ROCCO SCOTELLARO
CONTADINI DEL SUD
PREFAZIONE DI MANLIO ROSSI-DORIA

1. – Rocco Scotellaro ha dedicato gli ultimi mesi della sua vita al lavoro, del quale in questo volume si pubblica la parte ultimata al momento dell’improvvisa sua morte.
     Leggendo le lettere, gli appunti, le infinite notazioni di questo periodo si vede come il lavoro lo avesse profondamente afferrato ed impegnato.
     Il fatto è che con esso egli aveva, per così dire, trovato una strada che cercava fin dal giorno in cui, chiusa l’attività di giovane sindaco socialista del suo paese, era partito di là per bisogno di respirare e di formare più liberamente se stesso.
     La sua strada vera, quella di poeta e di scrittore, non aveva bisogno di cercarla, perché non l’aveva mai lasciata da quando era ragazzo: egli la batteva in silenzio senza interruzione, anche quando, come per ogni altro scrittore, ai periodi di vena ricca e sicura seguivano altri più difficili. Non ha mai dubitato di questo suo mestiere, che amava e rispettava in sé e negli altri nel più alto grado. Ma la natura stessa del suo mondo poetico e dell’esperienza umana da cui nasceva era tale che quel mestiere da solo non gli bastava.
     Ora che si pubblicheranno le pagine bellissime del romanzo autobiografico incompiuto e la raccolta delle sue poesie si vedrà come rispetto ai contadini dei suoi paesi, che sono al centro della sua poesia e della sua esperienza umana, egli si sentisse impegnato da un indissolubile rapporto attivo di fedeltà e di solidarietà.
     Era stato questo impegno a portarlo giovanissimo alla lotta politica nella sua regione e nel suo paese, a fargli accettare e reggere con coraggio e sacrificio il posto di sindaco, a spingerlo a dedicarsi in seguito con ostinazione alla creazione e al primo difficile avvio dell’Ospedale di Tricarico.
     Forse per meglio servire quell’ impegno preferì, quando uscì dal paese, la via che più sembrava lontana dalla sua attività di scrittore e di poeta, accettando di rinchiudersi a Portici in una vita mezza di studente e mezza di impiegato nell’Osservatorio di economia agraria. Qui, infatti, egli sperava di acquistare una formazione e una disciplina che gli avrebbero consentito un giorno di ritornare a lavorare per i suoi contadini con maggiore efficacia e utilità. Il lavoro al quale dedicò molta parte del suo tempo – l’allestimento di alcune delle più importanti relazioni per un piano regionale per la Basilicata – gli accrebbe quella speranza.
     « Molto mi ha giovato – scriveva un mese prima di morire a Ruggero Grieco, chiedendogli suggerimenti e indicazioni per il suo nuovo lavoro -l’esperienza del Piano, perché ho potuto vedere unitariamente i problemi della mia regione e perché personalmente (ero stato sindaco fino al 1950) ho potuto curare la redazione di alcuni settori particolari, quali ‘i problemi igienico-sanitari’ e ‘ l’analfabetismo e la scuola in Basilicata’. In genere tutto il lavoro mi ha costretto a una disciplina, che stimo bene avere».
     Impiegati così quasi due anni, alla fine del 1952 era alla ricerca di nuovi sviluppi per questa sua attività. Insieme speravamo di trovarli nella costituzione a Portici di un centro di sociologia rurale e nell’avvio di alcuni studi di comunità rurali, che permettessero di illuminare non soltanto più concretamente la realtà economico-agraria delle regioni meridionali, ma l’umanità stessa e la coltura dei contadini.
     La costituzione del Centro, continuamente promessa e rinviata, non s’era ancora avuta a mezzo il ’53. A questo punto giunse, improvvisa e gradita, la proposta di Vito Laterza per un libro sulla coltura dei contadini meridionali, ed egli all’ improvviso sentì d’aver trovato la sua strada.

2. – Dal suo taccuino è possibile ricostruire le date di sviluppo del nuovo lavoro.
     Di ritorno da un rapido viaggio per i paesi di Basilicata e di Puglia (Tricarico, S. Chirico, Accettura, Stigliano, Pisticci, Taranto, Lecce) con il fotografo Maraini, si ferma i l 13 maggio a Bari dove l’editore l’attende per proporgli il libro.
     « Sono stato ospite – scrive a me dieci giorni dopo – di Vito Laterza, le cui sognanti ambizioni sono pari alla estrema gentilezza con me. Mi sono difeso dall’accettare con facilità le proposte e i contratti per un lavoro che potrebbe riuscire fesso e liscio, come si dice, e superficiale e che però appunto avrei potuto svolgere speditamente. Gli ho fatto promessa d’uno schema di libro, che sarebbe invece grinzoso e profondo. Ma sono poco sicuro di farcela. Tanto più vedendo Picasso a Roma, che mi ha esaltato e anche depresso.»
     La ruota ha cominciato a girare e un mese passa ad approfondire l’idea, a tentare di dargli corpo, a metter su carta i primi nomi, i primi appunti e un primo schema del lavoro, che consegnerà all’editore il 24 giugno. Dal 5 al 9 giugno è a Tricarico per le elezioni: il disegno del lavoro nasce, quindi, nell’atmosfera calda dei giorni susseguenti al 7 giugno, sotto l’influenza del rinnovato combattivo contatto con contadini del suo paese.
     « I contadini dell’ Italia meridionale (il Mezzogiorno continentale e le isole) – è detto all’ inizio del breve scritto dal titolo Per un libro su i contadini e la loro cultura – formano ancora oggi il gruppo sociale più omogeneo e antico per le condizioni di esistenza, per i rapporti economici e sociali, per la generale concezione del mondo e della vita.
     L’analisi dei fattori componenti la ‘civiltà contadina’ è stata fatta dai cultori interessati secondo le varie direzioni – storiografica, economica, sociologica, etnologica, letteraria, politica … ma la cultura italiana sconosce la storia autonoma dei contadini, il loro più intimo comportamento culturale e religioso, colto nel suo formarsi e modificarsi presso il singolo protagonista.
     Chi volesse, pertanto, assumere il singolo contadino come protagonista della sua storia, dovrebbe impostare la ricerca secondo la via più diretta dell’ intervista e del racconto autobiografico. »
     Torneremo in seguito su questo primo disegno del lavoro. Qui basta notare come fin dall’ inizio egli abbia imboccato la strada nuova – quella delle interviste e dei racconti autobiografici – con la sicurezza e l’en- tusiasmo che si hanno per le cose lungamente cercate che si riconoscono vere al primo incontro.
     C’ è ancora qualche piccola esitazione. Per dare maggior solidità e uniformità alle interviste e alle autobiografie studia ed abbozza un questionario, e, d’altra parte, cerca di impostare la scelta dei contadini da intervistare sulla base razionale delle diverse realtà economico-agrarie del Mezzogiorno, dei vari tipi d’insediamento umano, delle diverse categorie sociali ed economiche ed infine del diverso rapporto in cui vengono a trovarsi rispetto ai problemi del giorno: la disoccupazione, la riforma, i lavori della Cassa e così via.
     Tuttavia ben presto mette da parte questi accorgimenti esteriori e si immerge nel lavoro seguendo un ordine molto più concreto e poetico sia nella ricostruzione delle singole vite sia nella scelta dei luoghi e degli uomini.
     A Tricarico, il suo paese, dove conosce tutti, il lavoro è cominciato dai giorni delle elezioni e anche prima, riattaccandosi a quel che ha sempre fatto di far parlare la gente, di riconoscerla e rispettarla nella inconfondibile personalità di ciascuno. L’impegno del libro, tuttavia, non è per la Basilicata soltanto, ma per l’ intero Mezzogiorno, e, sebbene subito egli ponga dei limiti al tema troppo vasto, il programma che vien formulando nella sua mente abbraccia ben presto quasi tutto il Mezzogiorno continentale.
     «Ti mando l’elenco delle zone agrarie da me localizzate – scrive il 4 luglio all’editore – perché tu ti accorga quanta fatica da commesso viaggiatore mi toccherà sopportare per un rapido giro nel Mezzogiorno. Infatti dobbiamo metterei d’accordo: se parliamo dei contadini meridionali non si possono escludere i siciliani e i sardi. E, a volerli tralasciare, non rimane meno intricato il solo Mezzogiorno continentale, che occorrerà toccare dagli Abruzzi alla punta calabrese. (Con molta sincerità ti dico che alcune zone devo ancora conoscerle da semplice turista.) »
     Nella stessa lettera proponeva di limitare l’indagine in un primo tempo a tre regioni soltanto – la Campania, la Calabria e la Lucania – ma Laterza, accettando, le riportava a quattro, includendo anche la Puglia.
     Questo troppo vasto programma lo portò certo a disperdersi e a ritardarne lo sviluppo, tuttavia si deve ad esso se la ricerca assunse fin dal principio un tono più alto e un respiro più largo.
     Invece di concentrarsi a scrivere le vite dei contadini del suo paese e di quelli intorno, già individuati e impegnati, una parte notevole di questi mesi è spesa a preparare un lavoro che, a volerlo sviluppare, gli avrebbe richiesto degli anni.
     In Campania si ferma a Nola, dove abbozza una prima biografia, e nella Valle del Sele, alla quale appartiene il giovane bufalaro, la cui storia è in questo volume. Dagli appunti si vede, tuttavia, come egli avesse già individuato un guardiano di bovini del Matese, un canapicoltore di Caivano, un commerciante di bestiame di Cicciano, ortolani e frutticoltori del Colle vesuviano, un contadino monarchico della provincia di Avellino ed altre figure ancora.
     In Calabria – di ritorno dalla Sicilia dopo l’assegnazione alle sue poesie del Premio Borgese – si ferma a Reggio Calabria e gira all’ intorno.
     « Ho lavorato per orientarmi, avere indirizzi, indicazioni, notizie fino all’una – scrive alla Mimma il 16 novernbre -. Credo che Reggio Calabria abbia tutte le realtà che mi interessano della Calabria. Stasera concludo queste conoscenze e domani vado in provincia, nel paese delle raccoglitrici di gelsomino a Brancaleone … »
     Della Calabria, infatti, negli appunti si intravvedono già le figure che avrebbe voluto intervistare, donne per lo più raccoglitrici di olive a Polistena, di gelsomino a Brancaleone, di bergamotto a Melito, portatrici di sale di Bagnara – e poi contadini piccoli affittuari delle colline alluvionate sopra Reggio, poveri sfollati di Africo, greci di Rogudi, piccoli assegnatari di Caulonia.
     Del viaggio in Puglia, nel Salento, che egli fece dal 30 luglio al 4 agosto, toccando Lecce, Tricase, Alessano, Patù, Leuca e Taranto, per conchiudersi, attraverso Bernalda, a Matera, non siamo riusciti a trovare gli appunti, ma è certo che dovevano essere numerosi perché ne parlava spesso con gli amici, aveva il proposito di ritornare e in questo senso si andava preparando negli ultimi giorni raccogliendo nuove lettere di presentazione e nuove indicazioni.
     Malgrado queste diversioni nelle altre regioni – per le quali, con l’eccezione del giovane bufalaro, non portò a conclusione nessuno scritto – la maggior parte del tempo fu dedicato alla Lucania. Le quattro vite ultimate e pubblicate in questo volume riguardano contadini di Tricarico e della sua frazione di Calle, tuttavia egli aveva preparato molto altro lavoro e negli appunti si intravvedono numerose le figure che avrebbero potuto essere intervistate. Cito alla rinfusa: un contadino di Ferrandina divenuto famoso per le fortunate vicende di disertore della prima guerra mondiale; un disoccupato di Pisticci; un edile di Stigliano; un piccolo proprietario di Rotondella; un assegnatario di S. Basilio; un contadino emigrato costituitosi medio proprietario con i propri risparmi e, all’ inverso, un altro contadino emigrato e rientrato per riprendere l’antica fatica senza successo. E l’elenco potrebbe continuare, tanti sono i nomi e i paesi indicati.
     Particolare importanza venivano acquistando negli ultimi tempi nella sua mente le figure dei comuni nei quali più intensa è stata in questo dopoguerra la lotta sociale e politica: Gravina, Montescaglioso, Ferrandina e principalmente Irsina.

    Ad Irsina Rocco ha speso gli ultimi suoi giorni e il primo segno del male l’ ha colto là, nel mezzo del suo lavoro.
     « Stamattina alle ore 4 sono tornato da Irsina, dove c’era la festa – scriveva alla Mimma il 18 settembre in occasione della sua prima visita colà -. Vi ho trovato, oltre l’amicizia dei contadini e dei duri dirigenti… un contadino che farà la sua autobiografia secondo uno schema da me suggerito che avrà per cornice la lotta politica. »
     Fra gli appunti, larghi e interessanti sono quelli che riguardano Irsina e non solo i suoi contadini, ma le recenti vicende della delinquenza studiate sui documenti ufficiali, le lotte politiche ricostruite pezzo a pezzo con difficoltà, la storia antica e le ragioni lontane degli attuali rapporti e degli attuali problemi.
     In tutto questo lento lavoro di preparazione e di ricerca egli è principalmente preoccupato di raggiungere il più gran numero di tipi e di entrare in contatto con coloro che più chiaramente siano in grado di rappresentare le diverse reazioni dei contadini di fronte ai problemi di oggi. È questa la ragione per la quale molto si dà da fare per essere messo in rapporto con i contadini che risultino particolarmente attivi dal punto di vista sociale e politico. Se ha, perciò, cercato l’aiuto degli organizzatori sindacali e dei politici delle sinistre, con uguale insistenza, e spesso per vie indirette e con vari stratagemmi, ha cercato di aver le segnalazioni di quei contadini lavoratori che s’erano dimostrati più attivi come democristiani o come monarchici.
     L’entusiasmo e la coscienziosità con i quali egli la- vorava appaiono particolarmente evidenti nella lettera che fin dall’ Il luglio scriveva a Rocco Mazzarone per annunciargIi il nuovo lavoro e per chiedergli collaborazione e in quella che il 27 ottobre indirizzava a Ruggero Grieco.
     A Mazzarone scriveva:
     « Questa è riservata per te nel senso che è meglio non parlarne in giro. È una di quelle cose buone che, a parlarne, poi non si realizzano del tutto. Farò dunque un libro con Laterza sui contadini e tutto è pronto per l’avvio dei lavori dopo l’approvazione – già avvenuta – del mio progetto di studio. Tutti mi aiuteranno, tu compreso, nella segnalazione dei tipi, dei protagonisti del mondo contadino, scelti, secondo le zone, con il criterio di rappresentare il grado medio di cultura di ambiente attraverso la singola persona. Ma non è tutto. Da te devo poter avere i nomi di contadini cattolici, intelligenti per una moderna osservanza dei canoni della Chiesa e per la corrispondente volontà d’azione nel campo sociale oltre che per un progressismo che si può riscontrare nella più razionale conduzione dei propri terreni, ecc. Il nome, ancora, di qualche contadino trasferito alla Martella e di altri rimasti nei Sassi. Ma tu giri la provincia e conosci, nell’ambiente non comunista, i vari tipi: dai pazzi ai ‘ pater familias ΄ ai causidici, ai buoni cittadini, che possono essere di qualsiasi partito. Se mi dai il nome di un malato, il cui comportamento è singolare, anche bene.
     Vorrai, dunque, schedare per me questi nomi, aggiungendo le note caratteristiche, per intenderei, e la località di residenza.»

     E a Grieco:
     «L’editore, il Laterza, intenderebbe farmi eseguire l’indagine per tutta l’Italia meridionale, ma io penso che sia opportuno cominciare da qualche regione anche per la difficoltà di trovare il protagonista del racconto e dell’ intervista (‘ si tratta di andare a caccia di persone ‘ – aveva già scritto una volta). Intanto penso di chiedere agli amici e ai compagni dei nomi di contadini nelle varie regioni (per ora della Puglia, della Calabria, della Lucania). Ricordo un tuo intervento nella discussione della legge per la Riforma: parlasti di un contadino leccese, già disoccupato, condannato più volte e nullatenente, che nelle occupazioni di terre si svegliò alla lotta e al lavoro. Attraverso quel personaggio, gli altri che io so e altri ancora, può essere ricostruita la storia delle lotte, delle speranze e delle aspirazioni dei contadini, visti – oso credere – al centro e sulla strada dei loro problemi.» ”

     Da queste ultime parole si vede come lo schema del libro s’era venuto gradualmente cambiando nella sua mente a mano a mano che il lavoro avanzava.
     Nel breve scritto programmatico del giugno il libro aveva ancora nella sua mente la forma di una fredda inchiesta:
     «Date queste premesse – scriveva – si può delineare la composizione del libro nel modo seguente:
     – Una introduzione che comprenda: la presenta- zione del problema ‘I contadini meridionali nella cul- tura italiana’ alla luce della letteratura meridionalistica; l’illustrazione dei criteri metodologici, interpretativi e degli strumenti di ricerca adottati; il profilo sociologico delle figure e dei tipi prescelti nell’ambito delle principali e più caratteristiche zone del Mezzogiorno;
     – Interviste sui problemi, esposti con un numero, per ora imprecisabile, di contadini scelti a seconda del loro vario grado di cultura nelle diverse zone;
     – Racconti autobiografici di uomini e di donne, che esprimano, seguendo i gradi della stratificazione culturale, la più avanzata coscienza dei problemi moderni. »
     A distanza di mesi il libro ha preso, invece, nella sua mente l’ordine poetico delle cose vive e va ordinandosi in una serie di saggi nei quali variamente si intrecciano il racconto autobiografico – che ha conquistato più largo posto – l’intervista e il commento interpretativo e nei quali, come in tanti specchi, si riflettano le varie realtà del Mezzogiorno contadino e dei suoi movimenti rinnovatori.
     In questo senso è significativo un elenco di capitoli, ritrovato tra i suoi appunti e scritto due giorni prima di morire, che mi sembra, per la larghezza della visione, meglio indicare l’ordine ideale secondo il quale intendeva lavorare.

I contratti agrari (Beneventano);
     2) La rivoluzione insubordinata (Montano Altilia nel Cilento);
     3) Le roccaforti comuniste (Cerignola, Andria, Irsina) ;
     4) La grande Reggio (Reggio Calabria, Rosario Valaniti, San Gregorio, il Lazzaretto, ecc.);
     5) Il profumo del Sud (bergamotteti e gelsomini);
     6) Obelischi e piantine di tabacco (Salento);
     7) Il mare d’olio (Taurianova, Palmi, ecc.);
     8) L’oro bianco (zone canapicole);
     9) Le ceneri del Vesuvio (San Vito e Terzigno);
     10) Il mini fondo (Avigliano, Ruoti e frazioni).

     È – come si vede – un ordine che piacerebbe a un   poeta e anche ad un economista agrario.

3. – I saggi che oggi si pubblicano, per la varia composizione e per la stessa presentazione letteraria, possono apparire a qualcuno felici pagine di uno scrittore, ma non tali da soddisfare le esigenze scientifiche di un’ indagine sociologica. Un esame attento convince al contrario che queste esigenze sono state non solo rigorosamente tenute da conto, ma soddisfatte in misura che non è facile riscontrare in altri casi.
     Se può anche sembrare parola un po’ grossa, conviene soffermarsi a considerare il problema del metodo seguito da Rocco, perché possono discenderne considerazioni e conclusioni valide anche per altri.
     Ho ricordato più sopra come nell’ impostare il lavoro egli avesse deciso in partenza la questione fondamentale di metodo, cioè «di impostare la ricerca secondo la via più diretta del!’ intervista e del racconto autobiografico », ma nello stesso tempo si fosse anche preoccupato, da un lato, di eseguire nel modo più razionale la scelta dei luoghi e degli individui cosi da poter attribuire ai resultati valore di rappresentatività e, dall’altro, di condurre le ricerche in modo che in tutti i casi si ottenessero obiettive testimonianze circa «il comportamento dei protagonisti in seno alla società e di fronte ai suoi problemi ».
     Sul primo di questi punti abbiamo già visto quali furono le conclusioni col progredire del lavoro. Partito dall’ idea che bastasse eseguire una serie di scandagli opportunamente individuati per rappresentare nei suoi tratti fondamentali la coltura dei contadini meridionali, procedendo nel lavoro vide che la varietà del mondo contadino era tale che una ricerca estensiva a poco serviva e che era meglio studiare più intensamente alcuni ambienti rappresentandoli attraverso non una, ma diverse vite e interviste individuali.
     Sul secondo problema, che è poi quello del metodo della ricerca singola, la sua scelta della «via più diretta dell’ intervista individuale e del racconto autobiografico » traeva origine da una diffidenza profonda per i metodi d’inchiesta e statistici nello studio del comportamento umano. Trattandosi di comprendere «la storia autonoma dei contadini», la loro «civiltà vivente », il «loro più intimo comportamento culturale e religioso », il procedimento esteriore dell’ inchiesta con i suoi freddi questionari e la fredda elaborazione delle risposte a nulla poteva approdare e unico metodo valido poteva risultare quello di cogliere quella ideale realtà, «nel suo formarsi e modificarsi presso il singolo protagonista». Attraverso le particolarità della singola storia individuale, infatti, il comportamento umano si manifesta in modo pieno e concreto e nello stesso tempo assume valore tipico e rappresentativo proprio perché sostanzialmente comuni e omogenei sono gli elementi fondamentali dell’esperienza umana dei contadini in un determinato ambiente.
     Cosi impostate le ricerche singole acquistano rigoroso carattere sociologico, come si vede dallo schema che illustrò nello scritto programmatico già ricordato e che fu – come vedremo – sostanzialmente seguito in tutti i casi.
     « Il profilo autobiografico e l’intervista per la maggior parte delle figure, ritenute indispensabili per ognuna delle zone indicate, dovrebbero partire dai bilanci economici delle famiglie e dai calendari di lavoro per delineare poi il comportamento del protagonista in seno alla società e di fronte ai suoi problemi, secondo lo schema sommario che segue:
     1) I bilanci familiari, il tenore di vita e le sue manifestazioni: l’abitazione, l’alimentazione, il vestiario, le spese voluttuarie e varie;
     2) Organizzazione e vita delle famiglie e rapporti reciproci tra i componenti (rapporti tra membri attivi e non attivi, agricoli ed extra-agricoli; la divisione del lavoro; occupazione e disoccupazione);
     3) Caratteristiche psicologiche e culturali. Posi- zioni e atteggiamenti reciproci tra le categorie sociali. Partecipazione del contadino alla vita della comunità e suo atteggiamento rispetto al mondo esterno.
     Ben si intende che uno schema del genere presuppone uno scambio di idee tra lo studioso e il protagonista sui grandi problemi della vita (il lavoro, l’amore, la religione, il destino umano, ecc.) e più concretamente sui fatti nuovi che si sono affacciati da un decennio nel mondo contadino: la democrazia; il socialismo contadino; la vita pubblica (l’attività politica e la partecipazione diretta alle amministrazioni locali, alle cooperative, alle leghe di resistenza e di lotta); la bonifica; i lavori pubblici; le occupazioni di terra; la riforma agraria; la lotta per la modifica e il rispetto dei patti agrari e dei salari; l’alfabetizzazione; i miti tradizionali e la religione cattolica di fronte ai nuovi fermenti religiosi (gruppi di evangelici e altri); i nuovi rapporti col mondo esterno in conseguenza della guerra e della forzatura politico-culturale nazionale.
     Da una simile impostazione della ricerca dovrebbero risultare, attraverso il vivo racconto del protagonista, i due essenziali aspetti del mondo contadino all’attualità:
     1) Il rapporto città-campagna come fattore di qualificazione della civiltà contadina;
     2) La capacità di adattamento e di reazione indivi- duale e collettiva a situazioni nuove o provocate nei centri contadini.»

     Si tratta di uno schema preliminare, che egli certamente non pensava di pubblicare, ed ha, quindi, una certa scolasticità, che egli stesso avvertiva (« c’è in fondo – scriveva a Laterza inviandogli lo scritto il 24 giugno – da rimuovere in me i dubbi che mi hanno creato gli economisti agrari»).
     È facile rilevare che, trattandosi di accertare il comportamento umano, culturale e religioso, molte delle indagini indicate nella prima parte del passo ora citato non occorrono e vanno solo tenute presenti – vorrei dire – per avviare il discorso e per meglio qualificare il protagonista, non per definirne il quadro psicologico e culturale. Se, perciò, si elimina, o meglio si riduce di peso questo aspetto delle indagini, è facile dimostrare come in ciascuna delle «vite» qui pubblicate tutti gli altri punti indicati nello schema sono effettivamente toccati nel concreto tessuto del racconto autobiografico.
     A questo riguardo è interessante osservare come, non contento dello schema programmatico, Rocco abbia anche tentato di compilare per le ricerche un questionario, concepito nello stesso tempo in modo da provocare l’avvio d’uno spontaneo discorso biografico e da rispondere ai quesiti che si era programmaticamente posto. Va tuttavia subito avvertito che si tratta d’un abbozzo buttato giù nei primi giorni del lavoro e poi messo da parte, avendo subito preferito Rocco di porre di volta in volta quelle o altre domande nel vivo del dialogo coi protagonisti, senza costringere o compromettere il dialogo stesso entro questo o altri artifici. Il «questionario» in ogni caso è interessante perché rappresenta un tentativo – e nelle « vite» si ha la con- ferma della sua validità – di cogliere preliminarmente i motivi attorno ai quali si definisce e si differenzia il comportamento umano e culturale dei contadini. Il fatto che alcune domande possono apparire eccessivamente ingenue, o futili e ridicole, è significativo, perché, a ben guardare, c’ è in esse la forza dei « tests » rivelatori che usano gli psicologi e sono tali da provocare risposte essenziali alla definizione del comportamento umano non ottenibili in alcun altro modo. (Se aveste centomila lire che cosa ne fareste? A che tipo di persona vorreste sposare vostra figlia? Quali scostumatezze commettono i vostri bambini?)
     Quanto ho ricordato finora prova la serietà con la quale la ricerca è stata impostata, eppure più serio ancora è stato il modo in cui Rocco ha applicato il metodo, così da ottenere documenti vivi e da permetterne l’interpretazione più profonda.
     I saggi pubblicati appariranno a molti come scritti di getto sotto l’estro dello scrittore. Chi l’ ha visto in quei mesi lavorare e scorre oggi i voluminosi appunti può dire, all’ inverso, come essi siano il resultato di un attentissimo e minuzioso lavoro sia di preparazione, che di finale interpretazione e composizione. È ben vero che in gran parte i testi non sono che la letterale, scrupolosa registrazione del racconto biografico o la copia appena corretta dell’autobiografia scritta direttamente dal protagonista, ma, a parte il commento introduttivo e interpretativo aggiunto da Rocco, la stessa autobiografia scritta o il racconto dettato sono il frutto di un paziente lavoro. Da un lato sono essi, infatti, il resultato di un’assidua azione di convincimento e di avviamento, diretta insieme ad indirizzare la testimonianza e a mantenerle il carattere della più libera genuinità. Dall’altro essi sono il prodotto finale di un minuzioso e delicato processo di registrazione, interpretazione e correzione di un racconto o di un testo la cui stesura originale era quella non sempre corretta e chiara del linguaggio parlato.
     A riguardo di quest’ultimo problema va qui ricordato come fin dal principio tra Rocco e l’editore sia sorta una difficile questione, che non era ancora interamente risolta al momento della scomparsa di Rocco e che i suoi amici e l’editore hanno dovuto affrontare nel preparare per la stampa i testi non ancora definitivamente da lui riveduti.
     Vito Laterza fin dal principio gli aveva detto che, essendo l’iniziativa di un’ inchiesta sui contadini meridionali e la loro coltura, « una iniziativa di conoscenza, non di letteratura e tanto meno di folclore» il punto da tener fermo era che le pagine dei contadini lucani o campani o calabresi «dovevano essere presentate in modo da essere leggibili e comprensibili pienamente e autonomamente (cioè senza ricorrere se non eccezionalmente a note a piè di pagina) da qualsiasi lettore italiano, sia lucano o umbro o veneto o piemontese .
     Rocco aveva pienamente accettato e condiviso questa esigenza, ma d’altra parte – anche rinunciando in parte ai criteri esposti un anno prima nel presentare ai lettori di « Nuovi Argomenti» il testo d’una lettera-racconto scrittagli dalla madre (che è ripubblicata in questo volume insieme con le sue pagine introduttive)- sapeva di non poter correggere, oltre i ristretti limiti del buon senso, il linguaggio di quei racconti «perché quella lingua – come aveva allora scritto – è la misura di tutto il paesaggio, degli uomini e delle cose di quella regione».
     Nel preparare il testo definitivo per la stampa gli amici hanno cercato, quindi, di rispettare quanto più hanno potuto i testi già preparati da Rocco, introducendo solo piccole correzioni e una più abbondante punteggiatura, che meglio consentano di soddisfare l’esigenza sopra indicata. Essi confidano che se qualche difficoltà è ancora rimasta nei testi i lettori sapranno superarla nello sforzo di comprensione di un mondo finora a loro sconosciuto.
     Ritornando al lavoro di Rocco si può ancora osservare che i saggi pubblicati sono nella loro struttura diversi l’uno dall’altro, ma questa diversità solo in parte va messa in relazione al fatto che, trattandosi d’un lavoro del tutto nuovo e non ancora ultimato, Rocco era ancora alla ricerca della forma più conveniente per presentare le singole figure e la loro storia. La diversità di struttura d’ogni scritto – e tutto lascia credere che essa si sarebbe mantenuta anche in seguito – corrisponde, vorrei dire, a un principio, quello di conferire unità alla presentazione d’ogni «protagonista ». Se la figura si articola tutta intorno a pochi motivi centrali d’immediata percezione – come è il caso della vita d’un contadino che si sposa per la terza volta – non c’ è bisogno di introduzione, di commento interpretativo e neppure di seguir qua e là la traccia d’un questionario: il semplice racconto della vita, coi suoi motivi ricorrenti e con le sue vicende, illumina in pieno il quadro umano e ogni aggiunta sarebbe superflua. Negli altri casi, invece, introduzione, riepiloghi, commenti, domande, che servano sia a sottolineare i rapporti tra l’uno e l’altro momento del racconto, sia a metterne in risalto il significato, sia a ricostruir l’ambiente nel quale l’esperienza umana si è sviluppata, si fondono come elementi essenziali in un sol tutto con il racconto autobiografico, al quale conferiscono maggiore unità e nettezza di contorni. In qualche caso – ed è quello della storia del «Figlio del Tricolore» Michele Mulieri – le pagine introduttive, rievocando l’atmosfera del dopoguerra negli assurdi paesi dell’alto Materano, fondono insieme, facendo loro da cornice, tutte le quattro vite di «tricaricesi» che, assieme a quella del giovane bufalaro di Campolungo, Rocco aveva ultimato quando la morte l’ ha colto.
     Il fatto è che queste vite, ricostruite o raccolte con rigore di metodo e scrupolosa fedeltà, diventavano per Rocco, nello scriverle, materia d’ispirazione e il nuovo lavoro tornava per lui ad essere poesia

4. – Delle cinque «vite» che si pubblicano una sola è interamente costruita da Rocco, quella del giovane bufalaro « che non sa il mondo », solo conosce il poema delle bufale e, nella piana del Sele, « dove tutto ancora bolle », spera solo di evadere per «andare a zappare, a fare i fossi, ma non più stare appresso agli animali ».
     Le altre quattro sono o dettate o scritte interamente dagli stessi protagonisti. È interamente dettata quella del contadino che si sposa per la terza volta, che si chiude appunto con la frase: «Adesso basta questa storia perché sono due giorni che mi tieni sotto e mi sento stanco, peggio di zappare ». Sono scritte, invece, direttamente dai protagonisti «la storia semplicissima e complicata di Michele Mulieri », quella di Chironna, l’evangelico, e quella di Andrea di Grazia che orgogliosamente sa che « tra cinquanta piantoni uno deve essere il migliore».
     Come ho già detto più sopra il fatto che i racconti siano scritti o dettati dai protagonisti stessi non deve lasciar credere che il lavoro sia consistito soltanto nel cercare e raccogliere queste dirette testimonianze. Non tutti i contadini sanno raccontare di sé e, quando sanno, non sempre il racconto è completo e genuino. Trovarli, convincerli a parlare, farsi raccontar verbalmente la loro storia, poi convincerli a scrivere secondo uno schema pieno e non parziale, e seguire momento per momento questo loro scrivere è stata la fatica maggiore di Rocco, portata a termine con relativa lentezza ma con successo solo grazie alle sue eccezionali doti di comunicatività, che gli assicuravano la confidenza di tutti. Si provi chi vuole e vedrà quanto difficile è l’arte di far parlare di sé la gente, sia pure i contadini, di raccogliere il racconto disteso e ragionato della loro vita.
     Le autobiografie di contadini, di «gente semplice », come si dice, non sono nuove in Italia, ma quelle note sono poche e tra le poche quelle che ora si pubblicano risulteranno certo tra le più ricche e le più spontanee.
     Tutte e quattro sono di gente di Tricarico, il paese di Rocco: Laurenzano Antonio, piccolo affittuario e piccolissimo proprietario, scarsamente interessato alla politica ma semmai socialista; Di Grazia Andrea, piccolo proprietario coltivatore diretto, cattolico, democristiano; Mulieri Michele, contadino-artigiano, indipendente e anarchico; Chironna Francesco, mezzadro, innestatore e potatore specializzato, indipendente politicamente, di fede evangelica.
     Forse, se fosse vissuto e avesse pubblicato lui il libro, a queste figure di « tricaricesi» ne avrebbe aggiunta qualche altra, probabilmente quella di uno dei tanti semplici contadini poveri della Rabata, che vivono delle quote comunali, degli spezzoni dispersi in affitto, chiudono la vita senza cambiare il proprio destino, ma sentono con forza la solidarietà con gli altri contadini poveri e sanno entusiasmarsi se si apre loro una schiarita di speranza, quale videro ai tempi che Rocco fu eletto sindaco e scendeva la sera a bere e a parlare con loro.
     Ma è più probabile che una tal figura di contadino combattivo, con una forte coscienza di classe, egli preferisse sceglierla nel comune vicino al suo, verso Puglia, ad Irsina, una delle roccheforti comuniste. Per il suo paese le figure più rassegnate e amanti dell’ordine, anche se amare e ribelli, sono più rappresentative: Tricarico appartiene, infatti, a quel gruppo di paesi, che – come Rocco dice nella bellissima introduzione al Mulieri – « rappresentarono, nell’ immediato dopoguerra, la zona grigia del risveglio contadino».
     È certo un caso che le vite ultimate siano quelle dei contadini di questa zona grigia, ma un caso che appare come un destino. Sebbene questo libro fosse da lui concepito e preparato con la visione ampia di tutto il Mezzogiorno continentale e della infinita varietà del mondo contadino e sebbene egli fosse perfettamente capace di questa rappresentazione più larga, il caso come un destino ha voluto che a trovare piena espressione facessero appena in tempo le figure dei contadini del suo paese e che anche questo libro – come quelli suoi che si pubblicheranno – restasse, per così dire, un libro autobiografico.
     Ma non è stato solo un caso; ha operato in questo senso anche un istinto e, se si vuole, un motivo logico. Quel gruppo di paesi, al quale il suo appartiene – Miglionico, Grottole, Grassano lungo la via Appia e, in destra Basento, Salandra, Oliveto Lucano, Garaguso- occupa veramente una posizione centrale nella Basilicata e nel processo storico del risveglio contadino. Alle spalle ha i comuni del più chiuso e immobile mondo contadino, il mondo del « Cristo si è fermato a Eboli » – Stigliano, Aliano, Missanello, Craco, S. Arcangelo-, a monte confina direttamente con la povera, chiusa, immobile montagna potentina, mentre che a sud e ad oriente è aperto verso la Puglia ed è a contatto con quei comuni di Basilicata che sono in più rapida trasformazione: Pisticci, Bernalda, Montescaglioso, Matera, Irsina. Tricarico, poi, che ad oriente confina diretta- mente e per lungo tratto con il comune di Irsina, ed è stretto direttamente alle spalle dai comuni chiusi ed immobili ora già ricordati, è veramente, insieme con Grassano, il centro di quel centro. Non è, perciò, errato dire quel che dicevo, e cioè che il caso, facendogli dar la precedenza e consentendogli solo di portare a compimento le biografie di contadini di questi paesi, rispondeva a un istinto e a un motivo logico: in quel gruppo di comuni, infatti, è dato cogliere la realtà economico- agraria ed umana più rappresentativa del mondo contadino meridionale.
     Non basta. C’ è anche da osservare che, per effetto insieme della immobilità e del risveglio, che ugualmente distinguono la vita in questi comuni, il comportamento umano è qui più ricco, più vario, e, vorrei dire, più coerente. Spesso altrove il movimento s’è fatto tanto rapido da rompere l’antica omogeneità della società contadina e da far perdere alle storie individuali il carattere inconfondibile che deriva loro dall’appartenenza ad una società antica e ferma. Anche se non è quella l’unica realtà nella quale questa rottura non sia ancora avvenuta, è bene che in questo libro la testimonianza più larga provenga di qui. Non va dimenticato, infatti, che l’interesse per i contadini dell’ Italia meridionale sorge appunto dal fatto che essi – come scriveva Rocco nel passo già citato – «formano ancor oggi il gruppo sociale più omogeneo e antico per le condizioni di esistenza, per i rapporti economici e sociali, per la generale concezione del mondo e della vita ».
     Ad arricchire la testimonianza su questo particolare mondo contadino, come era nelle intenzioni di Rocco, si pubblicano inoltre tre scritti di sua madre, Francesca Armento, che ella aveva appositamente preparato per lui rispettivamente dedicati a raccontare cosa sono in paese i rapporti di vicinato, come le donne sentono e parlano qui dell’amore e qual’ è l’atmosfera del giorno dei morti: essi danno un’apertura suggestiva su relazioni e sentimenti di cui nelle «vite» degli uomini si trovano solo pochi e indiretti accenni.
     La madre di Rocco è lei stessa una delle figure più vive e significative di questo mondo contadino, allo stesso modo che lo è Rocco. La figura di lei e la sua « vita» escono vive e indimenticabili dalle due pagine che Rocco scrisse un anno fa, presentando ai lettori di « Nuovi Argomenti» un racconto di lei, sulla commare Nunziata, pagine che con il racconto abbiamo pensato che fosse opportuno di ripubblicare in questo volume. La figura di lui e la sua vita e morte, appaiono commoventi e indimenticabili nelle pagine che, come un lamento funebre, ella ha scritto un mese dopo la morte, quando seppe che gli amici stavano riordinando questo che è insieme l’ultimo e il primo dei suoi libri.

     Avevamo pensato di premettere a tutte le « vite» di questo volume questo drammatico umano racconto, ma c’è parso poi meglio di lasciar l’ordine che il libro doveva avere e di mettere questa vita di lui come ultima, accanto alle vite dei suoi contadini.

MANLIO ROSSI-DORIA

 

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