RICORDI D’INFANZIA, GIOIOSI, INGENUI E ANCHE QUELLI BRUTTI
DEDICATO A UN’AMICA, CHE HA PUBBLICATO UNA FOTO GIOIOSA DELLA SUA INFANZIA
Tutti i miei compagni erano al campo sopra la stradella e la gola profonda delle grotte da dove il colonnello si era buttato. Pioveva a dirotto. « Ma proprio con questo tempo il colonnello deve andare a prendere il vino?» dicevano le donne vedendolo passare sotto un ombrello che reggeva malamente alle raffiche di vento.
Il colonnello, senza lasciare la presa dell’ombrello, si lanciò dall’alto della gola. L’ombrello, all’inizio rallentò la caduta finché fu capovolto dalla forza del vento. Il colonnello non morì sul colpo, riportò numerose fratture, molto gravi, che gli procuravano dolori atroci e morì dopo alcuni giorni d’insopportabili sofferenze.
Donato, il nostro capo, con i capelli rossicci che cadevano sulla fronte e gli occhi cilestri e la faccia piena di pidocchi (efelidi), comandava il gioco.
Il campo era grande: le galline razzolavano e i maiali grufolavano indisturbati dai nostri giochi e dalle nostre corse.
Giunto al campo vidi i miei compagni col naso all’insù che guardavano l’abbaino dove vive Pinocchio attenti a scorgerne il naso lungo e il cappello a punta. Mi accolsero come se non fossi andato via, ma arrivato un poco in ritardo.
Le rondini, in folti stormi, oscuravano il cielo e le immagini che riflettevano sui vetri della finestra dell’abbaino generavano l’illusione che Pinocchio si fosse mostrato. Si accendevano vivaci discussioni tra chi giurava d’aver visto una fugace apparizione del burattino e chi smentiva. Ma nessuno dubitava che Pinocchio vivesse in quell’abbaino, come Marcoffio abita nella luna e lo si vede nelle notti di plenilunio. Ma Marcoffio è uno scienziato serio e Pinocchio un burattino dispettoso.
Il volo delle rondini disegnava volute nell’aria: si abbassano fino a toccare quasi terra e rapidamente s’impennavano verso il cielo.
Una rondine s’impigliò nei miei capelli folti lunghi e ricci come quelli di un bambino dell’Abissinia. Io e la rondine eravamo terrorizzati. Liberarono la rondine tagliando un lungo ciuffo dei miei capelli e io esibivo il taglio dei miei capelli come prova che avevo mangiato il cuore vivo della rondine. Chi mangiava il cuore vivo di una rondine appena uccisa diventava, infatti, molto coraggioso. I miei compagni non dubitarono che io avessi mangiato il cuore vivo della rondine e il mio prestigio crebbe. Forse avrei potuto togliere il comando a Donato, ma scacciai il pensiero, Donato era il solo indiscusso nostro capo.
Il pomeriggio, quando il sole era alto nel cielo e il caldo asfissiante, il nibbio, con le ali curve, immobile, avvistata una preda, un topo un serpente, gli piombava addosso e se lo portava via tra gli artigli. Nell’ora più calda ci recammo sul campo per catturare il nibbio, prima con le buone, poi con le cattive. Cominciammo a cantare in coro una nenia «Nigghio nigghio, scinni ‘nterra che c’è tuo figghio». Il nibbio non scendeva. Allora passammo all’azione. Scavammo una buchetta, la riempimmo d’acqua, vi versammo una manciata di acetilene e infine coprimmo la buca con un barattolo vuoto, bucato al centro. Quindi ci giocammo la sorte, per designare quello di noi che, rischiando di farsi trinciare la mano, doveva tentare di abbattere il nibbio. Toccò a me. Mi sdraiai a terra e avvicinai una fiamma al buco del barattolo, che, per la reazione dell’acetilene, schizzò in aria come un proiettile. Io avevo ritirato in tempo la mano, il nibbio restò immobile, con le ali curve, nell’aria calda.
Donato ci raccontò un fatto. Così dovevamo fare noi se le nostre mogli ci avessero fatto le corna, quando saremmo diventati grandi e ci fossimo sposati.
Un giovane marito aveva il sospetto che la moglie lo tradisse. Finse di partire per affari, ma entrò a casa dall’altra porta, che immetteva nella camera da letto, dove si nascose. Vide entrare l’amante e la moglie raggiungerlo dall’altra stanza, dalla porta che metteva in comunicazione la stanza d’ingresso con la camera da letto. Lasciò che si spogliassero e, lentamente, con tutte le effusioni che si fanno in simili circostanze, che andassero a letto. Uscì dal nascondiglio e con due colpi di fucile uccise gli amanti. Raggiunse la casa dei suoceri e riferì che cosa era accaduto. Il suocero, la suocera e i cognati lo abbracciarono e baciarono, il suocero e un cognato lo accompagnarono alla caserma dei carabinieri.
Scontò la sua non lunga pena, perché ebbe riconosciuta la causa d’onore, e tornò al paese. Al castello, dov’era l’ingresso al paese dalla parte della stazione, fu eretto un arco di tronfio con fiori, rami con foglie verdi e le bandiere e lì lo attendeva tutto il paese, con la famiglia della donna uccisa e la banda in testa.
La storia veniva raccontata con orgoglio negli anni successivi e ancora negli anni successivi per lasciare testimonianza di quanto il paese ci tenesse all’onore.
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Che bel racconto :quando il delitto d’onore godeva delle attenuanti di pena
Delitto d’onore, abrogato solo nel 1981 – Secondo il codice penale era punito con la reclusione da tre a sette anni chi cagionava la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nel momento in cui ne scopriva l’illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata al suo onore o a quello della famiglia. La stessa pena si applicava a chi, nelle stesse circostanze, cagionava la morte della persona trovata in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.
Hanno ammazzato compare turiddu…..
Quanta acqua è passata sotto i ponti..