IL CÀNTERO PROIBITO
Cantero è un nome di cui i lettori certamente non conosceranno il significato; il Dizionario Sabatini Coletti da una definizione non sbagliata ma non precisissima, perché non dice quale è stato nei secoli il suo principale uso.
Per spiegare che cosa è il cantero dovrei evocare un tempo favolosamente lontano, incredibile, inimmaginabile, riproducente scene d’ambiente del Decamerone pasoliniano, ma che è tuttavia stagione di un tempo ancora vissuto dalla generazione precedente la mia, tra lo scadere dell’Ottocento e i primi decenni del secolo scorso, che io stesso ho vissuta per un pezzetto e ricordo in modo quasi subliminale, con la nostalgia e l’incubo del ritorno a un tempo naturale non contraffatto dall’ossessione dell’igiene e dal progresso della chimica.
Incubo, dicevo. Proibii, infatti, a Titina –che lo desiderava molto e quindi moltissimo la delusi – l’acquisto un bellissimo vaso cilindrico di pura porcellana, che richiamava appunto alla mia memoria un simile vaso in terracotta modellato all’orlo con una fascia adatta alla seduta per soddisfare i bisogni corporali, a casa di zii di mio padre, che ci ospitavano in occasione dei ritorni al paese natio, che era un paese privo di fognature; nonché i vasi che vedevo versare nella “carretta” che passava lasciando una scia di puzzo atroce nelle sere d’estate, quando eravamo seduti sull’uscio di casa, io in braccia a mia madre, a prendere il fresco.
Non avrei potuto tollerare la presenza in casa di quel vaso pur terso e immacolato di purissima porcellana, che avrebbe fatto bella mostra di sé. Di terracotta o di finissima porcellana per gli aristocratici, i cànteri erano tutti uguali ed erano serviti per la medesima funzione.
Curiosando nella Biblioteca comunale di Modena, quando abitavo in quella città, mi capitò di leggere una lettera dell’ambasciatore del Ducato in Francia; l’ambasciatore descriveva al Duca l’ottimo stato delle relazioni col regno di Francia, e forniva la più eloquente delle prove riferendo che il re – non ricordo di quale Luigi si trattasse – lo aveva ricevuto “in seggetta”. Cosa avrebbe potuto fare di più un re, felicemente regnante, per provare la considerazione che aveva per uno stato amico, se non ricevere l’ambasciatore mentre sbrigava il più personale e intimo bisogno?
Ma il càntero in pura porcellana non ce la potevo fare a vederlo troneggiare a casa mia e, con tutta la buona volontà per non dispiacere Titina, non ce la feci a dare il consenso.
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Pur conoscendo il significato di cantero, queste eccelse spiegazioni mi hanno spinta a cercare oltre; pertanto ho scoperto – finalmente! – l’origine di una espressione che mia madre usava spesso: u zi’ Pepp’, riferendosi a qualcosa di… ingombrante.
“Si racconta che Ferdinando di Borbone (Re Nasone) fosse solito ricevere i propri ospiti e sudditi facendosi trovare seduto sul cantero, essendo diventato re a soli 9 anni. Ferdinando conservò questa abitudine anche in età adulta fino al punto che il cognato, futuro imperatore Giuseppe d’Asburgo, gli regalò un lussuosissimo pitale racchiuso in una colonnetta di legno.
“Racchiuso in lignee colonne con ante che si aprivano al di sotto di un capitello in stile barocco su cui venivano sistemate in bella mostra delle piante dalle cascanti foglie.”
Entusiasta del dono Re Nasone non esitò a battezzarlo, in onore del cognato, Zì Peppo e lo ripose nella Sala Ambasciatori del suo appartamento privato”.
Grazie. Conoscevo l’espressione zi Peppe, ma non il perché, e ugualmente l’abitudine di re Nasone.
Carissimi,
il mio contributo é un copia-incolla dal dizionario del dialetto tricaricese, vergognosamente misero non avendo potuto citare i vostri preziosi recuperi storici che, citando le fonti, avrebbero potuto arricchire questo lemma, ne farò ammenda al pari di altri spunti che nel tempo ho colto da questo ‘martinantoniano’ blog
Kwàndrë 1.Vaso, recipiente usato un tempo per defecare; gr. κάνϑαρος, coppa a due manici; ar. qìnter
2.Usato in senso dispregiativo per una persona men che insignificante
Mimmo