Caro Andrea,

Nella storia che ti sto raccontando c’entra anche il maccartismo. Tu sai he roba è, perché sei una persona colta, ma molti non hanno la più pallida idea del maccartismo, sul quale io sono informatissimo essendo vissuto in quell’epoca infausta. E vengo finalmente al dunque.

Nel dopoguerra partì dall’Italia un imponente flusso migratorio in diversi Paesi dell’America e d’Europa.
Come sai, una legge varata dal Congresso degli Stati Uniti favoriva il ritorno di chi avesse la cittadinanza americana e concedeva il diritto al ricongiungimento con familiari di cittadinanza non americana. Ma la prospettiva che la legge apriva venne in conflitto con uno dei capitoli più neri e squallidi della storia americana, che si ricorda col nome di maccartismo, quasi a voler scaricare la vergogna su un modestissimo e squallido senatore del Wisconsin, che sul terrore americano per il pericolo comunista costruì il suo quarto d’ora di celebrità, trascinando sul banco degli accusati e facendo espellere dagli Stati Uniti il fior fiore della cultura, della scienza e dell’arte americana. Il maccartismo fu l’esplosione di un’isteria generale, di un male profondo della società americana, che avvelenò la vita pubblica e danneggiò gravemente la reputazione degli Stati Uniti nel mondo. Le radici di questo male profondo non affondavano certamente nell’isteria, o nella furbizia, di un politico di mezza tacca, morto alcolizzato, ma in una crisi morale della società americana. Male profondo che si è in vario modo rinnovato col trumpismo.

L’ondata migratoria del dopo guerra assunse dimensioni ragguardevoli, che ridussero a meno della metà i residenti a Tricarico. Sorsero nuove professioni per l’assistenza agli emigranti dal disbrigo delle pratiche burocratiche, al procacciamento di un posto di lavoro nel Paese di destinazione, ai contatti con i consolati per l’ottenimento dei visti, all’accompagnamento al punto d’imbarco al porto di Napoli.

Gli aspiranti emigranti negli Stati Uniti furono vittime, complice il maccartismo, d’invidie, odii, malanimi. Bastava far giungere al consolato americano di Napoli una lettera anonima con l’accusa di sovversivismo per bloccare, talvolta definitivamente, una pratica di emigrazione o provocare l’espulsione di chi, gia emigrato, aveva formato famiglia e s’era data una sistemazione. In quel periodo furono scritte a Tricarico, e non solo a Tricarico, pagine indegne, che rimarranno purtroppo sconosciute.

Peppe Desopo, primogenito di Innocenzo, era il solo dei sette figli che avesse un lavoro. Coetaneo e ammiratore di Rocco Scotellaro fu co-fondatore della sezione di Tricarico del partito socialista e aiutante di Rocco in tutte le iniziative. Profondeva tale impegno che gli fu affibbiato il soprannome di Peppe Stalìn con l’accento sulla ì.

Il soprannome gli rimase per tutta la vita, ma il sodalizio politico con Rocco Scotellaro non resistette alla scissione di Palazzo Barberini dal partito socialista della corrente socialdemocratica di Giuseppe Saragat. Peppe mostrò quindi un moderato interesse per la politica e più avanti aderì alla DC senza dare particolare sottolineatura al cambio di partito.

Egli non poteva non sentire la responsabilità della sua famiglia. Pancrazio e Filomena, il fratello e la sorella che per età venivano dopo di lui, avevano conseguito il diploma magistrale, ma non avevano un posto fisso, racimolavano qualcosa con le scuole serali e una supplenza ogni tanto. Restava il problema di altre due sorelle e due fratelli, tutti minorenni.
Come tanti altri decisero di avvalersi della legge sull’immigrazione e raggiunsero alla spicciolata Newark. Prima Filomena, poi la madre, quindi i fratelli e le sorelle minorenni, ultimo Pancrazio.

Sulla loro testa pendeva tuttavia la minaccia della lettera anonima, della diffusa vigliaccata calunniosa che rovinò la vita di tanta gente. Sul mio blog ho ricordato qualcuna di queste tragedie, tra cui quella di Vincenzo Miseo, cugino di Rocco Scotellaro, cittadino americano, anche lui espulso. Dovette nuocergli la parentela con Rocco Scotellaro, al più era stato iscritto al partito socialista. Riuscì a tornare negli Stati Uniti dopo alcuni anni di traversie, previa sosta nel Venezuela. Rocco Scotellaro ricorda la parentela con Vincenzo Miseo e il visto per l’emigrazione che gli veniva negato nella poesia America del 1952:

Mia madre, la porto in tasca la lettera,
mio padre l’ha trovato intero, dice,
nella bara dopo dieci anni,
e non è entrato nella cassetta
per averlo in cenere;
altre cinquantamila lire,
se il cugino non sfondava il tetto
della sua cappella per porlo lì,
come lo spuntone di una trave,
dopo tre giornate di fatica offerta
perché lui spera che lo faccia partire
in America, dove ha figli e moglie,
e lui, già cittadino, non lo vogliono
.

 

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