COME ATTRAE IL LUOGO DEL DELITTO E COME E’ BELLO RILEGGERE “QUANDO I GALLI SI DAVANO VOCE”
Sono stati giorni di intense emozioni. Non immaginavo che il ricordo di mio fratello Franchino ne avrebbe suscitate tante e anche in molti che non lo conoscevano o addirittura non sapevano della sua esistenza. Ho ricevuto molti messaggi telematici e telefonate.
Una ragazza (non dico il nome), visto il libro, mi scrive di essere stata colpita dall’immagine in prima pagina di copertina di un uomo affascinante e interessante e che si sarebbe accinta a leggere subito la romantica storia d’amore svoltasi nella città amante del cielo stellato che immaginava raccontasse il libretto.
Voglio ricordare la lunga, bella e commovente telefonata di Mario Trufelli. Mario è stato un assiduo frequentatore della mia casa – e noi della sua -, quando eravamo molto giovani, e ha ben conosciuto Franchino bambino (aveva dieci anni di più) e la sua crescita, e l’ha voluta ricordare e raccontarmela. L’ho letto due volte il libretto, mi ha detto, mi ha commosso..
Maria Pia Carolillo – qualche anno in più di Franchino, il padre gestiva un’edicola di fronte a casa mia e lì, a pian terreno e di sopra, era la loro abitazione – ha voluto dirmi la sua commozione alla lettura, me l’ha ripetuta e, infine, si è lasciata andare: – Tonì, ho pianto!
Lunghissima, dettagliata, bella e commovente la telefonata del prof. Giorgio Goldoni, di cui il libretto ripropone il suo ricordo dal titolo «In ricordo del prof. Martino». Franchino l’ha sempre chiamato Giorgio, perché in classe c’erano due alunni col cognome Goldoni e Franchino chiamava lui col nome l’altro col cognome. E Giorgio Franchino l’ha sempre chiamato anche quando divennero colleghi. Il prof, Goldoni era felice, e me l’ha detto, di essere stato sempre chiamato col nome di battesimo. Lui invece ha sempre chiamato Franchino professore (così continuava durante la telefonata) e gli ha sempre dato il lei, anche quando anche lui divenne professore e collega nella stessa Scuola. Mi è parso strano essendo io fratello maggiore di Franchino di ben nove anni. Il prof. Goldoni mi ha anche parlato della precoce morte della moglie, lasciandolo con due figli piccoli e mi ha detto che Franchino (il prof. Martino) l’aveva conosciuta quando erano fidanzati e quando divenne sua moglie. Come aveva anche conosciuto sua madre: andavano a comperare il pane nella stessa panetteria: si salutavano e si fermavamo a scambiare due chiacchiere. Una commozione irrefrenabile
Non posso infine non ricordare che il carissimo Angelo Colangelo, autore della bellissima Prefazione, mi detto che la rilettura del ricordo sul libretto l’ha emozionato ancora di più.
Silenzio, silenzio assoluto, tranne un paio di eccezioni, da parte di chi più mi aspettavo che sarebbero stati colti da ricordi e emozioni. Ho compiuto da qualche mese 91 anni e una vita così lunga ti insegna come gira il mondo; ti protegge anche dalle immancabili delusioni che la vita ti riserva
Dopo la telefonata di Mario Trufelli ho letto il suo libro «Quando i galli si davano voce», che ho presentato su questo blog molti anni fa e del quale ho discorso dedicandogli 21 capitoli in una rubrica intitolata «Rabatana legge Quando i galli si davano voce di Mario Trufelli».
Ho riletto sia il libro sia la citata rubica.
Io e Mario Trufelli, tricaricesi, eravamo due compagni inseparabili e abitavamo proprio in quella piazza che fa da scenario alla narrazione, se si immagina che il paese sia Tricarico, come io immagino. Ho scritto la suddetta rubrica strappando uno a uno i sette veli di Salomé, mostrando nella loro affascinante nudità le storie tricaricesi che scorrono.
Due parole di presentazione del libro.
«Quando i galli si davano voce» è un mondo che Rocco Mazzarone ha voluto che fosse narrato e Mario Trufelli ha raccontato. Non è un romanzo, né un racconto: è una narrazione che, con una qualità musicale lirica, evoca compattamente come un invito a leggere d’un fiato storie di tempi lontani in ambienti rurali: quando il gallo annunciava il sorgere del sole o il trionfo d’amore celebrato con una sempre paziente gallina, dalla finta aria rassegnata: tutti i galli del contado, dandosi voce, partecipavano al trionfo del sorgere del nuovo giorno e dell’amore e lanciavano il festoso annuncio.
E’ una narrazione che scava le radici. «Coloro che non hanno radici – scrive Ernesto De Martino in un pensiero che Trufelli riporta dopo la dedica a Mazzarone -, che sono cosmopoliti, si avviano alla morte della passione e dell’umano: per non essere provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria, a cui l’immagine e il cuore tornano sempre di nuovo, e che l’opera di scienza o di poesia riplasma in voce universale”.
La narrazione intreccia storie a margine della seconda guerra mondiale, dal mese di giugno 1939 alle elezioni dell’Assemblea costituente, sullo scenario della piazza di un paese del Sud Italia, che è sede vescovile e con lo sfondo della “grande” storia del regime fascista con le guerre, gli eccessi delle repressioni, la libertà negata e soppressa e l’antisemitismo e la mafia.
La “grande” storia si riflette in piccolo in un qualsiasi paese meridionale (potrebbe anche essere Tricarico) nella sua piazza, in un arco di anni in cui io e Mario Trufelli eravamo due ragazzi coetanei, compagni inseparabili, e in quella piazza abitavamo fronte a fronte, in case distanti non più di tre metri. Mi proposi con la citata rubrica di mettere in luce i puntuali e per certi versi sorprendenti riferimenti alla grande storia e, d’altra parte, di sollevare il velo dal volto di personaggi e fatti, che costituiscono, nel racconto, autobiografia di Mario e mia.
Racconterò la mia lettura del tuo libro, caro Mario.
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Il villaggio vivente nella memoria… che attrae come il luogo del delitto. Che meraviglia!