Pace con i miei morti. Questa poesia di Rocco Scotellaro è citata ma non riportata nell’articolo pubblicato ieri sulla bellezza dell’equazione e la buona poesia.
Eccola:

Abbagliano i balconi a cielo aperto
le notti di luna e il vento
un bambino allora mi sento.
Allora so condiscendere
alle voci serene dei miei morti
che fecero la casa dove abito.
Mai più che queste sere
vorrei tenere per grazia il tuo cuore
con la mano, campagna, ti voglio toccare
una volta che non sei scura.
Sei come una parata di acqua dolce,
hai tanta luce:
i morti vissero le notti loro
così alle candele.
Il vento che solleva la tendina
riporta la bambina che mi stette accanto
io la toccavo, e non aveva pensieri.
Sono in pace con i miei morti,
non voglio dormire, ma cantare.

Mi piace leggere lentamente i versi e così trovare anch’io la
pace con i miei morti, che riposano nel cimitero di Tricarico o in cimiteri sparsi in vari angoli del mondo, o che un posto dove riposare non l’hanno trovato o hanno voluto non averlo, disponendo la dispersione delle loro ceneri.
Leggo questa poesia come una preghiera per trovare la pace con i miei morti. Cerco la pace con carissimi, indimenticati e indimenticabili amici, dei quali lungo sarebbe l’elenco. Il loro ricordo e il ricordo di tutti i miei morti, di mio padre e di mia madre, di mia sorella Maria e dei miei fratelli Franco e Michele, pianta nell’anima, sia pure precariamente, la convinzione che vana è la fede in Cristo se i morti non risorgono. Una convinzione da coltivare in memoria dei miei morti, dei nostri morti.

 

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