15 GENNAIO 2017

Il Sole 24 Ore

DOMENICA

Paola Bassani – Giorgio, l’ebreo diverso

Elisabetta Rasy

Allude fin dal titolo all’intimità piuttosto che alla carriera di scrittore il titolo, Se avessi una piccola casa mia , che Paola Bassani ha scelto per il libro di memorie dedicato a suo padre Giorgio per accompagnarne e concluderne il centenario della nascita. La frase è tratta dal brano di una lettera che tutto intero suona così: «Se avessi una piccola casa mia, con te e la mia bambina dentro, una casa dove lavorarci e viverci, in una città meno massacrante di Roma, sono sicuro che sarei e che saremmo felici. Invecchieremmo senza rimpianto, non credi?».È il mese di giugno del 1946, lo scrittore ha alle spalle un breve curriculum letterario, qualche poesia e qualche racconto (il primo sotto falso nome a causa delle leggi razziali), l’uomo invece ha già una lunga storia: la gioventù ovattata nella buona borghesia cittadina ferrarese ebraica e non, tra la passione per il tennis e quella per la boxe, bruscamente interrotta per le persecuzioni naziste e i molti deportati in famiglia; l’incontro con Roberto Longhi e la sua Officina ferrarese negli anni universitari; il carcere per l’attività antifascista; il matrimonio di guerra nel 1943 con l’amata Valeria Sinigallia e subito dopo la fuga a Firenze per nascondersi; qualche anno di insegnamento; il difficile insediamento nella capitale, dove con instancabile determinazione, alzandosi ogni mattina alle quattro per scrivere prima che cominci la giornata lavorativa necessaria a mantenere la famiglia cui si era aggiunto il figlio Enrico, diventerà poi lo scrittore che conosciamo. Ma la storia che la figlia racconta non è una biografia, né un saggio sulla sua carriera letteraria, già conosciuta e studiata. Siamo nei pressi della vita privata, quanto meno di quel privato di un uomo che si riversa nel chiuso della famiglia e degli affetti. Per questo il libro di Paola è un’affettuosa evocazione del padre, ma anche un interessante ritratto di scrittore da giovane, in quel tratto di tempo che va dalla giovinezza sotto il fascismo alle leggi razziali e alla guerra, e soprattutto dopo, il difficile e faticoso fervore del dopoguerra, indimenticabile stagione di povertà e speranza. C’è la Ferrara dei nonni, la casa di Giorgio in via Cisterna del Follo dove abitava la madre Dora, bella e spaziosa, tutt’ora esistente, e anche quella, ormai distrutta, del nonno materno dello scrittore, Cesare Minerbi, in via della Ghiara: la casa del mondo di ieri, scura e stipata di oggetti, come se dovesse fare il pieno di un passato che stava per essere inghiottito dai demoni della storia. Poi le case dell’approdo a Roma, l’inizio di quella che Massimo Raffaelli nell’ introduzione al libro definisce la “lieta e svagata” bohème, che forse non deve essere stata così svagata con i tanti conti da pagare, ma invece sicuramente lieta con le nuove amicizie, le serate in trattoria e l’ansia di conoscere tutto, dalle antiche chiese, romane in cui Giorgio accompagna regolarmente i suoi figli in visita pedagogica, ai pomeriggi musicali in casa di Attilio Bertolucci, tutti intorno al grammofono per imparare la lezione delle grandi opere liriche, Traviata , Trovatore eccetera. Uno stile di vita e un ambiente che Giorgio condivide con la moglie Valeria, a cui, nota la figlia, lo univa un senso di sradicamento, essendo lei un’ebrea trapiantata da Ferrara a Pola a causa di dissesti familiari e lui “un ebreo diverso”, legato alle sue radici ma insofferente di ogni appartenenza che non fosse quella degli affetti o della letteratura. Ecco dunque il giovane Giorgio che si sposta con la famiglia di appartamento in appartamento ( il primo nella capitale, a via Fogliano, glielo trova il concittadino Michelangelo Antonioni). Nella casa di via Lago Lesina non ha un vero studio: in una piccola stanza la scrivania contende lo spazio al tavolo da stiro. Quanto ai mezzi di trasporto, prima viene la bicicletta, con cui andava a trovare da Monte Sacro a Piazza Ungheria un amico carissimo , il critico e editor Niccolò Gallo, poi un motorino Guzzi sempre in panne, poi la Lambretta, con cui una volta viaggia da Roma a Tai di Cadore. Le macchine arrivano solo con le collaborazioni cinematografiche che, ricorda Paola, segnano l’uscita dalla miseria: una 1100 Fiat e poi una Milledue vinta a un concorso cui aveva partecipato insieme a Franco Fortini. Con l’automobile comincia la stagione delle gite domenicali con gli amici Citati, Garboli, Soldati e tanti altri, tra cui quella alla necropoli di Cerveteri che diventa il prologo del Giardino dei Finzi-Contini . Gli amici sono importanti per lui, anche quelli che conosce come redattore delle riviste «Botteghe Oscure» e «Paragone» e poi alla Feltrinelli: Margherita Caetani, Anna Banti, Pasolini. Un’altra figura che rientra nella sua cerchia amicale, quando ormai è un autore affermato, è il vecchio Arnoldo Mondadori, «generoso e simpatico», che regala a Paola per le sue nozze un bellissimo tappeto persiano, con il quale finalmente Giorgio si sente «a casa sua, libero di badare in esclusiva alle sue pagine come a quelle dei suoi traduttori». Alle sue pagine in realtà, come testimoniano queste memorie, Giorgio aveva sempre maniacalmente badato: «I suoi appunti svolazzavano un po’ dappertutto, leggeri come farfalline, non importa che fossero abbozzi di poesie, frasi da inserire in un racconto, frammenti della minuta di una lettera. Quando gli veniva una parola, la annotava su ciò che aveva a portata di mano: poteva essere il foglio di una lettera appena ricevuta, una busta, un biglietto d’autobus o di cinema». Ci teneva tantissimo ai pareri degli amici e alle recensioni, soffrendo molto per quelle negative, ma i suoi primi critici erano i figli: «Ci diceva, facendoci ascoltare prima la versione finale e solo dopo la precedente: “Vi piace di più così o così?”». Aveva educato i figli alla lettura dei classici fin da piccoli, Ariosto mandato a memoria insieme ai grandi classici italiani, tra cui l’amatissimo Manzoni, al punto che per Paola è stato poi difficile farsi gusti suoi che non coincidessero con quelli del padre, e invece facile occuparsi del suo lavoro e dei suoi lasciti prima ancora della morte, quando dalla fine degli anni Settanta la malattia cominciò a strappargli la facoltà di ricordare. Per anni l’aveva visto lavorare con concentrazione monacale su un’infinità di quaderni a quadretti, con una scrittura densa e minuta che lasciava spazio ai margini per le numerosissime correzioni. Un bel frammento di questo ritratto di autore è quanto racconta a proposito del rapporto del padre, anche negli anni dell’affermazione, con la scrittura: «Scrivere gli costava un’enorme fatica. Perché scriveva, allora? Fin da adolescente sentiva di avere una particolare vocazione che lo differenziava dagli altri e che doveva a tutti costi proteggere e coltivare, la sua vocazione poetica».

Paola Bassani, Se avessi una piccola casa mia , La nave di Teseo, Milano, pagg. 248, € 17

 

 

One Response to Un libro di Paola Bassani accompagna e conclude il centenario del padre Giorgio

  1. D. Jankovich ha detto:

    Un vero piacere leggere gli articoli scelti da A. M. per noi suoi affezionati lettori.
    Grazie.

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