Caro Andrea,

Eccomi finalmente alla conclusione.

La gente non capiva l’indennità di licenziamento e io e Benito ritenevamo che c’era solo bisogno di spiegarla.  Avevamo fatto e superato l’esame di diritto del lavoro e io avevo anche studiato un libro di legislazione sociale, dove era ben spiegata proprio quell’indennità !

Desopo è morto, diceva la gente, non è stato licenziato. Io e Benito, a nostra volta, non capivamo che quella indennità rappresentava un problema di classe: si trattava di un diritto che a Tricarico interessava meno del 10 per cento della popolazione e provocava la reazione dell’altro 90 per cento, contadini e artigiani. Non capivamo, in particolare, che Rocco Scotellaro non poteva non tenere politicamente conto di questa situazione. Si trattava di diritti che tardavano ad affermarsi, non erano compresi e si sarebbero estesi ad altre classi sociali dopo la sua morte.

Nel capitolo VIII della Parte III dell’Uva puttanella – che non era stata ancora pubblicata, perché Rocco morì inedito, anche se io avevo letto qualche pagina del manoscritto – Scotellaro passa a una violenta invettiva contro la giustizia di classe, amministrata in un mondo antico. Rocco ha appena subita l’ingiustizia del carcere e forse si lascia prendere un po’ la mano e si lascia andare alla diffamazione di persone facilmente individuabili o a considerare alla stregua di reati situazioni legittime,  sebbene considerate ingiuste e che oggettivamente scavavano il fossato tra classi sociali,  come retribuzioni elevate, tredicesima mensilità et similia.

Andrea Di Grazia, uno dei cinque contadini del primo libro in prosa di Scotellaro, Contadini del Sud, democratico cristiano e mio amico, dichiara: «Adesso accenno un poco agli impiegati statali. Non sono mai contenti di quella mesata che prendono, vogliono sempre aumenti, vogliono fare sempre scioperi per avere aumenti. Poi il popolo si lamenta che la mesata che prendono è esagerata, oltre il 13° mensile, che non spetterebbe, perché l’anno è 12 mesi, non 13 mesi.»

La proposta di concessione dell’indennità di licenziamento agli eredi Desopo viene portata in consiglio comunale e si avverte in giro un’aria contraria alla sua approvazione. Pare che anche Rocco Scotellaro sia contrario e questo noi non lo comprendiamo, pensiamo che la sua contrarietà sia dovuta alla recente  sconfitta e alla rottura dell’amicizia politica con Peppe Desopo.

Andiamo dal sindaco Nicola Locuoco, io mi presento addirittura con il libro di legislazione sociale di Nino Roberti, uno dei testi del mio esame di diritto del lavoro. Nino Roberti era un fascista, deputato di alto profilo, se non ricordo male presidente del gruppo parlamentare del neofascista movimento sociale, che nel suo libro elogiava molto la legislazione sociale varata dal fascismo. Rocco Scotellaro, che come studente era passato per le università di Roma, Napoli e Bari, sicuramente sapeva chi fosse.Io voglio precisare che il titolare della cattedra era il prof. Antonio Navarra, considerato uno dei massimi teorici del diritto del lavoro.

Il sindaco ci disse di presentarci alla seduta del consiglio e, se del caso, di spiegare le nostre ragioni.

Alla seduta del consiglio comunale eravamo presenti tra il pubblico. Il sindaco, gli assessori e i consiglieri erano seduti attorno a un tavolo in una stanza del vecchio municipio, il pubblico quella sera numeroso, accalcato addosso agli amministratori, diceva la sua, secondo le simpatie o antipatie di ciascuno. Il sindaco faticava a far rispettare l’ordine. Il segretario comunale si sforzava di spiegare quella che i consiglieri ritenevano, o fingevano di ritenere, la stranezza di una indennità di licenziamento a un morto. Desopo non è stato licenziato, è morto – dicevano. Il segretario spiegava e tornava a spiegare che per licenziamento si intende una condizione che obbliga per forza a smettere di lavorare: o per previsione di legge o per disposizione dell’autorità amministrativa o giudiziaria, sempre di licenziamento si tratta. In caso di morte è come se il licenziamento lo avesse disposto il Padre Eterno.

Rocco Scotellaro intervenne brevemente in apertura di seduta chiedendo di non approvare la delibera: – Il Comune è un ente autarchico – disse – non siamo tenuti a osservare una legge dello Stato -.

Noi obiettiamo: – Il consigliere Scotellaro sa benissimo che la parola autarchico non ha il significato che ora egli gli attribuisce. – Io apro il libro di Nino Roberti e comincio a leggere. Rocco si arrabbia: – Sindaco, questi turbano i  lavori del consiglio, espellili dall’aula. Il sindaco, che nell’incontro che avemmo con lui ci aveva detto di spiegare l’indennità in consiglio, è imbarazzato, si abbassa sotto il tavolo, come se cercasse una matita  o un foglio caduto. Una situazione comica.

L’indennità fu negata, la delibera fu annullata dal prefetto e infine il consiglio comunale si convinse a concedere l’indennità di licenziamento, anche perché gli amministratori cominciavano a rendersi conto che potevano essere accusati di abuso in atti di ufficio. L’avevano sempre saputo tutti, infatti, che si trattava di un diritto e non di una liberalità rimessa al buon cuore del consiglio comunale.

Per quanto mi concerne non tardai molto a capire quale figura di stupido saccentello avevo fatta e a vergognarmene.

Qualche giorno dopo, Antonio Albanese, fraterno amico di Rocco Scotellaro e mio, mi chiese di accompagnarlo a casa di Rocco. Accolsi volentieri l’invito. Ciao, ciao. Come stai? Nessun accenno all’accaduto. Rimase la mia vergogna.

 

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