Angelo VARNI: IL TESSITORE NITTI DOPO LA GRANDE GUERRA
Il Sole 24 Ore Domenica 14 febbraio 2021
Francesca CANALE CAMA
Quella pace che non si fece. Francesco Saverio Nitti e la pace tra Europa e Mediterraneo (1919 -1922 )
pagg. 252, € 18
Sconvolta negli assetti istituzionali, insanguinata dai milioni di morti disseminati nei campi di battaglia, privata delle certezze ideali tradizionali, percorsa dai fremiti di rabbiose convulsioni sociali, l’Europa assisteva, lungo i mesi del 1919, al dipanarsi dei riti diplomatici che, a Parigi, nella Conferenza di pace, dovevano ridisegnare dopo quattro anni di guerra devastante il volto lacerato del Continente, tra impulsi di resa dei conti tra vincitori e vinti, rivendicazioni nazionalistiche e ossequio sempre più tiepido al programma del presidente statunitense Wilson, orientato ad una generale pacificazione tra i popoli costituitisi in liberi e democratici Stati nazionali.
È in questo clima che nel giugno di quell’anno Francesco Saverio Nitti venne nominato alla guida del governo italiano, dopo le dimissioni del ministero Orlando, causate proprio dal comportamento tenuto durante le trattative che aveva contribuito ad alimentare nel Paese il mito della “vittoria mutilata”. Un’idea, cioè, di prevaricazione delle altre maggiori potenze vincitrici nei confronti dell’Italia, che non incontrava certo il consenso del nuovo presidente del Consiglio, favorevole, al contrario, a un ruolo attivo della nostra diplomazia a fianco di quanti ritenevano possibile la nascita di una nuova Europa attenta a favorire lo sviluppo economico di tutte le sue parti attraverso la democratica ed equilibrata composizione dei conflitti esistenti. Ai suoi occhi, dunque, tutto si doveva tenere: crescita economica, pace sociale, principi liberal-democratici all’interno, in parallelo a generale pacificazione nei rapporti internazionali senza vendicativi revanscismi.
La stessa Germania, così duramente punita dalle clausole del trattato di pace, doveva essere riammessa – ai suoi occhi – a partecipare a pieno titolo al concerto solidale europeo. E pure con la Russia bolscevica occorreva riannodare i rapporti, opponendole una sorta di “internazionalismo democratico” ancorato ai valori di libertà.
Un progetto di pace, il suo, presto apprezzato da tutti i popoli usciti sconfitti dal conflitto e penalizzati nella ridefinizione dei confini dei nuovi Stati disegnati dai vincitori negli spazi “vuoti” provocati dalla scomparsa degli imperi asburgico ed ottomano. Nella speranza condivisa di assicurare, attraverso questo “revisionismo democratico”, uno stabile riequilibrio internazionale, in grado pure di attenuare le pesanti tensioni sociali ovunque alimentate da frustrazioni materiali e ideali di stampo tanto nazionalistico che classista.
Nonostante l’appannarsi del ruolo propositivo proprio del presidente Usa e della scarsa incisività della Società delle Nazioni, Nitti riuscì a svolgere una apprezzata azione di “ricucitura” delle tensioni in atto, fino alla convocazione della conferenza internazionale di Sanremo a fine aprile del 1920, per risolvere soprattutto l’insoluta questione della sistemazione dei territori dell’impero ottomano e del Mediterraneo orientale.
Una tessitura finissima di relazioni diplomatiche, svolta da Nitti, sempre sorretta da una tenace fede nei valori del liberalismo ritenuti capaci di ricostruire un nuovo mondo di pace dopo le distruzioni belliche. Di tutto questo Francesca Canale Cama coglie con originale ricchezza documentaria e lucida sicurezza interpretativa i multiformi percorsi delle trame internazionali, che Nitti gestisce attraverso un approccio, la cui razionalità sembra, però, non cogliere le convulsioni di un reale profondamente mutato.
Del resto, l’Italia era allora in preda alle violente agitazioni del “biennio rosso” e Fiume, occupata dalla sedizione militare di D’Annunzio senza che si fosse riusciti a risolvere la questione ai tavoli internazionali, esaltava il più violento nazionalismo, finendo proprio per costringere Nitti ad abbandonare definitivamente la guida del Paese nel giugno 1920 vedendo svanire nel suo stesso Paese le condizioni necessarie al suo progetto.
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Nitti riferì in Parlamento sui gravi casi di Fiume. Senza mezzi termini condannò l’impresa dannunziana, definendola la “follia di un vanesio”; constatò che il modo di agire dei militari aveva solo un nome: diserzione; promise che contro coloro che non fossero subito tornati al loro posto, obbedendo alle competenti autorità militari, si sarebbe proceduto giudiziariamente per il reato appunto di diserzione. In tutta Italia nazionalisti, fascisti e arditi dimostrarono a favore di Fiume e di D’Annunzio, contro il governo Nitti. Gabriele D’Annunzio attribuì a Nitti l’appellativo di Cagoia, che, nel dizionario volgare, è una lumaca senza guscio. Un vanesio e un grande statista.