All’ultimo momento, mentre il corteo di macchine e dignitari, durante il viaggio del duce in Lucania  stava per giungere a  Palazzo San Gervasio, fu disdetto il passaggio per il paese che era stato luogo di caccia del re Manfredi di Svevia.

Palazzo San Gervasio è, appunto, il paese che prende il nome dal palazzo di caccia che il re Manfredi di Svevia si era fatto costruire e dove io nacqui. Il paese si sviluppa su un altopiano intorno ad una bella via, il corso, fatta costruire dal re e di cui porta il nome.

Per il passaggio del duce, ai lati del corso in tutta la sua lunghezza si erano schierate due fitte ali di folla plaudente, lugubremente in camicia nera, inzeppanti i marciapiedi come sarde in scatola, i caporioni fascisti correvano su e giù, davano ordini, spostavano di posto tizio o caio, questo o quel gruppo.
Era una giornata torrida. Mischiando al nero delle camicie nere dei fascisti l’innocenza dei grembiuli bianchi con fiocco azzurro dei bambini dell’asilo e delle camicette bianche su gonne nere delle bambine e delle ragazze, i caporioni fascisti si sforzavano di realizzare un gradevole effetto cromatico favorito dall’abbacinante accanimento della luce piena.

Tra i bambini dell’asilo c’ero anch’io, che, all’apertura del nuovo anno scolastico, sarei stato iscritto alla prima elementare e sarei diventato figlio della lupa.

Stare per ore sotto la sferza del sole, anche se si trattava di sacrificio offerto al duce Benito Mussolini, fu un tormento, che io, come dirò tra poco, pagai letteralmente col sangue.

Passavano le ore, ma non passava il duce. Il podestà, il segretario del fascio, i gerarchi e tutti i fascisti, tutti in nero da capo a piedi, cominciarono a manifestare perplessità mal camuffata, ad agitarsi, a interrogarsi, a battere il corso da un punto all’altro; parlottavano, si sbracciavano, cercavano di rassicurare: – Il Duce sta per arrivare, è giunto qui, è giunto là, si è fermato a parlare con una folla plaudente a … _. Ma, alla fine, dovettero arrendersi all’evidenza e annunciarono che il percorso era stato modificato nel corso del viaggio per ragioni di forza maggiore e sciolsero l’adunata, gridando a squarciagola: Viva il Duce!

Da bambino ho sofferto di epistassi. Quel mancato passaggio di Mussolini atteso per ore sotto la cappa bollente di un sole infuriato mi procurò una copiosa perdita di sangue, che quasi mi dissanguò. Ma più per il sangue della grave e inarrestabile emorragia, che tenne in apprensione i miei genitori e il medico, io piangevo per non aver visto il duce.

Tutti capirono che il motivo che spinse Mussolini a dirottare il percorso chiamava Francesco Ciccotti Scozzese, un uomo politico di Palazzo San Gervasio che si era scontrato con Mussolini in un duello all’ultimo sangue con la sciabola. Forse Mussolini, quando stava per giungere a Palazzo dovette temere che un sodale di Ciccotti avrebbe osato sfidare la galera e inscenare una qualche manifestazione, macchiando il trionfale viaggio nel Sud.

Francesco Ciccotti era nato nel 1880 a Palazzo San Gervasio, paese d’origine della mia famiglia. Ho il preciso ricordo del bel palazzo Ciccotti nel corso Manfredi del fratello del suddetto protagonista. Nella mia testa di bambino c’era grande confusione. I socialisti erano nemici del duce, quindi dei delinquenti, ma il nostro medico, amico di famiglia e molto stimato dai miei genitori, era socialista; un fratello di mia madre, che non avevo conosciuto, perché morto in giovane età, era stato socialista e amico fraterno di Ciccotti; una volta fu anche arrestato, ma delinquente no, mio zio non era, non poteva essere un delinquente. Non mi restava scelta: accettare i fatti e le contraddizioni: stimare e volere bene al medico di cui i miei genitori avevano tanta fiducia, coltivare la memoria di mio zio Giovanni e venerare il duce!

Sapevo pure che don Ciccio Ciccotti si era battuto con Benito Mussoliniin duello con la sciabola e seppi quando morì in esilio.
Ciccotti e Mussolini erano entrambi deputati: Ciccotti , figura di spicco del socialismo massmalista e attivissimo in Basilicata, Mussolini capo del nuovo movimento fascista. In passato erano stati uniti da forte amicizia politica nell’ideale massimalista del socialismo. Nel 1914, ad Ancona, al XIV Congresso socialista, Ciccotti sostenne la posizione intransigente, redigendo un ordine del giorno di approvazione delle relazioni della direzione del partito e del direttore dell’Avanti, Mussolini. Nel 1919 fu eletto deputato per il collegio di Perugia (in precedenza non era stato eletto nel collegio di Melfi) e sostenne il governo Nitti. Nel frattempo sorse una rivalità tra Ciccotti e Benito Mussolini, ex collega ai tempi dell’Avanti! e in quel momento direttore de Il Popolo d’Italia, poiché il futuro duce lo criticò con pesanti parole di servilismo nei confronti di Nitti e lo insultò. Ciccotti reagì sfidandolo in un duello all’ultimo sangue il futuro duce.
Avvertiti di un possibile scontro armato tra  due deputati, tutte le questure del Regno si mobilitarono per impedire l’avvenimento.  Il duello ebbe tuttavia seguito. Si iniziò con un tentativo di scontro a Milano da dove, inseguiti dalla polizia, i due contendenti fuggirono in un posto più tranquillo. Giunti nella villa Perti di Artignano, nel piacentino, si sfidarono nel pian terreno del casale. Mussolini, scortato dai suoi padrini Aldo Finzi ed il colonnello Basso, dopo quattordici intense cariche alla sciabola, riesce ad avere la meglio su Ciccotti che, in affanno, cade assalito da crisi respiratoria, per cui i padrini sospendono lo scontro. I due contendenti non si conciliano.

Con l’avvento del fascismo e le continue aggressioni squadriste, Ciccotti fu costretto ad esiliare a Parigi, ove si diede ad attività antifasciste, che gli costarono la privazione della cittadinanza italiana e la confisca dei beni. Dopo varie vicende si trasferì a Buenos Aires, dove morì nel 1937. La salma, portata Italia, fu sepolta nel camposanto di Palazzo San Gervasio, in una tomba proprio a fianco di quella che mio padre aveva fatto costruire per la famiglia nel 1927. Su quel lato del cimitero c’è (c’era?) una fila di tombe uguali, della stessa altezza, formate di un uguale numero di loculi in marmo sovrapposti. Ricordo con precisione il loculo dove sono raccolti i resti di Francesco Ciccotti, ma non so dire se la salma fu trasferita dall’Argentina a Palazzo San Gervasio durante il fascismo o successivamente.

Quando la mia famiglia risiedeva ancora a Palazzo San Gervasio, e tutte le volte che ci siamo tornati con l’immancabile visita al camposanto, stante la contiguità delle due tombe, si rammentava la storia di don Ciccio Ciccotti e la sua amicizia con zio Giovanni.  Quando il duce era il duce, egli per me è stato sempre un dio, ma che un palazzese, amico di zio Giovanni, avesse duellato con lui mi riempiva d’orgoglio.

 

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