LEGGENDO AL FOCOLARE ROCCO SCOTELLARO
SECONDA SERATA

Rocco Scotellaro muore a una incollatura dal traguardo della pubblicazione della raccolta delle sue poesie. Una logorante vicenda lunga cinque anni. Il 25 novembre 1953 firma il contratto con la Mondadori. Il 15 dicembre muore.
DEUTERONOMIO 34, 4L’Eterno gli disse: «Questo è il paese che ho promesso con giuramento … , dicendo: “Io lo darò alla tua discendenza”. Io te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!».

Cinque anni di tentativi, incoraggiamenti, promesse e delusioni tra un editore di provincia, Lacaita, un tentativo da Vallecchi, e poi Einaudi e Mondadori. Una logorante vicenda che mi riferiva Antonio Albanese e qualcosa si lasciava sfuggire con me anche lo stesso Rocco. Ad Antonio Albansese Rocco confidava ogni passaggio, ogni speranza, ogni delusione. Il prof. Franco Vitelli ha accuratamente ricostruita la vicenda nei dettagli, e anche nei dettagli odiosi delle opposizioni, in un suo libro di cui parleremo e che leggeremo nelle prossime serate.

Una logorante vicenda lunga cinque anni. Cinque anni, perché l’idea di raccogliere in volume le poesie risale almeno al 1948, quando Leonardo Sacco presenta Rocco a Giorgio Bassani in occasione del Convegno sull’analfabetismo che si svolse a Matera, aprendogli indirettamente la via alla prestigiosa rivista Botteghe Oscure e il 23 agosto gli scrive che è suo intendimento giungere a una definizione della pratica relativa alla pubblicazione delle poesie.

Gli fa eco Vittore Fiore, che in una lettera da Bari del 22 settembre accenna possibilità della pubblicazione presso un editore di provincia, Lacaita, o presso Vallecchi.

In Rocco matura l’ambizione di attuare il progetto presso un grosso editore e nella primavera del 1949 si presenta da Carlo Muscetta, presso gli uffici di Einaudi a Roma, per proporre un manoscritto che, poi, nel 1954, attesterà lo stesso Muscetta, «non solo nel titolo, ma anche nell’architettura, corrispondeva alla prima parte del libro uscito da Mondadori».  Carlo Muscetta, amico e critico di Rocco. Amico ambiguo, critico aspro.

Era ovvio che fosse Einaudi l’editore a cui Rocco pensasse, per il prestigio della casa e per l’aiuto da parte  di Carlo Levi, in cui poteva sperare.

Nell’ottobre del 1954 nella rivista «Società», a ridosso di È fatto giorno e di Contadini del Sud, comparve il carteggio tra Muscetta e Rocco: 21 messaggi e 2 telegrammi, di cui 6 messaggi e i due telegrammi di Muscetta.

2/5/ ’49; 7/6/’49 (Sindaco dei poeti e poeta fra i sindaci);
20/7/’49 (Addio caro Rocco, ti amo e sono il tuo …);
20/9/’49; 17/11/’49 (credo che entro una settimana sarò in grado di darti la felice notizia);
16/12/’49 (minuta di telegramma: LIBRO VARATO SEGUIRA’ LETTERA EINAUDI AUGURI);
18/4/50 (minuta di telegramma: SEI INVITATO VENEZIA PARTIREMO VENERDI’ ORE 12 GIULIO TI ASPETTA MARTEDI’ CON SALAMI);
Una festosa celebrazione della pubblicazione delle poesie presso la prestigiosa casa editrice torinese, che Muscetta dava con sicurezza.  Ecco come il 7 giugno 1949 comunicava a Rocco che la pubblicazione era cosa fatta: «Carissimo Rocco sindaco dei poeti e poeta fra i sondaci. “E’ fatto giorno pare che sia libro fatto. In una sera memorabile ho commosso il consiglio editoriale della Casa durante una riunione conviviale che ha avuto termine con la lettura dei tuoi versi».
Ma arriverà il colpo finale del sesto messaggio del 6/11/50 (non so cosa dirti delle decisioni torinesi. Li considero dei bambini folli io mi regolo in conformità).

Torniamo al quinto messaggio. Natalia Ginzburg il 26 agosto frena gli entusiasmi del festoso  entusiasmo di Muscetta: « Ma finché non ho parlato con Einaudi, che non è ancora qui, non posso dirti nulla delle sue decisioni riguardo alle tue poesie››. Si creava perciò per qualche mese una situazione di stallo, uno stato di sospensione e nervosismo per Scotellaro. In questo frangente gli arriva una proposta degli olivettiani Zorzi e Pampaloni, che avevano pensato di mettere su una piccola impresa editoriale ritenendo di coinvolgere, tra gli autori, lo stesso Scotellaro. Forte dell’alternativa, Scotellaro sollecita una risposta concreta di «quei signori di Einaudi» e scrive a Levi il 15 novembre 1949: «Mi interessa saperlo il loro avviso perché Pampaloni, un ragazzo serio di “Comunità” mi ha invitato proprio in questi giorni a dargli un volumetto di cento pagine che sarebbe edito da lui e da Renzo Zorzi».

Pochi giorni dopo, il 17 novembre, torna Muscetta con le sue certezze, il suo ottimismo, la sua emotività, e la sua ambiguità: «Carissimo, credo che entro una settimana sarò in grado di darti la felice notizia ››.

Era accaduto che Einaudi acconsentiva alla pubblicazione di È fatto giorno in cambio della creazione di una collana di poesia diretta dallo stesso Muscetta. Un compromesso, «uno dei più spaventosi ricatti letterari del secolo», riporta, virgolettato, il prof. Vitelli.

Ci fu un regolare contratto con spedizione da Torino, il 20 gennaio 1950, di un assegno di L. 35.000 « quale anticipo convenuto sulla percentuale a maturare… ››. Era tuttavia l’inizio della fine. Stava che di fatto il compromesso raggiunto non annullava le perplessità che «papa Giulio›› aveva sempre avute e ci sono note da una lettera della Ginzburg del 30 maggio 1949. La Casa in quegli anni si andava riprendendo a fatica dallo sfascio della guerra, un’oculata gestione amministrativa sconsigliava di far troppo affidamento sulla narrativa e, ancor più, sulla poesia, che comporta alti costi per la stampa e limitata diffusione specie per un autore esordiente. La stessa collana «Poeti», che pure aveva avuto nel 1939 un esordio glorioso con Le occasioni di Montale, era bloccata a parte quest’unica eccezione.

Ma l’intoppo più grosso era in Pavese. In generale egli era scettico sui risultati di una nuova collana di poesia, tant’è che in una lettera del 12 gennaio 1950, con sottile ironia chiede a Muscetta: «Quando ti vedremo a Torino coi tanti poeti?». In particolare, guardava con sospetto l’irregolare Scotellaro non ancora affinato dalla sua rudezza di montanaro meridionale e, per di più, amico del non eccessivamente simpatico Carlo Levi. Negli ambienti Einaudi circolava una punta di antimeridionalismo, di cui non era certo esente Pavese; e non era forse un accidente che peroratore della causa Scotellaro fosse l’«avellinese» Muscetta.

Ed ecco i pesci in faccia. In un biglietto a Muscetta del 25 giugno 1949 Pavese scrive: «Per il Tricarico fate quello che volete. Ma, che, come le ragazze di famiglia, prima ecciti il ganzo (G. Einaudi), poi si ritiri e sente gli scrupoli, me lo rende tanto più antipatico››.

Se a questo si aggiunge la tattica dilatoria di Muscetta che, conscio della ressa di proposte che gli sarebbe caduta addosso, lasciava morire la collana che s’era impegnato a fare, nessuna meraviglia se la vicenda si conclude con un nulla di fatto e dopo tre anni Scotellaro decide di passare ad altro editore.

L’ipotesi che il libro fosse pubblicato da Einaudi ha dunque una conclusione sfortunata. Inaspettata e improvvisa. Incredibile quando divennero note le obiezioni, prima riferite, suscitate dalla proposta.

Scartata subito l’ipotesi di Muscetta di una pubblicazione per le Edizioni di Cultura Sociale, già accettata da Pajetta, Scotellaro tenta con le Edizioni di Comunità, ricevendone risposta negativa da Giorgio Soavi: «Io ti posso solo dire che le nostre edizioni non stamperanno libri di poesia e quindi, mio malgrado, non mi sarà possibile di accontentarti».

NeIl’ottobre 1952 Scotellaro invia in lettura È fatto giorno a Remo Cantoni perché ne favorisca l’uscita ne «Lo Specchio›› di Mondadori. Ma, anche qui, attesa. Decide quindi di contattare Montale, dapprima tramite la moglie, Mosca, che aveva incontrato a Napoli e a Venezia. Confortante la risposta di Mosca Montale in data 27 febbraio 1953: «Caro Scotellaro, […] ho fatto leggere la sua lettera a mio marito il quale farà di tutto per incoraggiare Mondadori a pubblicare i suoi versi. Ma lei sa quanto siano bizzarri gli editori, quindi non possiamo giurarle quanto sarà efficace l’intervento di mio marito. Sollecitato espressamente, Scotellaro il 2 marzo 1953 scrive a Montale una lettera, della quale riferisco un pezzo: «Nel chiederLe di parlare a Mondadori (il libro è già passato dal setaccio redazionale di Einaudi: Pavese mi fu molto amico per invaghirsene)».

Nessun dubbio che Montale si sia prodigato, come dimostra la sua recensione dopo l’uscita del libro nel 1954.

Pure efficace fu certamente l’intervento della principessa Marguerite Caetani, curatrice della rivista « Botteghe Oscure ››: « Sono prontissima a parlare con Alberto Mondadori per Lei ma prima volevo sapere se posso dire che il suo libro di poesie era rimasto un anno da Einaudi ››.

Sembra fatta. Ho già ricordato che il 17 marzo 1953 Scotellaro scrive a Levi: « Io bene sono stato qualche giorno per la notizia (ancora privata) ricevuta da Cantoni che ha fatto una regolare proposta di pubblicazione delle poesie ».

Linuccia Saba, saputolo, scrive a Rocco di voler fare subito qualcosa perché il libro uscisse lo stesso e che ne aveva parlato «con un amico della primissima infanzia, ora braccio destro di Mondadori: Remo Cantoni».

Il 4 aprile 1952 Rocco scrive a Remo Cantoni per poter inviare il manoscritto. Il 17 marzo 1953 scrive a Levi: «Io bene sono stato qualche giorno per la notizia (ancora privata) ricevuta da Cantoni, che ha fatto una regolare proposta di pubblicazione delle poesie».

Lunga l’attesa anche presso la Mondadori, di cui Rocco non vedrà la conclusione. Il 25 novembre firma il contratto, il 15 dicembre muore.

 

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