Carlo Levi, in nota alla Prefazione datata Roma, aprile 1954 alla prima edizione della raccolta di poesie di Rocco Scotellaro «È fatto giorno», annunciava che nella carte del poeta da poco scomparso era stato trovato un gran numero di altre poesie, di frammenti, di varianti e che ci si proponeva di pubblicare al più presto la raccolta completa della sua opera poetica. Per la realizzazione del progetto trascorsero invece molti anni e, per avere raccolto in un unico volume tutto Scotellaro, di anni ne sono occorsi cinquanta.

       «Margherite e rosolacci» è una seconda raccolta di poesie di Rocco Scotellaro, curata da Franco Vitelli e pubblicata nel 1978, con la Prefazione di Manlio Rossi Doria, nella stessa collana «Lo Specchio» delle Edizioni Mondadori, dove, ventiquattro anni prima, era stato pubblicato È fatto giorno. Essa tecnicamente non realizzò quell’edizione completa annunciata da Carlo Levi, ma come tale fu percepita. Rossi Doria aveva scritto nella Prefazione che Scotellaro aveva dato una destinazione alle poesie scelte prima della morte, ma non si conosceva la destinazione che avrebbe dato alle altre poesie, né se e quante ne avesse perdute tra le carte o avesse messe da parte per riprenderle in seguito nei motivi o nella forma. Si decise peraltro di pubblicare anche queste poesie (ne erano 168, compresi sette frammenti) in un’altra raccolta, nella convinzione che essa, raffrontata con la prima, avrebbe permesso di meglio comprendere le vicende e il significato della breve vita e dell’opera di Scotellaro.  E in effetti, mi ripeto, la nuova raccolta si presentò come parallela e integrativa di E’ fatto giorno, formando con questo il corpus poetico di Rocco Scotellaro.

       Il titolo Margherite e rosolacci poneva il nuovo volume in significativo rapporto con «E’ fatto giorno», da cui mutuava il titolo dell’ultima Sezione della Parte prima. La ripartizione sicuramente incongrua delle poesie – a parte i sette frammenti – in datate (102) e non datate (60), queste sole tripartite – 1942-1945 (17), 1946-1949 (26), 1950-53 (17) – rendeva d’altra parte vana la corrispondenza del nuovo volume alle tre stagioni di Rocco Scotellaro così cadenzate da Manlio Rossi Doria nella Prefazione: 1) la tormentata crescita della giovinezza (1940-45), 2) la sofferta presa di coscienza di sé, della sua terra, del paese, della gente (1946-50), 3) l’asciutta ed amara esperienza della inevitabile sconfitta, del distacco dalla sua gente, del nuovo rapporto con il mondo grande e complesso (1950-53). Comunque, prevalse la sensazione che si fosse realizzato l’annuncio di Levi che fosse stato oramai pubblicato «tutto Scotellaro», nonostante che Vitelli avesse avvertito che le Margherite, pur intese a un recupero assai ampio, si erano imposte delle limitazioni che non mancava di precisare.

       La prima limitazione, che mi preme sottolineare con marcata evidenza, è che nelle nuove Margherite non trovarono posto quelle poesie dell’ultima raccolta curata da Scotellaro, a suo tempo escluse da Levi, che a Vitelli pareva filologicamente più corretto che venissero pubblicate, come in sede naturale, in una ristampa di E’ fatto giorno. In sostanza qui Vitelli annunciò non una ristampa bensì la stampa del vero «È fatto giorno», sostitutiva della raccolta di Levi, secondo Vitelli filologicamente non corretta o non molto corretta; stampa che fu effettuata nel 1982, quattro anni dopo, a cura dello stesso Vitelli, negli Oscar Mondadori.

       Altra limitazione concerne l’esclusione di poesie dialettali, di trascrizioni di canti popolari o di altro materiale folclorico in versi, dettata dall’esigenza di mantenere un taglio omogeneo sicché una loro pubblicazione era prevista su una rivista specializzata («Lares») a cura di Giovanni Battista Bronzini.

       Il progetto annunciato da Levi della pubblicazione dell’edizione completa dell’opera poetica di Rocco Scotellaro trova attuazione nel 2004 con la pubblicazione, in occasione del Convegno di Tricarico per il cinquantesimo anniversario della morte di Rocco Scotellaro, di tutte le sue poesie (Rocco Scotellaro, Tutte le poesie 1940 – 1953, a cura di Franco Vitelli con Introduzione di Maurizio Cucchi, 1a edizione Oscar poesia del Novecento maggio 2004). In un unico volume sono pubblicate sia le poesie raccolte in E’ fatto giorno e Margherite e rosolacci, sia poesie dialettali, di trascrizioni di canti popolari o di altro materiale folclorico in versi.

       L’esistenza di due edizioni di È fatto giorno (Levi e Vitelli) con molte e rilevanti varianti, esige di chiarire quali sono le poesie di È fatto giorno. Per Rabatana sono quelle dell’edizione Levi, per cui residua un certo numero di poesie presenti nell’edizione Vitelli. In ciascun’edizione c’è un cospicuo numero di poesie escluso dall’altra. Le poesie escluse dell’edizione Levi (36) le conosciamo, perché sono pubblicate in un’Appendice dell’edizione Vitelli, ma le poesie eccedenti dell’edizione Vitelli bisogna dedurle con un attento lavoro di confronto, che mi riservo di effettuare prossimamente. Nella stessa occasione spiegherò anche perché è stata compiuta la scelta a favore dell’edizione Levi.

       Margherite e rosolacci subisce un sostanziale rifacimento per la scoperta di un consistente pacchetto di altre 55 poesie, nonché per il completamento del lavoro di datazione di tutte le poesie. La prima edizione del 1978 viene spacchettata e ricomposta in tre parti corrispondenti ad altrettanti periodi: 1941 – 1945, con 87 poesie, 1946-1949, con 99  poesie e 1950-1953, con 50 poesie (adempiendo finalmente l’auspicio di Rossi Doria).

       Con tale rifacimento vengono incorporate le 8 traduzioni, su Rabatana pubblicate invece in una Sezione autonoma, mentre i 7 Frammenti vengono trasferiti nella appropriata Sezione Frammenti ed Epigrammi di prossima pubblicazione su Rabatana.

 Segnalo alcune tra le poesie che più mi sono piaciute, spiacente per le molte che mi sfuggono: Messa a «Lo Spirito Santo», Giovani come te. Vico Tapera, Il volontario, Qui le ventate piegano le canne, Muratori per la siesta, Le strade vanno all’infinito, Pasqua ’47, Quaresima ’48, La pace dei poveri, A Roma il 1948, Montescaglioso, Appunti per una litania, Il posto, Ai giovani comunisti, Sera potentina, Ai poeti, Paese mio!, La cartolina al giovane vaccaro, Moribondo paese, L’Adige scroscia, Arance in bocca ti sentirai, Vento fila, Villa d’Este, È lutto in casa di mio suocero, Ho appreso il gioco dei fischi dei tram, Lucertola sulle canne secche, Lettera a don Leonardo Sinisgalli, Buon maresciallo, che conti alle dita, L’uomo.

       A piè pagina di Messa a «Lo Spirito Santo» c’è una nota di Rocco Scotellaro per dedica a Don Angelo Mazzarone, significante il suo animo in crisi.

       La poesia da me largamente preferita è Vico Tapera, che più volte ho dichiarato che con Sopportico delle Api rappresenta l’anima di Tricarico, della Tricarico contadina fino alla prima metà del secolo scorso. Inviata a «La Strada» di Antonio Russi, la poesia ebbe entusiastica approvazione nella Posta del fascicolo febbraio-marzo 1947. Vico Tapera è dirimpetto alla casa Scotellaro, dalla parte che scende al Piano. Vicolo non cieco ma senza sbocco: in ripida discesa finisce in una specie di buco, senza collegare via Roma al Piano.

      Mi piace, infine, segnalare la poesia L’uomo, generando forse una qualche sorpresa. È datata Portici, 9 marzo 1953. Stalin è morto da quattro giorni. Rocco non è mai stato comunista e staliniano, e non ha conosciuto la fine e la condanna dello stalinismo. Sotto il segno dell’ideale di fraternità, di pace e di giustizia eleva a Stalin un inno che non ha uguali:
L’uomo che vide suo padre calzare

gli uomini e farli camminare

imparò da quell’arte umile e felice

la meraviglia di servire l’uomo.

[…]

Quell’uomo muore. Attorno attorno

alla ceppaia gigantesca che è

agili frullano i vivai che piantò nel mondo.

Ogni uomo che dà agli uomini amore profondo

e il pane e le scarpe e la casa e le macchine

può dire chi era Stalin e la ragione del mondo.

       A nessuno che si prefigga la comprensione della poesia di Scotellaro è delegato il compito di valutarne gli orientamenti politici, perché sullo statista russo, in quei tempi mitizzato dalla propaganda politica, egli proietta il proprio ritratto di attivista pochi giorni dopo la morte. A lui lo legava anche la professione paterna (L’uomo che vide suo padre calzare / gli uomini e farli camminare / imparò da quell’arte umile e felice / la meraviglia di servire l’uomo).

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