Pierluigi Castagnetti, carissimo amico che ha avuto ‘amabilità di leggere il mio post su Olivetti e Matera, in cui è citato don Giuseppe De Luca, lucano di Sasso di Castalda e prete romano, mi ha invitato a scrivere ancora di questi personaggi, di don Giuseppe De Luca.
Non scrivo di don Giuseppe e, con orgoglio di lucano, gli lascio la parola.

“Tutte le volte, e non furono tante, che io son tornato nella casa dove nacqui (è in un paese montano, sul margine di faggete eterne che mai nessuno ha traversato, nel cuore più nascosto della Basilicata; e sì che vi si è a distanza pari, lassù, tra 1’Adriatico, lo Ionio, il Tirreno, e io fanciullo coi pastori spiavo se, di tra una radura e l’altra della sommità più alta, si vedessero in lontananza scintillare insieme le tre marine); tutte le volte che sono tornato a casa, dicevo, giungendovi da Salerno per il Vallo di Diano, non appena oltrepassato il crinale che il Vallo separa dalla vallata del Pergola, d’un subito scoprivo, li sulla costa di fronte, il mio paese nel sole, e poco più giù sulla destra il camposanto, dove dorme colei che, dando in cambio la vita sua per la mia mi fece uomo; e accanto ad essa, dorme il prete che fece me prete.
Voi direte: il Pergola, peuh! gran fiume che è! e poi anche la valle di cotanto fiume, e poi… Adagio, lettore. Da quei monti dietro il mio paese, da quelle faggete, scende il Melandro; il Melandro per una matassa lenta di andirivieni va a riversarsi nel Pergola, il Pergola nel Tanagro; e così, dolce dolce, una valle appresso all’altra, ora costeggiando l’uno ora l’altro paese, antiquos subterlabentia muros, quei magri fiumi a Pesto, dove l’acqua del mare serba ancora una sua certa luce: poco più su insomma dell’antica Elea, dove nacque un giorno la metafisica, come sullo Ionio a Metaponto, ora coltivata ma sempre solitaria, nacque un giorno la filosofia religiosa. Lettor mio, vuoi proprio levarti la voglia e il gusto di darci di “area depressa”? Padrone. Io pure, rintronato sin da fanciullo tra nomi come Melandro, Tanagro, Sele, Palinuro, Elea, Metaponto, anche io mi sento quando perplesso e quando depresso. Non forse in quel senso che dici tu, ma è un fatto, sento che mi opprime, quasi un peso troppo grande, il peso di tre millenni continuati nella luce della civiltà; E se non ti dispiace, mi sento turbare tutte le volte da quelle terre, quei cieli, quei boschi, quelle acque, quei luoghi senza gloria, così poveri e antichi. Tutte le volte. Te ne accorgerai tu pure, un giorno non lontano. Di questi giorni l’amico Barelli mi ha mandato il volume da lui curato; e di questi giorni, ahimè, è morto Luigi Pareti, il discepolo maggiore di Gaetano De Sanctis; è morto, ma aveva terminato appena per me una storia incomparabile e severa della Lucania antica. Gliela pubblicherò, con l’aiuto di Dio e di chi mi vuol bene, la pubblicherò, e vedrai, vedrai, lettore. Torno, dicevo dunque, a casa; supero il crinale, e vedo apparire nitide e lontane le mura “povere e vetuste” del mio paese; di meno di mille abitanti; le veggo, e regolarmenti gli occhi mi si inumidiscono. Piangere, no, troppo sarebbe; ma lagrimare, sì, e tutte le volte“

 

One Response to Dalla “Ballata alla Madonna di Chestocowa” di don Giuseppe De Luca descrizione forte e profonda del territorio lucano

  1. domenico langerano ha detto:

    Bravo Antonio, ti abbraccio e ti ringrazio per i tanti riferimenti come questo che tu continui ad offrirci che, almeno io, ignoravo e quindi sono per me gioia che mi offri alla lettura.
    Grazie
    Mimmo

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