di Gabriela Lotto (Corriere della Sera del 28.12.2020)

Vichi De Marchi, giornalista che ha lavorato per l’Onu, ha da poco pubblicato un libro per ragazzi che narra la storia di un sopravvissuto alla bomba atomica.

Nell’introduzione di Nato a Hiroshima (DeA Planeta) scrive: «I protagonisti del romanzo sono frutto della mia fantasia, ma le loro storie nascono dalla lettura delle testimonianze di chi quel giorno a Hiroshima c’era». Aggiunge: «Sono reali anche le dichiarazioni del pilota che sganciò la prima atomica su una popolazione civile o le parole dell’imperatore Hirohito che annunciò la resa del Giappone». La vicenda si svolge nel 2020: nonno Riku visita a Roma la famiglia del figlio, sposato con un’italiana. I due nipoti, Tommaso e Alina, si accorgono che il taciturno nonno giapponese tiene nascosta una scatola. Incuriositi riescono a sottrarla e aprirla. All’interno solo ricordi che non riescono a decifrare. Riku cede alla loro curiosità e comincia a raccontare il suo passato.

Ci troviamo a Hiroshima dove Riku viveva con la famiglia. Aveva 12 anni. I bombardamenti erano continui, ma Hiroshima era stata risparmiata, e nessuno immaginava il disastro imminente.

I giapponesi, alleati con Hitler e Mussolini, erano ormai sconfitti, ma ancora convinti di vincere la guerra. La resa non sarebbe stata accettabile: lo sentivano ripetere in continuazione a scuola, alla radio, per strada, nei comitati di quartiere. Chi non inneggiava alla guerra era considerato un disfattista.

Eravamo in cinque o sei nel bar di Famiglietti quando il giornale radio comunicò la notizia del lancio della bomba atomica. Non ricordo chi eravamo, tranne Mimmo Molinari. Una bomba? Che bomba? Che può fare una bomba? Ne sono state lanciate migliaia nella guerra appena conclusa con la resa della Germania. Che bomba è? Ci guardavamo in faccia stupiti della nostra ignoranza. Come si chiama? Nessuno aveva memorizzato la parola “atomica”

 

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