Ricordo di Giuseppe Fortuna
Ho saputo che è morto Giuseppe Fortuna in coincidenza con la giornata dei Lucani nel mondo, il ciriglianese che ha vissuto “altrove” la sua vita di lucano. Una notizia che mi ha sgomentato, appresa con ritardo di circa quattro mesi, come in ritardo lo conobbi e diventammo amici. Un grande lucano, una bella persona, un caro amico, un generoso regalo della vita.
Conobbi Giuseppe grazie a un suo libro, che non mi andava di leggere. L’avevo sul tavolo di lavoro, l’avevo comperato, dunque l’avevo scelto, leggevo la dedica e, per la sua apparente retorica politicante, mettevo il libro da parte. Finalmente lo lessi. Diventammo amici, ci siamo anche visti personalmente, venne a trovarmi a Ferrara con la sorella e il cognato, che vivono a Bologna.
Giuseppe Fortuna negli anni Settanta aveva lasciato Cirigliano, partendo dalla piazza IV Novembre – dove in lontane ere, su uno strano loggiato, ricordo di aver arringato il popolo ciriglianese con comizi a sostegno di un partito che non c’è più –. «Sono andato via negli anni Settanta da Piazza IV Novembre, la piazza principale del mio paese. Me ne sono andato nel silenzio delle prime ore mattutine con tante emozioni celate. Dal finestrino dell’autobus, tra una curva e l’altra, ho visto il mio paese apparire e sparire, dopo l’ultimo tornante, l’ho visto poi sparire definitivamente serrandolo in un rabbioso abbraccio. Tanti altri piccoli borghi arroccati sulle colline materane, uno dopo l’altro, si sono alternati prima di arrivare alla stazione di Grassano. Alla stazione feci il biglietto del treno che mi avrebbe portato lontano dalla mia Basilicata e dalle sue colline, montagne, vallate, pianure e da Piazza IV Novembre …».
Come non ricordare la partenza di Leonardo Sinisgalli per Caserta, nel 1917, finite le elementari, per andare in collegio «Partimmo, attraversammo il fiume, ci allontanammo dal confine della provincia. (Io dico qualche volta per celia che sono morto a nove anni, dico a voi amici che il ponte sull’Agri crollò un’ora dopo il nostro transito; mi convinco sempre più che tutto quanto mi è accaduto dopo di allora non mi appartiene, io sento di non aderire che con indifferenza al mio destino, alla spinta del vento, al verde, al rosso. Io so che la morte arriva all’ora prescritta; non è un’ingiuria, non è un sopruso; io so di essere stato tradito per tutta la vita uscendo fuori dalle mie dolci mura, io che non ero innamorato di carte e di stampe, ch’ero nato senza appetiti, senza fiamme nella testa, e volevo semplicemente perire dentro la mia aria. Forse siamo pochi a lamentarci di non saper più trovare una patria fuori dalle nostre colline). Poi non ricordo più». E’ destino di noi lucani essere trapiantati lontano con un alito.
La destinazione di Giuseppe Fortuna è nelle lontane Americhe, ma il suo destino è ben diverso di quello di milioni di emigrati meridionali. In America egli è diventato uno studioso importante, professore emerito di sociologia urbana e docente nella facoltà di Urban Studies al Queens College della City University di New York, autore di numerosi apprezzati saggi.
Dopo una vita vissuta all’estero i suoi legami con la Basilicata e Piazza IV Novembre sono ancora forti. Piazza IV Novembre è simile a tante altre piazze dei piccoli comuni meridionali. È in Piazza IV Novembre che giovanissimo ha visto scorrere lacrime amare sul volto di uomini duri, rozzi e donne, le vedove bianche, abbandonate dai mariti costretti a lavorare all’ estero per un lungo periodo. Ogni anno uno alla volta, contadini, braccianti e anche artigiani se ne andavano via da Piazza IV Novembre. Abbracciata la moglie e accarezzati i figli nel sonno di buon ora, ancora nella oscurità della notte, hanno preso l’autobus della SITA per la stazione di Grassano a prendere il treno per luoghi diversi. Se ne sono andati nell’oscurità prima che il sole spuntasse nella speranza di una vita migliore. È in Piazza IV Novembre che ha visto scorrere lacrime amare sul volto di suo padre, dei suoi zii che partivano per la Germania e sul volto di altri padri, zii e vedove bianche che ognuno, invano, cercava di celare. È in Piazza IV Novembre che giovanissimo aveva stretto i denti per contenere le sue silenziose lacrime affogate nel cuore.
Giuseppe Fortuna tornava spesso a Cirigliano e vi era ritornato dopo circa quarant’anni per compiere un’analisi sociologica, il cui risultato è consegnato al citato libro non a caso intitolato “Una piazza meridionale”, Guida Editori, Napoli. 2016, pp. 128 con postfazione di Antonio Pilieri, suddiviso in sei capitoli.
Piazza IV Novembre è come un libro aperto dove si scrive, e allo stesso tempo, si sfoglia ogni giorno una pagina nuova, è il centro delle attività paesane e vuole rappresentare le tantissime piazze di piccoli comuni meridionali. È come un grande quotidiano orale – scrive Ventura -, una televisione dal vivo diretta dal popolo e dal loro senso comune nel discutere problemi locali, nazionali e internazionali. Lì si parla di tutto anche di ciò che si è sognato durante la notte.
La ricerca svolta nel suo paese nativo comporta il rischio del ricercatore insider, all’interno del gruppo, che può indebolire quel senso di oggettività richiesta ai ricercatori. Mi pongo domande sulle ricerche di Rocco Scotellaro. Non mi risulta che il problema sia stato posto e la risposta che mi do è che Rocco, con l’indole sua poetica, prevalente su quella sociologica nell’Uva puttanella e nei Contadini del Sud, si sia sottratto al dilemma scientifico “ricercatore insider/ricercatore outsider”. Il ricercatore outsider è fuori del gruppo e rischia di non essere socializzato nel gruppo che sta studiando. Un’assurdità pensarlo di Rocco. Fortuna opta per una strada a metà, detta del ricercatore “outsìder within”: il ricercatore fa parte del gruppo ma lo analizza da outsider, così può garantire un equilibrio tra addestramento sociologico del ricercatore e la sua personale conoscenza del gruppo senza che l’uno sia subordinato all’altra. Detta così, può sembrare una banalità. Non in ogni caso tale se penso a Rocco, che la poesia fonde col gruppo e dal gruppo lo eleva. Non so se bisogna essere un po’ poeti per applicare la metodologia dell’outsìder within, di cui Fortunas fornisce le coordinate bibliografiche, evidentemente per gli specialisti che intendano approfondire, ma essere lucano certamente aiuta.
Durante le visite annuali a Cirigliano Fortuna ha ascoltato attentamente quando veniva detto in Piazza IV Novembre, ottenendo una foto chiara, di prima mano, di questa piccola comunità meridionale. I dati non sono stati raccolti per esaminare delle specifiche ipotesi, lo scopo principale è stato di descrivere la quotidianità di questa comunità al di là di dati statistici, abbastanza catastrofici, riportati annualmente da ISTAT, CENSIS e SVIMEZ.
La ricerca di Fortuna non ha preteso di sviluppare generalizzazioni sulla comunità, ha voluto, piuttosto, riportare ciò che è stato osservato ed ascoltato per fare conoscere a tanti la sua dura quotidianità. Ha voluto altresì investigare i vari cambiamenti sociali occorsi negli ultimi decenni ed il loro impatto nella quotidianità.
Nella piazza il ricercatore parla con le persone, le ascolta, la piazza diventa simbolo delle piazze meridionali, soggetto, autore stesso di un racconto popolare, non riassumibile, che rimanda, alcuni decenni dopo, a letture sociologiche e antropologiche di molti decenni fa, di ricercatori passati per Tricarico, di conversazioni con Rocco Mazzarone, di convegni di studio organizzati dal Comune.
La ricerca di Giuseppe Fortuna riguarda la natura e l’evoluzione di un luogo che rappresenta nel contesto culturale meridionale un punto di riferimento assoluto, la piazza, spiegando le diverse e complesse dinamiche che la governano. Nell’epoca dei mezzi di comunicazione digitale che hanno radicalmente modificato il nostro modo di stare al mondo, il nostro modo di rapportarci al mondo, la piazza risulta ancora essere il luogo aggregativo per eccellenza. Caratteri che trovo nella piazza per antonomasia di Ferrara, piazza Duomo.
Una piazza meridionale è però luogo nel quale ancora è possibile ritrovare le radici di quel fenomeno che lo stesso Fortuna definisce “gruppismo produttivo”, che non è possibile illustrare in questo scritto, in cui ho voluto semplicemente raccontare la scoperta di un libro di cui consiglio la lettura, che in quarta pagina di copertina è così presentato: «Il libro non solo emula la collaudata storiografia degli Annali, la storia delle piccole comunità, dei singoli protagonisti minori, allo stesso tempo propone un nuovo modo di analizzare la secolare Questione Meridionale prestando attenzione sia alla politica economica che non è ancora riuscita a risolvere il divario tra Nord e Sud, sia alla politica culturale, mettendo in rilievo alcuni difetti dei meridionali analizzati da studiosi americani, come familismo amorale e mancanza di civismo.
L’autore con discrezione propone una via di uscita con il suo “gruppismo produttivo” per superare la teoria Banfieldiana di determinismo culturale del “familismo amorale”.
Conclude che una combinazione di politica culturale e politica economica potrebbe ridurre il secolare divario tra Nord e Sud.»
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Caro Antonio, ho trovato molto stimolante la tua riflessione su “ricercatore insider/ricercatore outsider”, e il tuo smisurato affetto per Rocco ti ha suggerito di gettargli una ciambella di salvataggio indicando nella poesia lo strumento che ha consentito a Rocco di essere un analista oggettivo pur essendo dentro, parte di quel mondo o come tu dici ‘outsìder within’ . Anch’io penso che la poesia e in genere l’opera letteraria sia stata nelle varie epoche lo strumento più intelligente di giudicare in modo oggetivo le cose e gli eventi.
Caro Antonio stammi sempre bene
Mimmo
Caro Mimmo, non ricordo quale Grande diceva (e come lo diceva!) che solo la poesia è verità. Poesia, non l’andare a capo ogni tanto.
Un abbraccio, Antonio