Paese di confino fu ogni paese della Lucania Lucania nel ventennio fascista.

Mario Trufelli negli anni dell’infanzia aveva avuto rapporti di stretta frequentazione, in un certo senso familiari, con i confinati a Tricarico, tutti accusati di reali o presunti motivi politici o comuni o di mafia. Di questa lontana esperienza Trufelli ha consegnato il ricordo nel racconto «Carcere preventivo», il primo di tre racconti raccolti in un bel libretto intitolato «Lo specchio del comò».
Il racconto si presenta sotto forma di un diario di quattro giornate, a gennaio, febbraio e marzo del 1936, in base ai ricordi di un bambino di sei anni. Soggetti del racconto sono quattro confinati, politici e comuni, dimoranti nell’ «albergo Valinotti», gestito dal nonno di Mario, don Michele Valinotti.

Di confinati Trufelli torna a parlare con le storie di Carcere preventivo nel libro «Quando i galli si davano  voce»,  a cui aggiunge l’invenzione di una nota sulla politica razziale del fascismo.
Una esperienza di confinati ebrei è stata pressoché sconosciuta in Lucania e non fu conosciuta a Tricarico, per cui a Trufelli occorse inventare il personaggio dell’ebreo fiorentino Samuele Hanau, che leggeremo più avanti.

Una esperienza di confinati ebrei fu invece fatta ad Accettura. Stranamente non ne parla Leonardo Sacco nel suo libro «Provincia di confino – La Lucania nel ventennio fascista», ma io l’ho vissuta.
Un bel libro questo di Leonardo Sacco, risultato di una accurata, completa e dettagliata ricerca, nel quale, oltre alle persecuzioni subite dai lucani, è documentato dettagliatamente il nutrito fenomeno dei confinati arrivati tra il 1926 il 1943 – intellettuali del calibro di Carlo Levi, Manlio Rossi-Doria, Eugenio Colorni, Franco Venturi, Camilla Ravera, Guido Miglioli, unitamente a tanti modesti militanti ed operai, professionisti, contadini, donne, sacerdoti, mafiosi -, che si legge come un romanzo storico. Peccato che manchi un indice dei nomi dei confinati.
La ricostruzione operata da Sacco si basa, nonché su ricerche d’archivio, sul riscontro di un’abbondante letteratura, in cui non manca il racconto di Mario Trufelli, che non è quello del Carcere preventivo, ma quello, che non conosco e non so quanto coincidente con Carcere preventivo, di «Tricarico», pubblicato in «Lucania», aprile 1955, pp. 5 – 9.

Ecco ora il confino degli ebrei ad Accettura. Vi fu confinato un commerciante di stoffe romano, Settimio Bruno Mieli, che aveva come soprannome Zi’ Cardato. In quel periodo (1939-41) ad Accettura abitava la mia famiglia. La figlia Giuditta faceva compagnia al padre. La famiglia aveva pensato così di farle superare lo choc dell’espulsione dalla scuola. Giuditta era una bambina di 6/7 anni, coetanea di mio fratello Michele e di 2 o 3 anni più giovane di me. Giuditta fu compagna di giochi mia e di mio fratello Michele, ad Accettura si trovava bene e si divertiva, e prendeva lezioni private.

Tra Settimio Mieli e i miei genitori si strinse una grande e affettuosa amicizia: mio padre e Settimio si chiamavano “cugino”; noi bambini lo chiamavamo affettuosamente zi’ Cardato; ricordo quel periodo come uno dei più gioiosi della mia infanzia. Non ho mai dimenticato l’intensità di quell’amicizia e nei miei occhi è rimasta indelebilmente impressa la visione della tristezza di zì Cardato quando ci salutò nella piazzetta di Accettura il giorno (era il 2 aprile del 1941) della nostra partenza per Tricarico, dove mio padre era stato trasferito.

Non li abbiamo più visti. Seppi dopo che il maresciallo dei Carabinieri di Accettura, amico di mio padre che era un sottoufficiale dei Carabinieri in congedo, al momento di partire consigliò di cogliere l’occasione del trasferimento a Tricarico per interrompere ogni rapporto con gli ebrei, essendo pervenuta una intimazione in questo senso.

Il soggiorno di zi’ Cardato e di Giuditta ad Accettura non durò a lungo e, scontata la pena del confino, tornarono a Roma. Fossero rimasti ad Accettura! Il 16 ottobre 1943, il sabato nero del ghetto di Roma, furono entrambi coinvolti nella retata degli ebrei e deportati.

Non fecero ritorno.
Per vicende che non mi piace ricordare sono state distrutte tutte le fotografie conservate nella mia vecchia  casa familiare di Tricarico, comprese alcune foto con zi’ Cardato e Giuditta, così cancellati definitivamente anche dai nostri occhi.

 

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