MARIO JANNELLI, IL TRICARICESE CHE FACEVA MARCIARE I TRENI IN ORARIO
Il governo fascista si vantava di far marciare i treni in orario. Giustamente, perché davvero i treni marciavano in orario, potrei persino dare testimonianze personali. L’uomo di governo fascista che faceva marciare i treni in orario si chiamava Mario Jannelli, era nato a Tricarico nel 1982 da famiglia artigiana, il padre era sarto. Si laureò in giurisprudenza e si trasferì a Salerno, città dove esercitò la professione di avvocato penalista e della quale fu la maggiore figura della classe dirigente e podestà dal 1930 al 1934.
Dal 1935 fino al 1943 fu ininterrottamente sottosegretario alle comunicazioni per le ferrovie ed effettivamente le ferrovie italiane in quel periodo raggiunsero il massimo della loro efficienza e il massimo della loro precisione. Nominato sottosegretario fu accolto trionfalmente a Tricarico, come per non pochi decenni ha testimoniato la scritta sulla parete del palazzo Putignani, VIVA S.E. JANNELLI, che forse qualcuno ancora ricorda.
Ho ricordato Mario Jannelli sul mio blog in occasione di due comizi che fece a Tricarico: uno per il movimento sociale (MSI) dalla balconata sotto l’orologio di San Francesco e l’altro, dal balcone dell’ex albergo Cutolo, per il partito popolare monarchico (PMP), di cui era segretario nazionale. Sono ricordi raccontati senza avere alcuna conoscenza della persona, con prevenzione, ironia e qualche imprecisione, perché era stato un gerarca fascista e aveva militato e militava in quelli che ritenevo i peggiori partiti della destra.
Dovrei passare a raccontare in forma plurale, perché eravamo in due, io e Antonio Albanese, impegnati a sminuire e ridicolizzare la persona di Jannelli. parlandone male in giro; Antonio anche nella sezione del partito comunista. Calcavamo molto la mano sui particolari che sto per riferire.
Jannelli concluse col saluto fascista il comizio dalla balconata sotto l’orologio di San Francesco e, a dire il vero, ritengo tuttora che non avrebbe potuto concluderlo in modo peggiore.
Eletto deputato per il partito neofascista nella circoscrizione Salerno-Benevento, passò al partito monarchico di Achille Lauro e ne divenne segretario nazionale. Lauro comperava i voti in modo vergognoso e a raccontarli non si finirebbe più. Racconterò solo altre cose non altrettanto vergognose, che mi sembravano sufficienti a far venire fuori un quadro che potrebbe giustificare la nostra prevenzione ed avversione per il personaggio.
L’esponente di maggior spicco del partito monarchico di Lauro in Lucania era l’on. Odo Spadazzi, costruttore edile di origine romagnola, che aveva stabilito a Potenza la sede della sua attività politica e di costruttore edile. Si diceva che egli, per spiegare il passaggio dal partito monarchico di Covelli a quello di Lauro, avesse confidato: «Ma che mi poteva dare un Covelli, che porta le pezze al culo?». Fu proprio Spadazzi, che era segretario del gruppo parlamentare, a convincere Jannelli a tornare a Tricarico. Per l’on. Spadazzi tornare a Tricarico con una gloria locale, per di più segretario nazionale del partito, era indispensabile per riscattarsi dall’umiliazione inflittagli proprio nella piazza di Tricarico da una gaffe del comandante Achille Lauro, fondatore e padrone del Partito.
Era in corso la campagna elettorale per la terza legislatura (1958-1963). Lauro si impegnò a fondo. Si fece costruire una specie di camper, con un terrazzino sul tetto. In ogni piazza saliva sul terrazzino e teneva il suo comizio affiancato dal maggiore esponente locale del partito.
Nella piazza di Tricarico era affiancato dall’on. Spadazzi. A un certo punto del suo comizio disse: – Come mai osannate così tanto l’on. Colombo? Chi è ‘sto Colombo? Un ministro dell’agricoltura! Ma che vi credete che sia un ministro dell’agricoltura? Il ministro dell’agricoltura lo può fare un fesso qualunque. Anche il mio amico Spadazzi.-
Spadazzi tornò a Tricarico con Jannelli, per rifarsi dell’umiliazione subita. Di peggio non avrebbe potuto fare. Per dare risalto alla presenza del segretario del partito e gloria tricaricese, organizzò una comica gag sulla quale abbiamo riso molto. Jannelli iniziò il suo discorso spiegando, certo con più eleganza di Lauro, ma in modo non felicissimo, il suo passaggio dal partito missino al partito laurino: «Cari miei concittadini – esordì – forse vi sarete meravigliati vedermi tornare a voi come deputato della monarchia coi leoni. Sono passato alla monarchia coi leoni, perché sono sempre stato fervidamente monarchico, nonostante che abbia militato in un partito notoriamente repubblicano».
E non è finita. Il vicepresidente del partito, Raffaele Cafiero, non era uno qualunque, certamente una personalità di successo e spessore. Lucano nato a Melfi nel 1891, è stato giornalista, politico e avvocato, armatore e consigliere fidato di Achille Lauro, di cui fu anche autore di numerosi discorsi pubblici, diresse i giornali Il Risorgimento nel 1948 e Roma tra il 1950 e il 1952. È stato anche consigliere e vice sindaco di Napoli.
Si raccontava – questo è il punto che intendo mettere in evidenza -, e io ricordo di averlo letto da qualche parte, che Lauro, quando decise di fare una scissione nel suo partito e di fondarne un altro, appunto la Monarchia coi leoni, gli telefonò: – Don Raffaè, ho deciso di rompere con Covelli e di fare un altro partito. Mi dovete fare il piacere di fare il vicepresidente.
– Sono commosso, Comandà – rispose don Raffaele – Mi fate un onore grande grande. Vi sono e vi sarò grato in eterno –.
Passa qualche minuto e don Raffele telefona a Lauro: – Scusate, Comandà, qual è il partito di cui sono vicepresidente? –
Il risultato elettorale fu disastroso per i due partiti monarchici, che iniziarono un progressivo riavvicinamento.
L’on. Spadazzi, rieletto, non perse tempo a capire che doveva cercare un rifugio più sicuro; tentò prima col partito socialista, dove gli risero in faccia, e quindi col partito liberale, che l’accolse. L’operazione salvataggio si concluse nei primi giorni di novembre, a quattro /cinque mesi dalle elezioni.
Jannelli non fu eletto ed ebbe la delicatezza di dimettersi da segretario del partito.
Morì a circa un mese dalle elezioni.
Passarono anni e anni. Sfogliando per una ricerca gli atti della Camera dei deputati, leggo nel resoconto stenografico del 15 luglio 1958 la commemorazione di due deputati della precedente legislatura deceduti. Uno era Jannelli. Lessi tutti gli interventi e mi colpì il fatto che la maggior parte ricordavano solo Jannelli senza avere nulla del solito tono di circostanza proprio in tali occasioni, ma esprimevano sentita stima e apprezzamento per l’uomo, ben oltre le appartenenze politiche e il suo passato di gerarca e uomo di governo fascista. Mi colpì soprattutto l’intervento del repubblicano Cino Macrelli, che riporterò per intero.
Cino Macrelli, avvocato penalista, di famiglia di tradizioni mazziniane e garibaldine, deputato del partito repubblicano eletto nella circoscrizione romagnola, nel 1911 fu attivamente impegnato nelle manifestazioni che repubblicani, socialisti, camera del lavoro e anarchici organizzarono contro la guerra di Libia e fece parte del collegio di difesa di Pietro Nenni, processato insieme con Benito Mussolini, per i disordini scoppiati durante lo sciopero generale proclamato in opposizione al conflitto. Fu invece un acceso interventista allo scoppio della prima guerra mondiale. Fu iniziato alla Massoneria e divenne maestro massone. Prese parte alla prima guerra mondiale, rimase ferito in combattimento sul Podgora; catturato dagli austriaci, fu internato in campi di concentramento per prigionieri di guerra fino al 1918.
Eletto deputato nel 1921 e rieletto nel 1924, prese parte alla secessione dell’Aventino, per protesta contro l’assassinio di Giacomo Matteotti. Dichiarato decaduto dalla carica di deputato, a seguito dell’approvazione delle Leggi eccezionali fasciste del 1926, fu condannato al confino e poi arrestato fu inserito nell’elenco dei “sovversivi” del regime fascista.
Con la liberazione fu eletto all’Assemblea costituente e deputato nelle prime tre legislature; due volte ministro. È morto il 25 agosto 1963.
Bisogna sapere che in Romagna il partito repubblicano era un partito di massa, un partito che posso azzardare a definire religioso: sacro e infallibile il partito, il repubblicanesimo mazziniano e l’anticlericalismo la fede.
Macrelli un mito. Brillante oratore, i suoi comizi riempivano le piazze, coinvolgevano, estasiavano le folle, le trascinavano, le donne, si diceva, se lo guardavano, rimanevano incinte.
Ed ecco, riportata integralmente, la commemorazione di Mario Jannelli, fascista, monarchico e cattolico, fatta da Cino Macrelli, antifascista, repubblicano e massone:
«Aggiungo le mie personali parole di cordoglio per la morte dell’onorevole Jannelli. Sono stato con lui nel 1915, nella guerra di liberazione. Insieme fummo prigionieri, nello stesso campo, in Austria e in Ungheria. Là, insieme con altri, noi svolgemmo un’attività che poteva portarci verso la durezza del carcere o verso il capestro, iniziammo cioè un lavoro delicato, difficile e pericoloso: allacciare relazioni con il comando italiano per dare le informazioni che ci venivano anche nei campi di concentramento. L’ho rivisto qui nell’aula di Montecitorio. Dopo la dura battaglia elettorale, mi sono incontrato con lui nei corridoi della Camera e ho sentito tutta l’amarezza del suo animo e del suo cuore. Ad un certo momento egli mi ha detto una frase che ricorderò ancora: «debbo andare in clinica; forse vado verso la morte ». E non aveva i mezzi per affrontare l’atto operatorio; fu così che si rivolse a me perché io dicessi una parola alla Presidenza della Camera. Questo episodio vi dica chi era Mario Jannelli. Alla sua memoria il ricordo affettuoso di tutti, anche di noi che eravamo al di la della barricata».
Appresi una grande lezione civile e democratica.
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Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli
pensando ciò che ‘l mio cor s’annunziava;
e se non piangi, di che pianger suoli?
Caro Antonio, te l’avrò detto diecimila volte, vedi che i tuoi ricordi e le tue documentazioni sui de cuius sono importanti. Ho sentito citare molte volte Jannelli da papà, ma senza particolari aneddotici degni di nota, quanto a dover piangere o semplicemente rimpiangere certi personagi di un non lontano passato … lasciamo perdere o, come si suol dire, parce sepulto
Ti è parso che io abbia rimpianto Jannelli? O he l’abbia rivalutato politicamente? Ho solo detto che Cino Macrelli mi ha insegnato ad avere rispetto anche dei nemici politici se, come persona, lo meritano.