava della traduzione del romanzo commissionatagli da Leonardo Sciascia (che, pur giovanissimo, era in rapporto con personalità e organi culturali, specialmente di Caltanissetta)».
L’editore Aragno ha riproposto due saggi sciasciani contenuti nel libro Dossier Italia, vol. I (Saggi siciliani) di Nino Borsellino, critico di sapiente eleganza: uno dei maggiori del secolo scorso. Borsellino pone Sciascia tra Manzoni e Pirandello. Specifica però: «Forse meglio che “Sciascia tra Manzoni e Pirandello” si dovrà dire “con Manzoni e Pirandello” perché lo scrittore non indugia al bivio di due strade, la lombarda e la siciliana, anzi le congiunge. Può sembrare paradossale. Da una parte il relativismo pirandelliano, dall’altra la verità che si cala nella storia per un atto di fede che tuttavia non è certezza ma ricerca di certezza ovvero, stando a Dante, certezza delle cose non provate».
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