La storia dello zero – Omaggio a Titina De Maria
La matematica è la grande passione di Titina De Maria, mia moglie. Si chiama Maria Cristina, nome divino: Madre e Figlio.
– Che avete da dirvi – ci chiedevano i nostri amici – che state a inciuciare ore ed ore? –
Ore ed ore Titina mi parlava dei numeri primi. – I numeri primi mi fanno impazzire! – mi diceva. – Anche a me -, rispondevo con ironica rassegnazione e lei, rapita nell’estasi d’amore per la matematica, che la rendeva incapace di capire l’ironia, apprezzava.
La sua massima ambizione d’insegnante di matematica è stata di non farla odiare, questa materia, che simpatie non ne riscuote per nulla tra la grande maggioranza dei giovani studenti. E invero la matematica, nonché non farla odiare, è riuscita a farla amare al suono del flauto di Hilbert.
David Hilbert è stato uno dei più eminenti matematici tedeschi a cavallo tra i secoli XIX e XX. E a un altro eminente matematico, più giovane, che aveva seguito un corso di Hilbert sul concetto di numero, lo studioso tedesco sembrò paragonabile al pifferaio magico della fiaba: con l’irresistibile richiamo del dolce flauto, Hilbert lo attirava nel profondo fiume della matematica.
Titina ha sempre curato con passione il valore «estetico» della sua disciplina, e ancora continua a esercitarsi a perfezionare il suono del richiamo, benché – crudeltà della moderna organizzazione del lavoro! – non ci sono più orecchie in ascolto del suo dolce flauto.
Alcuni anni si immerse a lungp nella lettura di manuali della collana «La Matematica come un romanzo» (36 volumi, se non ricordo male, ciascuno di circa 500 pagine).
La sua dedizione a quella lettura mi tentava. Non è facile restare sull’uscio della porta spalancata sulla mente di un genio capace di trasformare la matematica in un mondo abitato dalla passione, dall’avventura e dal mistero (Un teorema vivente), o restare indifferente di fronte all’avventurosa scoperta che cambiò la storia della matematica (I numeri magici di Fibonacci), o non ringiovanire di sessant’anni, arrestandoti di fronte al più grande mistero della matematica rappresentato dai numeri primi (L’enigma dei numeri primi), o rimanere indifferente all’ossessione per un numero nella vita di due geni (L’equazione dell’anima).
L’elenco delle tentazioni è ancora lungo, e non resistetti fino alla fine, mi fermai a meno delle metà.
C’è la storia affascinante dei messaggi cifrati dall’antico Egitto a Internet (Codici e segreti). Sei semplici numeri danno conto dell’infinità varietà e complessità del cosmo. La storia, la struttura e persino il futuro dell’universo come lo conosciamo, la comparsa della vita sulla Terra, la possibilità della sua presenza su altri corpi celesti, la materia e l’antimateria: niente di tutto questo avrebbe senso se quei sei numeri fossero differenti. Sei numeri che ci svelano le forze profonde che spiegano l’universo (I sei numeri dell’universo). Provaste a pensare che con poche equazioni si possono spiegare l’armonia musicale e il patrimonio genetico, la luce delle stelle e il comportamento del mercato azionario; provate a pensare che la matematica fornisce la solida impalcatura che tiene insieme ogni teoria dell’universo (Dio è un matematico).
L’ultimo volume che scorsi raccontava la storia dello zero, trecentoventi pagine per raccontarci la storia di una cifra all’apparenza insignificante. Meglio: significante il nulla.
L’autore, Robert Kaplan, matematico e studioso, ha insegnato in prestigiose scuole private a persone dai sei ai sessant’anni, prima di approdare all’Università di Harvard, dove è cofondatore del Circolo di Matematica. «Guardate lo zero e vedrete niente, guardate attraverso lo zero, e vedrete il mondo», è la sfida di Kaplan. Come si può rifiutare di vedere il mondo?
Dopo la sfida, la promessa è che «L’itinerario temporale e concettuale dello zero è pieno di complicazioni, travestimenti e scambi di persona, come le vite degli esploratori che lo introdussero in Occidente. In questo libro lo [si vedrà] la prima volta comparire ai tempi dei Sumeri, quasi come un ripensamento scomparire, tornare e trasformarsi in modo pressoché casuale nei secoli seguenti. La sua potenza sembrerà divina ad alcuni, diabolica ad altri.». Lo zero è «Il simbolo di ciò che non c’è, un vuoto che aumenta ogni numero a cui viene affiancato, un paradosso inesauribile e indispensabile. Senza lo zero la matematica che conosciamo non esisterebbe, e lo studio delle materie più disparate, dalla sociologia all’astronomia, sarebbero assai più poveri.» Ma da dove viene questo piccolo ovale? Chi è il suo creatore? E qual è il suo vero valore? Robert Kaplan incarna lo zero in un misterioso personaggio storico, immortale, la cui evoluzione, fatta di inspiegabili sparizioni e ancora più inaspettate riapparizioni tormenta la storia della conoscenza umana dai Sumeri ai Greci, passando per l’India, sfidando la mente di matematici e filosofi e rivelandosi, alla fine, un nulla pieno di significati».
Se dovessi scrivere la mia data di nascita in lettere romane, quando i numeri non erano conosciuti – e per millenni i numeri non sono stati conosciuti e ancora di più lo zero – dovrei scrivere MCMXXX, cioè M (mille) CM (mille meno cento = novecento) tre volte X=10, quindi trenta. Com’è più semplice 1930. Tale semplicità è dovuta allo zero. E grazie a lui che possiamo dare ai numeri un ordine funzionale, è lo zero che conferisce alle diverse posizioni delle cifre un certo valore. Il 9 che appare al secondo posto di 1930 vale di fatto 900 e l’1, che compare al primo posto, vale 1000. Di mezzo ci sono sempre gli zeri – due, tre, nascosti, impliciti; centinaia e migliaia nella mia data di nascita.
Non mi do delle arie. L’avrei capito facilmente alle elementari, se me l’avessero spiegato. Tutti lo avrebbero facilmente capito alle elementari. E quante atre cose avrei potuto capire alle elementari, che mi avrebbero fatto amare la matematica, che, per mia fortuna, non ho odiato! Come l’ha fatta amare Titina, Maria Cristina. Il diritto romano così racconta la nostra storia: Oltre sessant’anni fa et fiunt una caro.
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