Piazza del Gesù Napoli verso la
Basilica di Santa Chiara

Frequentai la prima media a Napoli. Avevo 11 anni.
Ero stato iscritto all’Istituto Antonio Genovesi in piazza del Gesù Nuovo, il più rinomato e storico liceo-ginnasio di Napoli. Il preside era lucano come me.
Per la sua collocazione il Genovesi era conosciuto come la Scuola del Gesù, resa popolare qualche anno dopo da una famosa canzonetta di Aurelio Fierro.

Il primo giorno, quando mi trovai immerso nella vertigine dell’imponente piazza del Gesù, circondata da storici palazzi nobiliari e dal monastero di Santa Chiara, che da il titolo e il motivo alla citata famosa canzonetta del dopoguerra, al centro il maestoso Obelisco dell’Immacolata di marmo bianco e grigio e, lateralmente, la chiesa del Gesù Nuovo, con la facciata in bugnato a punta di diamante e la «mia» Scuola, che aveva sede nel seicentesco Palazzo delle Congregazioni, restai a bocca aperta e provai una felicità che mi ripagava delle lacrime versate per aver lasciato mia madre e il mio piccolo paese lucano, i miei compagni e i miei giochi.
Fui assegnato alla sezione I della prima media, che, per insufficienza di aule nell’antico edificio, era situata, con altre due classi, nell’appartamento di un condominio nella vicina via Santa Maria di Costantinopoli. Quell’emarginazione mi provocò un dolore straziante, la vissi come una ingiustizia e un inquietante presagio, un’onta che mi avrebbe macchiato per tutta la vita. Imparai cos’è l’infelicità. Tutte le notti, in un pianto silenzioso, soffocavo la nostalgia di Tricarico e la delusione per il mio Genovesi perduto. Che senso aveva più lo strappo doloroso delle mie radici?

Via Santa Maria di Costantinopoli, da Port’Alba a via Foria, è considerata tra le più belle e monumentali vie di Napoli. Io scendevo alla fermata del tram di piazza Dante, mi avviavo verso Port’Alba e, ivi giunto, imboccando via Costantinopoli per andare a scuola, non potevo frenare l’ammirazione per la bella vista che mi si parava davanti agli occhi. Entravo a recitare una preghiera nella chiesa di Santa Maria della Sapienza, con la facciata a loggiato, dove – lo appresi molti anni dopo – il vescovo di Tricarico mons. Raffaello Delle Nocche fu ordinato sacerdote nel 1901, attraversavo poi la strada in tutta la sua lunghezza, fino al condominio dov’era la mia scuola, a fianco della galleria Principe di Napoli.

Il condominio era brutto, salendo le scale gli occhi perdevano la luce che li aveva illuminati e la tristezza, pesante come un grosso sasso, mi opprimeva il petto.

 

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