Nel commento alla lettera lucana di Andrea Di Consoli di oggi, 16 novembre, ho ricordato le tappe del mio viaggio in tram da Secondigliano alla Scuola del Gesù, dove frequentavo la prima media.

Il 3 marzo 1942 era un martedì e io presi il tram.

La guerra andava male. Il 5 maggio dell’anno precedente l’imperatore d’Etiopia Haile Selassie era rientrato trionfalmente ad Addis Abeba, capitale dell’impero, lo stesso giorno, cinque anni dopo, in cui ad Addis Abeba era entrato il maresciallo Badoglio. Tredici giorni dopo il principe Amedeo di Savoia-Aosta, viceré d’Etiopia e comandante in capo delle forze armate in Africa Orientale, chiederà la resa definitiva dopo una strenua ed eroica resistenza ad Amba Alagi, sulle montagne etiopi.

La resistenza ad Amba Alagi è una pagina gloriosa e dimenticata, come se ci dovessimo vergognare delle belle pagine scritte dai nostri soldati, anche se si tratta della guerra mussoliniana. Ricordarla è invece doveroso.
Lo schieramento italiano venne ben presto stretto d’assedio dalle forze britanniche. I soldati italiani, inferiori sia per numero che per mezzi, diedero prova di grande valore, ma, rimasti stremati dal freddo e dalla mancanza di munizioni, acqua e legna, si dovettero arrendere. Poco prima della resa il duca Amedeo autorizzò gli indigeni della sua truppa a tornare nei propri villaggi, ma risulta che gli abbandoni non furono superiori alla quindicina di casi. I militari di Sua Maestà Britannica, non solo in omaggio del comandante nemico appartenente alla migliore nobiltà europea, ma anche in segno di ammirazione per la fermezza mostrata dai soldati italiani, resero ai superstiti l’onore delle armi, facendo conservare agli ufficiali la pistola d’ordinanza. 

Amedeo d’Aosta sopravvisse meno di un anno. Morì quel 3 marzo 1942 debilitato dalla malaria e dalla tubercolosi. Ai suoi funerali anche gli ufficiali britannici indossarono il lutto al braccio.

Io seppi della sua morte quando il tram che mi conduceva alla scuola si fermò davanti alla reggia di Capodimonte, residenza della madre del duca, Elena d’Orléans.
Davanti al cancello c’era un assembramento di gente silenziosa e commossa, molte donne piangevano.
Con la mia sana civiltà lucana mi sentii partecipe del rito del vicinato che piangeva la morte del vicino di casa, e fui contento di aver potuto partecipare.

Pare che l’imperatore d’Etiopia, durante la sua visita ufficiale in Italia, nel 1953, invitò la vedova del duca, Anna d’Aosta per un tè. Quando il governo italiano lo informò che ricevere la Duchessa avrebbe offeso la repubblica, Haile Selassie fu costretto a cancellare l’incontro. Evidentemente anche lui aveva assimilato una sana civiltà contadina, che è la stessa cosa di lucana.

Peccato che il governo non considerò che il presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, era il secondo dei primi due presidenti di sentimenti monarchici eletti dai repubblicani.

 Umberto Saba ha dedicato alla Duchessa due madrigali nel suo “Canzoniere”. Il primo la ricorda giovane nel parco di Miramare, dove i due giovani sposi avevano la loro residenza (“Così giovane sei, così leggera/cammini incontro alla dubbia fortuna,…”), il secondo la sua deportazione ad opera dei tedeschi dopo l’8 settembre (“Penso le mani, le tue belle mani./Sono passati per farle duemila/anni di storia di Francia. Le fila/del destino il destino rompe. Ostaggio/sei -dicono- al tedesco…”.)

     La Duchessa morì a Sorrento nel 1986. È sepolta nella Basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio di Napoli insieme alla suocera Elena d’Orleans.

 

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