IL MULINO, pagg. 192, € 14

La dialettica tra Cina e Occidente è più attiva di quanto appaia, benché si tenti in ogni modo di ricondurla a uno schema da “guerra fredda”. Da questo punto di vista leggere La Cina di oggi in otto parole di Beatrice Gallelli è davvero illuminante, perché spiega in che modo la Cina si sia sinora confrontata con il “modello occidentale”, e per quali vie sia giunta all’attuale condizione di superpotenza.

Questo libro permette di capire in che modo vengano intesi in Cina concetti quali popolo, democrazia, sviluppo, spirito, potenza, nazione, ecc. E lo fa inquadrando questi concetti diacronicamente, senza trascurare le tante contraddizioni ideologiche e politiche della Cina odierna.

La parola-chiave è senz’altro fuqiang (prosperità e potenza), coniata dal filosofo antico Han Feizi. La Cina si pone da sempre l’obiettivo della propria potenza, basti pensare che già nel ’600 era il Paese più avanzato dal punto di vista tecnologico e burocratico; e se lo pone anche per superare traumi identitari come la sconfitta nella guerra sino-giapponese (1894-1895). Scrive Gallelli: «Con la disfatta per mano giapponese, la Cina, che per millenni si era considerata non solo al centro del mondo, ma il centro stesso della civiltà, venne catapultata in una posizione d’imposta inferiorità».

Il 2021 è l’anno del centenario della nascita del Pcc, e oggi più che mai ci si chiede in che misura il maoismo sia ancora vivo nell’era di Xi Jinping. I temi maoisti sono ancora tutti attivi: il rapporto tra campagna e città, tra operai e contadini, tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra tradizione e modernità. A prevalere parrebbe il paradigma della continuità, «secondo il quale l’odierna Rpc rappresenta la continuazione dell’impero cinese». La Cina di oggi si pone obiettivi ambiziosi in materia di Welfare ed ecologia, perché altre due parole-chiave per capire il Paese sono hexie (armonia) e wenming (spirito).

A orientare questa superpotenza è ancora l’ideologia del marxista Li Dazhao, che nel 1923 scrisse: «Dobbiamo renderci conto che la testa del tempo non si trova nell’antichità, ma nel presente, non si volge in direzione di un infinito passato, ma di un infinito futuro». È la ragione per cui l’ecologismo cinese è debole, in quanto «alla base della politica verso l’ambiente naturale di epoca maoista vi era la concezione secondo cui l’uomo non è parte della natura, bensì costituisce un elemento distinto e separato da essa».

A partire dalla riforma capitalistica di Deng Xiaoping del 1978 – dopo il definitivo strappo dall’Urss – la Cina ha vissuto un costante «balzo in avanti», realizzato attraverso continue «mobilitazioni» e attuando un «socialismo pragmatico», una visione non più circolare della storia e fondendo sapere occidentale con l’anima cinese. Fino al punto di diventare la seconda potenza mondiale e un “modello” controverso, essendo uno dei Paesi più deficitari dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, della tutela delle minoranze e della libertà di stampa e di opinione.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.