Una storia affascinante come un fumetto di Hugo Pratt racconta in una quarantina di pagine questo libretto che non si riesce a non leggere: Stalin in Italia  ovvero Bepi del Giasso, per le edizioni «Ogni uomo è tutti gli uomini» di Bologna. Il nome delle Edizioni è una frase del filosofo esistenzialista  Jean-Paul Sartre.
Ne è autore Raffaele K. Salinari – medico specialista in chirurgia d’urgenza, docente universitario, animatore della ONG Terre des Hommes, esponente della Federazione della Sinistra, stalinista – .

Hugo Pratt, annoverato fra i maggiori autori di fumetti italiani, ha raggiunto una notorietà internazionale soprattutto con il personaggio di Corto Maltese, da lui ideato. C’è un particolare che desta l’attenzione: le storie di Hugo Pratt non mancano mai di colpire per la loro meticolosità storica, nelle trame, reale e immaginario nei due personaggi spesso si fondono o si confondono senza una chiara distinzione. Qui i due personaggi che si fondono e confondono sono Corto Maltese e Joseph Stalin, quando non era ancora Stalin. E nulla lascia dubitare che il nocciolo della storia non sia vero.

Verso la fine della storia La Casa Dorata di Samarcanda, un racconto ambientato durante i primi anni ’20 vede il famoso marinaio protagonista, Corto Maltese, in una situazione spinosa. Nei pressi del confine fra Turchia e Impero Russo, nel Caucaso meridionale, è arrestato dalle guardie rosse, che decidono seriamente di fucilarlo seduta stante. Corto in spagnolo significa svelto, sinonimo di arguzia, nel senso assunto dagli abitanti di tutti i Sud del mondo per vantare  le loro minuscole stature dotate di piccante arguzia. A Tricarico si dice curt e malcafat.
Corto Maltese non si perde d’animo e pensa di “far intervenire una vecchia conoscenza con sufficiente autorità”. Chiede che venga contattato il «compagno Djugatchvili», Commissario per le nazionalità dell’appena nata Unione Sovietica. Corto lo chiama “Bepi” e ne segue una pagina di dialogo surreale. I due amici ricordano prima il loro incontro del 1907 ad Ancona, poi il breve soggiorno presso San Lazzaro degli Armeni, a Venezia. E scopriamo che qui “Bepi” ha svolto brevemente il compito di campanaro, salvo essere cacciato pressoché subito dall’abate mechitarista (monaco della Congregazione monastica armena sussistente come un gruppo a parte dell’ordine benedettino). Due parole al commissario di confine e “Bepi” ottiene di far rilasciare il Maltese con la sua compagna.

Stalin a 24 anni nel 1902

Anche se l’autore della storia, Hugo Pratt, non chiama mai “Bepi” col suo nome più conosciuto, il collegamento è presto fatto. Dalla rivoluzione d’ottobre del 1917, fino al 1924, anno della morte di Vladimir Lenin, il ruolo di Commissario per le Nazionalità fu effettivamente ricoperto da un tale Ioseb Djugatchvili. Di lì a poco, tuttavia, Ioseb iniziò a rispondere per tutta la vita soltanto al suo nome di battaglia e il suo nome di battaglia risuonò in tutto il mondo, cantato dai poeti, osannato da folle oceaniche e odiato da maggioranze silenziose, per essere infine tuttora ricordato o non ignoto alle nuove generazioni: Josef Stalin. Ma con altro occhio.

Con l’antico occhio lo vede Rocco Scotellaro, istituzionalmente non comunista e stalinista, che, alla morte di Stalin, celebra l’orgoglio del comune mestiere dei padri. Il padre di Stalin era calzolaio e il padre di Scotellaro era calzolaio. Stalin muore il 5 marzo 1953 e lo stesso anno, 9 mesi e 10 giorni dopo, morirà il ragazzo di Tricarico. 4 giorni dopo la morte di Stalin Rocco Scotellaro scrive questi versi: L’uomo che vide suo padre calzare / gli uomini e farli camminare / imparò da quell’arte umile e felice / la meraviglia di serivire l’uomo / L’uomo che crebbe nell’esule villaggio / imparò il coraggio di farsi riconoscere / e di crescere non lontano dai potenti della terra. / L’uomo che seppe la guerra e le lotte degli uomini / imparò dal fascino della notte / il chiarore del giorno. / Quell’uomo muore. Attorno attorno / alla ceppaia gigantesca che è / agili frullano i vivai che piantò nel mondo. / Quell’uomo che dà agli uomini amore profondo / e il pane e le scarpe e la case e le macchine / può dire chi era Stalin e la ragione del mondo. Sono versi di una pura e grande poesia; il nome, che resta su una lastra cimiteriale sott’ombra, trasportata dal Mausoleo del Cremlino, è il nome del più grande criminale della storia.  

Le storie a fumetti di Hugo Pratt, ripeto, non mancano mai di colpire per la loro meticolosità storica, sono ben documentate e riscontrabili nei fatti storici, e servono a dar spessore alle avventure di Corto Maltese in giro per il mondo fra il 1913 e il 1925. E, dunque, ci si può chiedere che cosa ci sia di vero nella storia del dittatore sovietico che suona le campane nella laguna di Venezia? E cosa farne di questa storia?

In ogni caso, la permanenza di Stalin in Italia, se ci fu, non può che essere stata di brevissima durata. Molti storici e biografi di Stalin non ne parlano. Storie ne furono scritte, ma ispirate o addirittura redatte personalmente da Stalin, che, giunto al potere, fu un meticoloso distruttore di tracce storiche del suo passato pre-rivoluzionario.

Una piccola storia appena probabile, mentre quasi certi furono i rapporti fra Stalin e i rivoluzionari russi in Italia, in cerca di fondi, per sopravvivere e reggere le loro «scuole». Le scuole quadri: un modo per serrare le correnti e preparasi ad eventi più favorevoli. I bolscevichi andavano a studiare a Capri, poi a Bologna, in via Marsala, nel novembre 1910. Non sappiamo molto di quegli anni, e in particolare dell’episodio italiano e bolognese. Si ritrovarono alcuni fra i cervelli migliori dell’epoca. Sappiamo che a Bologna passò Massimo Gorkj e insegnò Trotskji. Il promotore della scuola bolognese fu Alexandr Bogafanov, medico, filosofo, futurologo, geniale fino alla bizzarria. Quel Bogadanov che proprio un rarissimo impeto di generosità di Stalin salvò da una delle prime purghe, aveva il torto di essere, nell’esilio italiano, fra gli oppositori della linea di Lenin.
Impensabile, in ogni caso e secondo chi l’ha raccontata e tramandata nel corso degli anni – ripeto – che a Venezia non spettasse una parte, seppur minima, nell’ampia storia dell’Ottobre rosso di Pietrogrado, città che tutt’ora è comunemente chiamata la “Venezia del nord”. 

Salinari racconta come, nel 1907, Stalin, di passaggio in Italia, cercasse lavoro come portiere all’hotel Roma e Pace di Ancona, che conservò ancora negli anni successivi il ricordo di quel postulante destinato a diventare sin troppo famoso. L’accordo non si fece, e il giovane Stalin proseguì il suo viaggio in direzione di Venezia. Qui forse trovò alloggio nel convento adiacente alla chiesa di San Lazzaro degli Armeni, sita su un’isoletta al largo della città.

Ma perché Stalin si trovava in Italia? Si stava recando in Svizzera per fare visita a Lenin, forse per illustrargli l’impresa che avrebbe condotto a termine di lì a pochi mesi: una rapina spettacolare effettuata a Tiblisi per finanziare i bolscevichi, con l’aiuto dell’abituale complice di Stalin in quelle operazioni, il ferocissimo Kamo.
Fin qui la storia, che Salinari ricostruisce, per la prima volta, con l’ausilio del poco materiale disponibile.

Un’appendice della storia di Hugo Pratt è riprodotta in appendice al testo di Salinari. Testo che non vuole avere nessun significato politico – non per nulla l’autore è stalinista – ma solo valore di piccola curiosità storiografica. In linea con le “chicche” intelligenti che, in forma di opuscoli garbati e stimolanti, produce la mini-casa editrice Ogni uomo è tutti gli uomini, fondata dall’architetto Roberto Fregna, personalità di rilievo della vita culturale bolognese.

 

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