Mario La Cava e morte e Premio Viareggio a Rocco Scotellaro
Ho detto ad Andrea Di Consoli commentando la sua lettera lucana di oggi, Fantasie di sparizione sognando la Sinnica, che secondo me l’uomo più felice del mondo è stato Mario La Cava. In sostanza gli ho detto che non è credibile. Egli generosamente non si è arrabbiato e ha risposto mettendo il cuoricino.
Titina mi ha detto di raccontare chi è Mario La Cava. Lei lo conosce, l’ha conosciuto, al suo paese ci siamo stati alcune volte e mi ha detto: – Quante volte mi ripeti che Rocco Scotellaro diceva a Antonio Albanese: – Qualsiasi pensiero ti passa per la mente, qualsiasi fatto fuori dell’ordinario ti capiti, scrivilo. Era la sua regola, da lui applicata servendosi del primo pezzo di carta o di qualcosa avesse a portata di mano, su cui si potesse scrivere. Scrivilo questo ricordo.
Ad agosto del 1954 viene assegnato a Scotellaro l’allora prestigiosissimo premio Viareggio, 2 milioni di lire. La data dell’assegnazione del premio coincide con quelle della morte di Alcide De Gasperi a Borgo Valsugana e del funerale a Roma, tra il 19 e il 23 agosto 1954; io andai a Roma per il funerale di De Gasperi (c’erano pure in rappresentanza del Comune il sindaco di Tricarico avv. Giovanni Laureano e il capo delle guardie municipali Antonio Genzano). Il funerale fu celebrato nella chiesa di piazza del Gesù; viaggiai di notte e all’edicola della stazione di Napoli mi rifornii di giornali; in tutti era scritto, anche da grandi firme, del premio a Rocco e della morte di De Gasperi; li lessi in piedi nel corridoio fiocamente illuminato.
Un articolo suscitò un vivo mio interesse. Esprimeva il dispiacere dell’autore, un certo Mario La Cava, per la morte di Rocco, con l’aria sincera di un amico paesano. Mario La Cava, fino ad allora mai sentito nominare, dedito alla letteratura e alla narrativa, se ne tornò al suo paese calabrese, Bovalino, sulla costa ionica (paese che poi ho conosciuto, ci siamo stati alcune volte, e una volta scegliemmo per la nostra vacanza estiva al mare). A Bovalino La Cava, appartato ma non estraneo, trascorse il resto della sua vita di narratore e scrittore, e collaboratore dei maggiori quotidiani. La scelta di vivere nel suo paese natale fu dettata, oltre che dalle ragioni del cuore, anche da motivazioni culturali direttamente legate alla sua attività di scrittore. Niente è più nocivo allo scrittore, ebbe a dichiarare, che credere reale il mondo sofisticato dei salotti culturali; solo nei piccoli centri è possibile seguire gli itinerari di vita per ricavarne trame di romanzi; il suo volontario “esilio” non pregiudicò un’attività letteraria dal respiro europeo.
Scelta dell’aria nativa, come un altro grandissimo scrittore meridionale, che nel suo paese natale, la siciliana terrigna Racalmuto faceva il maestro di scuola: grandissimo scrittore, maistre-à-penser contro l’ingiustizia dell’ordine sociale e l’immortalità di un Potere immodificabile. Si scrivevano i due scrittori, il calabrese e il siciliano. Bovalino per Mario La Cava e Racalmuto per Leonardo Sciascia erano il centro del mondo. C’è un certo formalismo all’inizio: «Caro Sciascia», «Caro La Cava», che diventa amicizia: «Carissimo Leonardo», «Carissimo Mario». Nelle lettere si confidano in piena libertà i problemi della salute, le quotidianità familiari, il dolore per la morte di un poeta amico, da entrambi molto apprezzato: «Hai saputo della morte del povero Scotellaro? Mi sono molto dispiaciuto», scrive La Cava; «Una notizia che mi ha sgomentato», risponde Sciascia.
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