Rivolgo in interrogativo l’affermazione di Andrea Di Consoli fatta nel senso che Scotellaro non provò mai il piacere di veder stampato un suo libro, nonostante ci provasse in ogni modo, anzitutto con Einaudi.

Nel senso precisato l’affermazione è vera, ma è vera anche in un senso più pregnante? E’ vera per un poeta giovanissimo che nel novembre 1949 iiene presentato in una modesta pizzeria da Giovanni Russo a Giovanni Giudici ? Rocco Scotellaro aveva 26 anni e aveva già pubblicato su «Botteghe Oscure», una sede in quel periodo quanto mai prestigiosa ed esclusiva.
E’ vero che la rivista per l’ambiguità del titolo, sinonimo per traslati del partito comunista, e la sua notorietà limitata ad ambienti letterari colti, rischiava di soffocare il reale valore di Scotellaro. Ci fu, anzi ce ne furono molti a pensare che Rocco Scotellaro, in vita, fosse riuscito a pubblicare sue poesie grazie all’ospitalità di un foglio un foglio di partito, che in realtà gli fu molto avverso.

La rivista Botteghe Oscure è stata una rivista internazionale di letteratura pubblicata a Roma dal 1948 al 1959 con periodicità semestrale (primavera – autunno). Il nome deriva da via delle Botteghe Oscure, la strada di Roma dove si trova Palazzo Caetani, sede della redazione Non si trattò di una semplice rivista antologica, ma essa incise notevolmente sul corso della storia della letteratura italiana del dopoguerra e sull’orientamento del gusto del nostro Paese Se ne può acquisire un’adeguata informazione su internet, dove si trovano scritti a profusione, tra i quali consiglio una tesi di laurea in storia della critica letteraria italiana «La Rivista Letteraria “Botteghe Oscure”» discussa nell’a. a. 1998 – 1999 da Azzurra Aiello presso l’Università La Sapienza di Roma.

La rivista fu fondata dalla principessa Marguerite Caetani, la quale aveva già diretto a Parigi dal 1924 al 1932 la rivista di letteratura trimestrale Commerce; redattore capo fu lo scrittore Giorgio Bassani. Di solito molto voluminosa (in media 500 pagine a quaderno) presentava articoli in ben cinque lingue (italiano, francese, inglese e, a fascicoli alternati, tedesco e spagnolo). Dalle statistiche elaborate col quaderno XX, si ricava che avevano collaborato fino ad allora (fino alla chiusura saranno pubblicati altri cinque quaderni) 568 scrittori di 20 diverse nazionalità e 5 lingue (il 50% degli articoli in lingua inglese; il 20% in italiano, il 20% in francese, 5% in tedesco e 5% in spagnolo). La tesi della Aiello espone con completezza il panorama delle collaborazioni: quaderno per quaderno sono indicati gli autori pubblicati, il titolo e il genere dell’opera pubblicata e, limitatamente agli autori italiani, un sunto. Oltre al cosmopolitismo, caratteristica di Botteghe Oscure fu far conoscere autori ancora poco noti. Sono stati pubblicati, per esempio, limitandomi agli italiani, Italo Calvino, Mario Soldati, Tommaso Landolfi, oltre a Rocco Scotellaro. Fra le opere pubblicate per la prima volta sulla rivista basterà citare alcuni capitoli del Gattopardo, Le ceneri di Gramsci e Picasso di Pier Paolo Pasolini, Beatrice Cenci di Alberto Moravia, Il mondo è una prigione di Guglielmo Petroni, La casa di via Valadier di Carlo Cassola, La giacca verde di Mario Soldati.

Per la poesia Botteghe Oscure pubblicò , tra le altre, opere come La capanna indiana di Attilio Bertolucci, poesie di Giorgio Caproni, versi di Sandro Penna e Pier Paolo Pasolini, e liriche di Rocco Scotellaro.

Ma non si può capire cosa è stata la rivista Botteghe Oscure senza sapere di Marguerite Caetani (1880 – 1963) nata Chapin: letterata, giornalista, collezionista d’arte e mecenate statunitense naturalizzata italiana, per matrimonio principessa di Bassiano e duchessa di Sermoneta, fondatrice e direttrice delle riviste Commerce (in Francia) e Botteghe Oscure (in Italia) Così parlerà di lei Ungaretti: «venuta tra noi dagli Stati Uniti a recare l’entusiasmo della sua giovane Patria, e tuttora so che alla causa delle lettere sarà difficile dedicare un fervore d’intelligenza e di cuore che uguagli il suo».

Lo stesso titolo di Botteghe Oscure è ispirato piuttosto a una accezione di scambio culturale, giacché la via deve il suo nome alle numerose attività commerciali e artigiane prive di finestre, quindi oscure, che durante il Medioevo avevano sede tra le rovine del Teatro di Balbo. Benedetta Craveri, su Repubblica del 10 febbraio 1966, così descrive la “Regina di Botteghe Oscure” (come dal titolo dell’articolo) «In Marguerite Chapin, bella e colta ereditiera americana del New England, l’ amore per la cultura europea affondava le sue radici in una fede assoluta nell’ arte perseguita come valore irrinunciabile dell’ esistenza. Idealista, individualista e anti-ideologica

Quaderno per quaderno riferisco ora sulla collaborazione di Rocco Scotellaro e riporto il sunto delle opere pubblicate, desumendole dalla citata tesi della Aiello.

Nel secondo quaderno, II semestre 1948 (Rocco aveva 25 anni), furono pubblicate le poesie: Il cielo a bocca aperta, Saluto, Suonano mattutino, Per Pasqua alla promessa sposa, Il primo addio a Napoli, Alla figlia del trainante, Tu non ci fai dormire cuculo disperato, E’ un ritratto tutto piedi, Per una donna che se ne va, E’ calda così la malva, Era la cavalcata della bruna, Sempre nuova è l’alba «Queste poesie di Scotellaro sono rappresentative del motivo ispiratore di tutta la sua produzione letteraria: il mondo contadino Qui il poeta supera i limiti della produzione precedente quando le inevitabili note populiste o i residui prosastici della intonazione polemica davano a volte l’impressione di una poesia limitata. Limiti di questo genere vanno scomparendo nelle poesie sopracitate in cui la maturazione del gusto lirico si è rapidamente completata e talvolta ha persino varcato il segno.

Se Scotellaro resta soprattutto il poeta della presenza cosciente nel mondo contadino, vissuto in prima persona, in queste poesie il motivo autobiografico diventa importante come in Il primo addio a Napoli, e si esprime per la sua donna, evocata a volte attraverso un odore, vedi E’ calda così la malva e a volte rimpianta amaramente come in Per una figlia del trainante – poesia quasi ironica dove la riuscita del rapporto amoroso è ostacolata da fattori pratici, così come in Saluto e in Per Pasqua alla promessa sposa Suonano mattutino, Il cielo a bocca aperta e Tu non ci fai dormire cuculo disperato hanno tematiche legate al mondo contadino: nella prima il poeta dice di sapere che è arrivato il mattino quando sente risuonare i ferri dei muli dei mietitori sulle selci del viottolo; la seconda parla di una giornata ormai arrivata alla fine: il vento cessa di spirare, cala la nebbia e ognuno sente su di sé la fatica del giorno; ogni cosa è fedele al suo ruolo. Nella terza poesia Scotellaro dice che è tornato per sempre con i suoi colori: lo hanno sentito le donne che fanno seccare i fichi e i pomodori, ma il cuculo con il suo verso non farà dormire È un ritratto tutto piedi sembra quasi un quadro: Scotellaro descrive, con piccoli tocchi, una scena che si vede di squarcio guardando in una grotta: c’è una vecchia morta, sdraiata; di lei si vedono solo i piedi, mentre il suo viso è lontano, così come il suo ventre. In era la cavalcata della Bruna il poeta ricorda il suo paese, gli ulivi di Matera, i canti degli antenati, la cavalcata della Bruna e l’acqua della Gravina. In sempre nuova è l’alba Scotellaro si intrattiene con i contadini: parla con loro, li invita a bere una tazza di vino, a ricordare i briganti e a pensare che l’alba è sempre nuova Lo stile di queste poesie, estremamente semplice e lineare nella descrizione oggettiva della realtà contadina, diventa più difficile quanto esprime lo stato d’animo del poeta e le sue emozioni».

Nel quinto quaderno, primo semestre del 1950, furono pubblicate 4 poesie dedicate a Linuccia Saba: Dalle carceri di Matera: Il sole viene dopo, Io sono un uccello di bosco, Carcere mio.. «Nelle poesie citate Scotellaro unisce due tematiche a lui molto care: l’amore e l’esperienza del carcere. Così ne Il sole viene dopo il ritorno del poeta ha fatto brillare di luce gli occhi dell’amata che viene invitata ad alzarsi presto, prima del sole. In Io sono un uccello di bosco solo il coraggio e la speranza hanno aiutato il poeta a vivere nel buio della prigione: lui era nato uccello di bosco, mentre in Carcere mio…in carcere il poeta non canta più, ha già cantato tutte le canzoni che sapeva sotto i balconi della sua bella».

Nell’ottavo quaderno, II semestre 1951, furono pubblicate le poesie: L’ingiustizia; Il santuario, L’amore di Nettuno, La fede che non si perde, Il morto, La ginestra. «Il santuario descrive una cartina appesa ad un muro sulla quale il poeta vede in lontananza un santuario – meta di tanti pellegrini – ed ospedali e carceri e la madre che, piccola come una formica, sembra schiacciata dalla fatica Ne L’amore di Nettuno il mare infuriato non rispetta neanche il tempio di Paestum. Ne La fede che non si perde il poeta si domanda come ha fatto la madre a trascorrere la vita davanti al focolare. Il marito e i figli sono lontani e non ha più neanche la fede in Dio: la casa è tutta sua adesso che sta per lasciarla. Con la poesia intitolata Il morto il poeta afferma che è diventato pesante vivere, nella casa il fuoco è spento e la giustizia è morta; ne La ginestra i pianti della canéfora – fanciulla d’illustre famiglia che nelle processioni porta in un canestro gli arredi sacri – sono muti. Lei canta e porta le ginestre ai vivi, ai morti e ai santi».

Nel nono quaderno, I semestre 1952, fu pubblicato il racconto La capera «Quello delle capere era un mestiere esercitato da parecchie donne al paese Pettinavano le signore dai capelli lunghi, facevano loro le trecce o il «tuppo» e all’occorrenza schiacciavano anche i pidocchi La capèra che andava nella casa dello scrittore pettinava la madre che aveva i capelli di oro fino e la sorella. Un giorno ci fu una grave scenata tra la madre e il padre a causa di questa capèra: la madre aveva scoperto che era l’amante del marito. Per questo venne licenziata e ne fu scelta un’altra. Perché, si chiede lo scrittore ora lontano dal paese, queste donne facevano le capère, e quanto guadagnavano? Come sempre era il bisogno la causa di tutto. Per lo più erano vedove o abbandonate dal marito che non scriveva più dall’America e con questo piccolo mestiere riuscivano a tirare avanti. Erano pagate parte con prodotti naturali, parte con soldi. Ma ora – gli scrive la madre interpellata a tale proposito – il DDT ha eliminato i pidocchi, le ragazze hanno i capelli corti e le ultime poche capère hanno per clienti solo le persone anziane: il loro è uno dei tanti mestieri che scompare»

Nell’undicesimo quaderno, I semestre 1953, furono pubblicate le poesie: Costiera Amalfitana, Dedicata ad una bambina, La bontà -a Carlo Levi, I pezzenti, Il dolore, O fons bandusiae (Orazio, Carmina III, 13). «Tanti i temi affrontati da Scotellaro: in Costiera Amalfitana fa da sfondo al suo sogno d’amore, ma l’oggetto di questo amore è troppo lontano per lui, è ancora troppo giovane, quasi una bambina. Egli pensa con tristezza che non si potranno incontrare mai da innamorati perché la natura ha imposto che ogni cosa fiorisca nella sua stagione; Dedica ad una bambina è dedicata a una bambina, amata senza speranza. Ne La bontà – a Carlo Levi il poeta esalta la bontà di Carlo Levi, mentre ne I pezzenti il poeta dice che a Natale, quando nel presepe l’agnello può stare salvo in mezzo ai leoni, è bello fare i pezzenti perché i ricchi in quel periodo sono buoni. In Il dolore il poeta vorrebbe somigliare alla sorella che si addolora per ogni cosa sbagliata. La poesia intitolata O fons bandusiae (Orazio, Carmina III, 13) è dedicata alla fontana di Banzi – alla quale domani sarà sacrificato un capretto – perché possa continuare a gettare acqua fresca per i buoi aratori e le greggi camminanti».

Rocco Scotellaro non provò mai il piacere di vedere stampato un suo libro, nonostante ci avesse tanto provato con Einaudi. Bisogna che si ricordi anche il rifiuto dell’Einaudi e chi ostacolò Rocco.

 

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