Il patto DC – PNM, stipulato, firmato e siglato, coinvolgeva anche il collegio elettorale di Tricarico-Calciano, per cui il candidato nel collegio risultava collegato anche col barone Vito D’Eufemia.

Ma qualcosa si poteva fare: si poteva dare alla campagna elettorale un’impronta contro il principio monarchico. E così si fece. Ci impegnammo dalla mattina alla sera con comizi, riunioni di caseggiato, giornali-parlati in un’aspra critica alla monarchia e al direttivo della sezione DC di Tricarico. Riscuotevamo un larghissimo successo che non poteva non avere conseguenze.

M.G. si dichiarò indisponibile alla candidatura, in un comizio in piazza dal balcone dell’albergo Cutolo Benito Lauria propose la candidatura di Ciccio Menonna, l’avvocato De Maria applaudì, scandendo ad alta voce “Viva la faccia bella di Ciccio Menonna”. La proposta ebbe un vastissimo consenso e il direttivo della sezione DC si dimise.

Ciccio Menonna aveva 26/27 anni, 2 anni meno di Rocco Scotellaro. Era in attesa di prendere servizio di conservatore degli atti notarili di Matera, posto del quale proprio in quei giorni aveva vinto il concorso. Laureato in giurisprudenza, assolse il servizio di leva a Taranto come guardiamarina, primo grado degli in ufficiali di Marina, voleva fare il notaio e intanto aveva fatto il suddetto concorso che aveva affinità con la funzione notarile. 

Ciccio morì improvvisamente a 33 anni nel 1958, mentre pronunciava un intervento in consiglio provinciale. Le morti di due valorosi giovani come Scotellaro e Menonna furono gravi irrimediabili perdite per Tricarico.

Bisogna che torni a parlare della situazione politica e della sezione della DC, che, con le dimissioni del direttivo, era rimasta senza guida. Manovrò tutto Benito Lauria, il quale ottenne la mia nomina a commissario straordinario della sezione di Tricarico. C’era il piccolo particolare che io non ero iscritto alla DC, per cui la sezione tricaricese si trovò affidata solo alle mie inesperte mani di ragazzino estraneo alla DC.

Anche Scotellaro e Menonna erano due ragazzini non ancora trentenni alla fine delle loro vite e Scotellaro noto poeta e scrittore benché inedito.

L’anno appresso, aperto il tesseramento ed essendo il capo della sezione, intestai a me la prima tessera. Mi trovai così coinvolto nell’agone politico e, col senno di poi, dico che sarebbe stato meglio di no, confermando peraltro la felicità e l’onore per l’amicizia stretta con personalità delle quali conservo riconoscente ricordo per i loro preziosi insegnamenti e la politica che facevano.

Il PNM non poteva tollerare la nostra campagna antimonarchica e presentò  una  candidatura di disturbo, quella di N.B. Dico candidatura di disturbo perché N.B. non si collegò con nessun altro candidato e poteva solo portare via dei voti. Ma N. B. si montò la testa, pensò di poter essere eletto e inscenò una sconsiderata campagna elettorale mirante a tale scopo. Una campagna elettorale assillante, senza tregua, volgare, un continuo vomitare porcherie da mattina a sera, ingiurie e calunnie prevalentemente di corna risalenti a generazioni precedenti di un vasto mondo, dal quale non era escluso neanche il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che, nominadolo, non mancava mai di sottolineare che la sua colpa fosse quella di essere presidente della Repubblica e di chiarire che “non aveva il dispiacere di conoscere”.

N.B. ebbe grande successo di pubblico, riempiva come un uovo la piazza e ogni largo o spiazzo di Tricarico, il successo gli dava alla testa, lo eccitava.
Fu davvero difficilissimo affrontare questa sgradevole e complicata situazione senza trascendere, ma fui contento che in un certa misura si fosse evitata quella che sarebbe dovuta essere la reale competizione: Menonna vs. Scotellaro.
Questa emerse dalle urne e proclamò la netta vittoria di Menonna e la sconfitta di Rocco Scotellaro in proporzioni veramente inaspettate, sconcertanti.

Credetemi, perché questa è la sacrosanta verità: quella notte, dopo i festeggiamenti per la vittoria, non andai a letto, la trascorsi sveglio affacciato al balcone della mia camera da letto che affacciava sulla Rabata: la maggior parte dei pensieri andavano alla sconfitta di Rocco e recitavo mentalmente versi della poesia “Passaggio alla città”:

Ho perduto la schiavitù contadina,
non mi farò più un bicchiere contento,
ho perduto la mia libertà.

Città del lungo esilio
di silenzio in un punto bianco dei boati,
devo contare il mio tempo
con le corse dei tram,
devo disfare i miei bagagli chiusi,
regolare il mio pianto, il mio sorriso.

Addio, come addio? Distese ginestre,
spalle larghe dei boschi
che rompete la faccia azzurra del cielo,

querce e cerri affratellati nel vento,
pecore attorno al pastore che dorme,
terra gialla e rapata,
che sei la donna che ha partorito,
e i fratelli miei e le case dove stanno
e i sentieri dove vanno come rondini
e le donne e mamma mia,
addio, come posso dirvi addio?

Ho perduto la mia libertà:
nella fiera di Luglio, calda che l’aria
non faceva passare appena le parole,
due mercanti mi hanno comprato,
uno trasse le lire e l’altro mi visitò.

Ho perduto la schiavitù contadina
dei cieli carichi, delle querce,
della terra gialla e rapata.

La città mi apparve la notte
dopo tutto un giorno
che il treno aveva singhiozzato,
e non c’era la nostra luna
e non c’era la tavola nera della notte
e i monti s’erano persi lungo la strada.

 

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