CONOSCIAMO LA VERA VERITA’ DELLE DIMISSIONI DA SINDACO DI ROCCO SCOTELLARO ?
I socialisti e i comunisti di Tricarico covavano il complesso della mancanza di un laureato tra le proprie fila che li dirigesse, e quando un laureato si fece avanti ci fu chi immaginò che bisognasse mettere da parte Rocco Scotellaro, che laureato non era, o, quanto meno, che bisognasse collocarlo in seconda fila.
Il fatto accadde nell’anno di grazia 1948. Il 18 aprile di quell’anno Rocco Scotellaro, contro il parere dei suoi grandi amici Manlio Rossi Doria e Carlo Levi, aveva scelto il Fronte Popolare, l’Alleanza tra comunisti col faccione di Garibaldi: una decisione consapevole, si sapeva che avrebbe provocato la crisi della sua amministrazione, di cui facevano parte repubblicani e indipendenti, che si dimisero in dissenso con la scelta frontista del sindaco, giudicata scelta incosciente, suicida.
Si doveva quindi eleggere la nuova amministrazione. Si fece avanti un giovane laureato in legge. Un avvocato. A Tricarico chiamavano avvocato anche uno studente in legge al primo giorno d’iscrizione. Questo avvocato era molto di più, era laureato impegnato a percorrere la carriera forense, nella quale non aveva ancora salito il primo gradino. Ma era anche macchiato da un grosso neo: il suo recentissimo passato a Milano, dove si era laureato, incompatibile con la democrazia. Ma la laurea questo neo non lo faceva vedere a nessuno. Sarà un po’ più chiaro: se la tragedia che sconvolse l’Italia fu una guerra civile, e fu una guerra civile, ebbene, il giovane laureato si era schierato dall’altra parte. (Togliatti, il capo dei comunisti, chiuse la partita con un gran perdono. E fece bene. ). Insomma – tornando a noi – il giovane laureato era stato un repubblichino. Ma non ne fece un problema, non se lo fece lui, e la cosa è comprensibile, e non se lo fece neppure chi qualche domanda avrebbe dovuto porsela. Il giovane laureato indossò una casacca saragattiana e si fece avanti. Negli anni a venire cambiò altre volte casacca, spostandosi da sinistra a destra e da destra a sinistra, coerentemente sempre alle estremità, e le federazioni materane dei due gloriosi partiti della classe operaia, comuniste e socialiste, cieche e mute, naturalmente non vedevano e non parlavano. Al Nostro – da saragattiano divenuto socialcomunista frontista nel 1948 – non si che cosa avesse fatto della divisa indossata a Milano durante la guerra civile, né si sa cosa avesse fatto dell’ascendenza; missino-monarchico nel 1953, socialcomunista nel 1957, e via andando alternando nelle successive elezioni comunali, riuscì una sola volta di occupare per un breve periodo la poltrona di sindaco di Tricarico.
Detto pane al pane e vino al vino, la poltrona la strappò a Rocco Scotellaro in occasione (non dico approfittando) dell’ingiusta detenzione di Rocco. Ma su quella poltrona sedette per poco e ne fu sloggiato, destituito anche della sua carica di consigliere comunale in quanto ineleggibile per il suo passato repubblichino.
Quando si era fatto avanti non gli si disse «No, grazie. Abbiamo Rocco Scotellaro», ma ci fu chi ritenne che fosse stata trovata l’alternativa a Rocco Scotellaro, che a venticinque anni una laurea non l’aveva ancora, e a trent’anni, quando morì, continuava a non averla.
La lista dell’Aratro col cappello frigio (simbolo della sinistra) per l’elezione del nuovo consiglio comunale nel 1948 fu il frutto di un faticoso compromesso e di un misterioso imbroglio. Il compromesso fu che la lista dei candidati sarebbe stata presentata in ordine alfabetico; l’imbroglio che l’ordine alfabetico subì un disguido in testa. Il coltivatore diretto Baratta Francesco Paolo fu n. 2 e il giovane laureato, che, per l’ordine alfabetico, avrebbe dovuto seguire Baratta, fu n. 1. Capolista! Il nome di Rocco Scotellaro nella lista fu sedicesimo, ultimo, secondo il patto dell’ordine alfabetico. Egli aveva dovuto subire una candidatura incompatibile con la natura stessa della sinistra, e non solo della sinistra, aveva accettato il compromesso della lista in ordine alfabetico, ma non avrebbe assolutamente consentito l’inversione in testa alla lista, non per motivi personali ma perché il capolista qualifica la lista. Ma l’inversione misteriosamente si materializzò. Un primo schiaffo a Rocco Scotellaro.
Si votò. La lista Aratro vinse a stento (16 a 4 consiglieri). Ce ne sarebbe da raccontare, ma mi limito a dire che i 16 consiglieri della maggioranza erano divisi in due tronconi, chi a favore di Scotellaro e chi a favore del giovane laureato, nessuno dei quali aveva i numeri per eleggere il sindaco e la giunta. Una seduta andò deserta per mancanza del numero legale, ci vollero tre mesi di misteriosi conciliabili e segrete trattative per eleggere il sindaco, che fu Scotellaro, e la giunta. Si era giunti al punto che, secondo la legge elettorale nel tempo vigente, poco mancava allo scioglimento della “nuova” amministrazione. Ci fu quindi un atto di resipiscenza e Scotellaro fu eletto sindaco sul filo di lana. Secondo schiaffo.
Ma dopo un anno (1949), approfittando di un’assenza di Scotellaro, ad iniziativa del giovane laureato, che, non lo si dimentichi, era consigliere di maggioranza, e con l’appoggio di consiglieri di maggioranza a lui fedeli, fu presentata una mozione di sfiducia contro il sindaco: c’era ancora chi non si rassegnava ad avere un sindaco non laureato, pur essendoci un laureato che avrebbe potuto prenderne il posto. Terzo schiaffo, anche se la posizione di Rocco ne uscì rafforzata, perché la sfiducia fu respinta nonostante che essa fosse stata votata anche dalla minoranza democristiana, come logica politica comandava.
Dopo un altro anno (1950) Rocco Scotellaro subì l’ingiusto arresto e, all’uscita dal carcere fu costretto a dimettersi. Quarto schiaffo. Questa storia dell’arresto e dell’assoluzione di Scotellaro andrebbe finalmente raccontata come fu, ardua impresa per la mescolanza di ragioni politiche e tecniche, l’incapacità di affrontare un groviglio di problemi in cui nessuno sapeva metterci e voleva mettere la le mani. Dirò – e mi rendo che si accrescerà la confusione – che Rocco Scotellaro non poteva e non doveva essere arrestato, non subì un processo, non fu assolto. Dopo 45 giorni di carcere la Giustizia disse: Sei libero, tornatene a casa, non abbiamo nulla per processarti, e non chiese scusa. Per questo Rocco non avrebbe avuta altra scelta che dimettersi da sindaco? Io ne ho sempre dubitato e credo che non ne fosse convinto neanche Rocco. Dopo la liberazione il mio rapporto personale con Rocco conobbe una frequenza quotidiana a Napoli, ma del carcere e di tutto quanto era successo e perché fosse successo, non dicemmo mai una sola parola. Insomma, io onestamente non posso dire se Rocco decise lui, intimamente, di dimettersi da sindaco.
Tricarico ebbe finalmente un sindaco laureato, ma per poco, perché il sindaco-laureato, come ho già detto, non era eleggibile a causa del suo passato repubblichino. Il consiglio comunale elesse nuovo sindaco il falegname Nicola Locuoco, detto Porcogiuda per la sua mania di ricorrere frequentemente a questa innocua e innocente invettiva. Porcogiuda era un brav’uomo, raccolse i cocci e fece del suo meglio per portare in porto quella che sarebbe dovuta essere la seconda amministrazione di Rocco Scotellaro.
Il 7 gennaio 1953 l’amministrazione comunale fu rinnovata con elezioni democratiche. Le cose erano messe male per la sinistra, che, per turare le falle, inviò a Tricarico un folto stuolo di propagandiste, belle fanciulle emiliane politicamente ben preparate, dirette da un dirigente comunista di un paese vicino, che col tempo diventerà senatore. Un paio di quelle ragazze le ritrovai quando la mia vita divenne emiliana, mi misi di buzzo buono e le trovai.
Il bersaglio del futuro senatore montepelosano fu l’amministrazione uscente, quella che, nonostante tutto il casino che ho raccontato, nacque e partì coma amministrazione Scotellaro. Egli escogitò la comica tesi che quella amministrazione si era comportata così male, ma così male, che si era trasformata in un’amministrazione … democristiana. Per la cronaca, di questa amministrazione Rocco Scotellaro rimase disciplinatamente a farne parte fino all’ultimo giorno del mandato. Con le propagandiste emiliane io e Gino Lauria non dico che stabilimmo rapporti di amicizia, ma certamente di stima e di rispetto. Erano ragazze intelligenti e, in privato, sfogandosi con noi due, criticavano l’impostazione della loro campagna elettorale. Avrebbero voluto che si spiegasse il buono (i due anni di amministrazione Scotellaro e l’onesta gestione Locuoco) e il cattivo (le beghe per far fuori Scotellaro) e che si sostenesse che, nel complesso, quella era stata una buona amministrazione.
Nel 1956 la sinistra candidò alle elezioni provinciali Antonio Albanese, che allora era comunista. Antonio non era ancora laureato e i compagni entrarono moderatamente in crisi, cercando di farsene una ragione. Mi confidava Antonio che tra i compagni c’era chi si consolava «Mah, pur Rr’ccuccio (Rocco Scotellaro) nun’ er laureat» – e chi lo esortava: «Anto’, ma pecché nun ti pighia pur tu na’ laurea da poeta com’a Rr’ccuccio?».
Refugium peccatorum si diceva della facoltà di giurisprudenza. A Tricarico riuscirono a riabilitare questa gloriosa facoltà. Il refugium divenne la poesia. Povera e nuda vai … Poesia!
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Leggere questi scritti insieme al caffè è sempre un buon inizio di giornata.
Grazie, ma non mi pare che scoprire (non tutta, non poco ho taciuto) questa amara verità possa essere un buon inizio di giornata. Mi vedevo tutti i giorni con Rocco e non ho mai avuto il coraggio di parlarne né lui mostrava la voglia di farlo.
Mi sono espressa male. Certo che non sono scritti “divertenti”, ma inducono a pensare e perciò mi piacciono.
Cari saluti