NON SI VEDE SE NON CON IL CUORE: LEGGERE, LEGGERE SCOTELLARO
La pianta del baobab – che ha dato il nome alla nuova collana della Mondadori – fa pensare al piccolo seme da cui cresce quest’albero gigantesco e, metaforicamente, alla lenta crescita dell’Opera letteraria di Scotellaro: da nessun libro pubblicato quando morì ai tre libri tanto amati, letti e riletti, raccontati e ciclostilati, premiati, lodati e aspramente contrastati: È FATTO GIORNO con prefazione di Carlo Levi (giugno 1954), CONTADINI DEL SUD con prefazione di Manlio Rossi-Doria (luglio 1954) a L’UVA PUTTANELLA (giugno 1955) con prefazione di Carlo Levi e, risalendo lentamente nel tempo, UNO SI DISTRAE AL BIVIO e MARGHERITE E ROSOLACCI.
Grandioso libro il Baobab, ma manca il sentimento della storia che hanno i contemporanei di Rocco. Penso però – l’ho altre volte scritto – che l’opera si sarebbe potuta interpretare diversamente. L’emozione non avuta l’ho cercata, e in un certa misura ho trovata, leggendo contemporaneamente la favola del Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry.
I giovani dovranno cercare di trovarla.
Ha però un gran merito il Boabab: riporta tutto Scotellaro e saggi di studiosi che Scotellaro hanno letto.
Segnalo peraltro che fuori di quel testo non è raro trovare stupefacenti spiegazioni sulla conoscenza degli uomini e del mondo secondo Scotellaro di chi del poeta di Tricarico non ha letto neanche un rigo.
Il baobab è una pianta dalle incredibili dimensioni, dalla strana forma, che sembra piantata al rovescio, con la chioma interrata e le radici in alto e, nel torrido clima africano, vive centinaia e centinaia, e anche migliaia di anni, e raccoglie nel tronco e nei rami persino trentamila litri d’acqua; ed è tenuto in grandissima considerazione dai nativi africani, che dei suoi frutti si nutrono, delle grandi riserve di acqua si dissetano, nelle sue enormi cavità trovano rifugio intere tribù, e ritengono che al suo interno risiedano gli spiriti degli antenati, che popolano miti e leggende dell’albero. E il pensiero corre naturalmente alla stupenda riflessione della favola del Piccolo Principe e dei semi di baobab.
Il Piccolo Principe, uno dei libri più citati di sempre, un racconto molto poetico del 1943, sotto forma di un’opera letteraria per ragazzi, affronta in realtà temi complessi e profondi, come il senso della vita e il significato dell’amore e dell’amicizia.
Un pilota di aerei, precipitato nel deserto del Sahara, e un bambino, un principe di un asteroide lontano chiamato B-612, si incontrano. Sull’asteroide vivono soltanto il bambino, tre vulcani e una piccola rosa, molto vanitosa, che lui cura e ama.
Il piccolo principe entra in contatto col mondo degli adulti, e si stupisce della complessità e dell’artificiosità di meccanismi e atteggiamenti tipici “dei grandi”.
Gli incontri tra il bambino e questi strani personaggi sono in realtà delle allegorie della società moderna e contemporanea. Un viaggio fantastico, sì, ma che ci conduce nel cuore del mondo reale.
Il viaggio è intrapreso per proteggere l’amata rosa dai semi di baobab che, invadendo tutto il suo piccolissimo pianeta, ne minacciano la sopravvivenza. In realtà, questi semi “cattivi” possono radicarsi nei piccoli “mondi” privati di ciascuno di noi. Sono la paura, l’insicurezza, la delusione, la rabbia, l’invidia, l’ambizione e simili. Se li lasciamo crescere indisturbati essi possono diventare baobab giganteschi, problemi insormontabili che distruggeranno tutto il nostro mondo. Estirpare questi semi cattivi prima che attecchiscano nei nostri cuori, è unlavoro estenuante – e così è anche per il piccolo principe.
Egli è alla ricerca di una pecora, che possa mangiare gli arbusti, così da risolvere il problema dei baobab senza fatica. Il pilota lo informa che un baobab non è un cespuglio, un arbusto, ma un albero, grande come una chiesa, talmente enorme che nemmeno un branco di elefanti messi uno sull’altro potrebbero riuscire a mangiarlo: il pianeta del piccolo principe è così piccolo che non potrebbe contenere un branco di elefanti e bisognerebbe metterli l’uno sull’altro. L’unica strategia possibile, allora, è impedire che i semi crescano, diventando giganti:solo intervenendo all’inizio, quando sono ancora piccoli semi, è possibile scongiurare il rischio che distruggano tutto il pianeta.
Nel corso del suo viaggio il piccolo principe si imbatté in un giardino di rose fiorite, cinquemila rose che somigliavano tutte al suo fiore, e disse: «Mi credevo ricco, perché avevo un fiore unico, e invece possiedo solo una rosa qualsiasi … .» E, sdraiato sull’erba scoppiò in lacrime» (cap. XX).
Il piccolo principe poi incontra la volpe sotto il melo (cap. XXI), che gli chiede di addomesticarla e gli fa capire che la rosa che egli ama non è l’unico fiore al mondo, ma è unico perché l’ama: «Ma se tu mi addomestichi, avremo bisogno l’uno dell’altra, e tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo». «La mia vita è monotona – continua la volpe -. Io vado a caccia di galline e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e anche tutti gli uomini. Perciò mi annoio un po’. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Riconoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Quello degli altri mi fa nascondere sotto terra. Il tuo, come una musica, mi chiamerà fuori dalla tana». E poi guarda! Vedi laggiù i campi di grano? Io non mangio pane. Il grano è inutile per me. I campi di grano non mi ricordano niente. E questo è triste. Ma tu hai capelli color oro. Allora sarà meraviglioso, quando tu mi avrai addomesticato! Il grano che è dorato, farà sì che io mi ricordi di te. E amerò il fruscio del vento nel grano…»
E quando si danno l’addio la volpe svela il suo segreto:
«È molto semplice: non si vede se non con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi».
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