Mi ero scordato e ora mi è tornato a mente come bestemmiavamo  i morti alle lucertole. Rocco Scotellaro sicuramente anche lui mozzava code alle lucertole e bestemmiava i morti e deve averlo lasciato scritto da qualche parte.
Mi sono spremuto il cervello e mi è parso di ricordare che ne avesse parlato nell’Uva puttanella a proposito di Brancaccio, il ladro sifilitico. E quindi … quaesivi et inveni.

Brancaccio si incontra nel 2° capitolo, dove è presentata una umanità di picari, ribelli e piccoli malavitosi. Tra i tipi descritti sfila anche il ladro sifilitico Brancaccio, che di sé diceva che era morto già quando era nato.
Lo si incontra poi nel 5* capitolo, dove è detto che nella camerata n. 7 del carcere di Matera dormiva nel primo letto della fila dove c’era il letto di Rocco (A capo della fila di fronte alla mia, stava Brancaccio, col letto un po’ discosto dal pulpito, sotto l’altra  finestra, obliqua al foro della porta del cancello, dove  menava per provvidenza una piacevole corrente d’aria,  che cacciava nel suo tubo i fetori del pulpito).

Nel nono capitolo è interamente e abbondantemente narrata la sua vita avventurosa e fantasiosa di ladro e contrabbandiere e l’esilarante sua prima notte di nozze nella sua povera casa affollata, con la riservatezza del talamo protetta da un telo, in lotta con la moglie che accendeva la luce e lui che la spegneva.

Il racconto è oggetto delle considerazioni del prof. G.B. Bronzini (L’universo contadino e l’immaginario poetico di Rocco Scotellaro, p. 148 ss.), considerazioni sulle quali sarebbe il caso di tornare., che mettono in luce il giusto valore letterario di queste pagine. Qui dico solo che Bronzini scrive che «« … né mancano ingredienti narrativi attinti direttamente alla magia  lucana, che fanno lampeggiare dall’interno dell’universo contadino  uno speciale grottesco popolare-letterario di immagini, espressioni e  similitudini, come quello del prete mago di San Chirico che cavalca  una capra per allontanare il temporale, così somigliante, nei tratti e  nelle azioni furbesche, al Don Rafele di Marsico Vetere »). La storia di don Rafele fu raccontata anche a Ernesto De Martino, che la narrò nelle sue Note di viaggio in Lucania del 1953.

Ma è tempo che torni alle bestemmie dei bambini ai morti delle lucertole. Rocco carcerato è messo a scrivere le risposte dei nuovi arrivati e, nella pause, immaginava dal volto sopra la bocca  di un nuovo arrivato, Fiore, bestemmie e turpi parole, come quelle che  dice la lucertola ai bambini che le mozzano la coda.  La lucertola bestemmia i morti ai bambini, contorcendosi dal dolore con il moncone: a ogni contorcimento  alla lucertola dice il bambino per recuperare il maggior  numero di bestemmie: Cento morti a te e niente a  me, cento a te e niente a me.

 

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