Ho riletto con molta emozione  L’AFFAIRE MORO, libro di Sciascia scritto “a caldo” nel 1978; ha suscitato commozione e fatto riaffiorare ricordi. Il proposito di “trovare” l’ironia di Sciascia sulle “catene leggere” si rivela difficilissimo, se non impossibile.  

Brevemente del libro. Mentre, in una gara di codardia, i politici italiani, nonché i giornalisti, si affannavano a dichiarare che le lettere di Moro dalla prigionia erano opera di un pazzo o comunque prive di valore perché risultanti da una costrizione, Sciascia si azzardò a “leggerle”. Riuscì in tal modo a ricostruire una intelaiatura di pensieri, di correlazioni, di fatti che sono ciò che più permise di avvicinarsi a capire un episodio orribile della nostra storia.

Presentando il libro nella edizione del 1983, Sciascia scriveva: «questo libro potrebbe anche esser letto come opera letteraria. Ma l’autore (membro della Commissione parlamentare d’inchiesta) lo ha vissuto come “opera di verità”». 

L’allora arcivescovo di Ferrara (dal 1986 al 1982), mons. Filippo Francschi, uomo di grande cultura, l’aveva compresa e manifestata dalla sua cattedra arcivescovile; io polemizzai con un intervento su uno dei due quotidiani ferraresi e anche personalmente; quando, in ritardo, leggendo L’AFFAIRE MORO compresi la verità e mi ricredetti mons, Franceschi non era più arcivescovo di Ferrara, ma vescovo di Padova.

Mons. Franceschi aveva conosciuto i nostri (miei e di Titina) amici tricaricesi Benito Lauria e Angelina Gagliardi; nel periodo in cui Angelina e Benito frequentavano l’università cattolica di Milano alloggiati nei collegi Marianum (femminile) e Augustinianum, egli era stato vice direttore dell’Augustinianum; Angelina, affascinante tessitrice di solidi rapporti umani e culturali, costruiti su una impareggiabile arte di affabulazione e capacità di diffondere idee e far sbocciare interessi, era stata la prima direttrice di un giornale studentesco della Cattolica, di cui l’ultimo direttore fu Mario Capanna, uno dei principali leader del movimento del Sessantotto. Quando veniva a Ferrara andavamo a salutare l’arcivescovo; in privato si davano il tu. Mons. Franceschi ricordava bene anche Benito ed ebbi con lui qualche altro incontro anche senza Angelina.

Quando lessi L’AFFAIRE MORO e mi ricredetti, andai a Padova a scusarmi.

 

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