Nelle seicentesche stampe di Tricarico una striscia in terra battuta attraversa il paese a metà del monte che scende verso i rioni bassi. Laddove la discesa si fa più ripida, e sembra quasi precipitare la striscia si allarga; diventerà una piazza, Piazza Garibaldi.

Si può immaginare che, nel tempo, la ripidità della discesa sia stata contenuta da un salto ottenuto con un’opera di contenimento in muratura dello slargo e la costruzione dei gradoni del Calancone; alla piazza siano state date grandezza e forma attuali, la striscia in terrà battuta sia stata ugualmente pavimentata e prenderanno forma il Corso e via Rocco Scotellaro.

La vecchia piazza qual era fino alla prima sindacatura di Scotellaro era pavimentata con un giuoco di selci bianche che circondavano i ciottoli in un quadrato che si spezzava in tanti altri, e infine in losanghe entro i più piccoli quadrati, della lunghezza del passo. La descrizione trascura, nonché le losanghe, il monumento, anch’esso essenziale per descrivere il quadro completo delle consuetudini di godimento di quel centro vitale del paese: le autorità, i preti, il veterinario e gli avvocati coi loro clienti, per usare le parole di Scotellaro, che passeggiavano sulle selci bianche; gli altri che si piazzavano a parlare su uno dei quadrati; i bambini che giocavano allo scivolo sulle basi del monumento. Sulle selci bianche passeggiava solitario per lunghe ore, con l’immancabile paglietta in testa reclinata a sinistra, Renato Bitossi, militante comunista e ultimo confinato politico a Tricarico, dove si trovava il 25 luglio 1943. Sarà Segretario Generale della CGIL, costituente, senatore, deputato.

 Non richiede commenti la puntuale descrizione dei luoghi intorno intorno la piazza che si legge nell’Uva puttanella, se non per accennare che l’autore rende concretezza storica al ricordo della vigna nella piazza e al ricorrente minuetto «‘mammeng?’, ripetuto tre volte, e alla cinica risposta  ‘ammìnt e frècat’, ripreso anche in una canzone dei primi Tarantolati di Tricarico di Antonio Infantino, Franco Ferri, Rocco Paradiso e Marcello Semisa, dove si vedeva un ombrello calare dolcemente dal muraglione del palazzo ducale, al posto del povero disperato falegname Michele rovinato da un sequestro.   

La pavimentazione della piazza fu sostituita da Scotellaro nel corso della sua prima sindacatura (1946 – 48), con una pavimentazione di scuri mattoncini di porfido, in stridente contrasto con la luminosità e impronta medievale della precedente pavimentazione. Quell’intervento, che costò non pochi soldi a quell’amministrazione, fu indubbiamente un errore.

Il sindaco Melfi volle in qualche modo ricordare la pavimentazione originaria, fatta con gusto postmoderno; i due cannoni puntati successivamente ai lati dei ferri aggiunsero un innegabile aspetto comico e dettero luogo a una ancora più comica guerra dei cannoni. 

 

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