Intendo precisare col massimo di forza di convinzione, in merito al precedente post,che non intendevo a affatto, e non intendo dire che bisogna recuperare il vecchio sistema partitocratico, cosa peraltro impossibile. Intendevo solo dire che è venuto meno uno dei supporti fondamentali per comprendere i ‘caratteri’ della società e del nostro popolo. Le masse, impreparate e alimentate con il cibo tossico della demagogia di ogni tipo (sia populista che tecnocratica),  possono essere più facilmente manipolabili. E’ ineludibile, per un buono o almeno accettabile funzionamento della democrazia sviluppare una continua e permanente azione politico-culturale per accompagnare la democrazia con le qualità richieste per praticarla in modo responsabile e non demagogico. Sta di fatto che le generazioni si susseguono una dopo l’altra come uniche protagoniste del destino dell’Umanità e ogni persona che ne fa parte ha la sua parte di responsabilità, con le infinite differenze tra gli idividui.

Può  servire l’ironia per migliorare il corso del destino? Credo proprio di no e l’aforisma di Churchill – mi ripeto – tende a dimostrare che non può servire.

La ragione principale è che ogni forma di ironia sulla democrazia diventa sarcasmo. Ironia e sarcasmo sembrano la stessa cosa, hanno un meccanismo uguale, ma confonderle porta su una strada sbagliata. Il sarcasmo non è una dissimulazione come l’ironia, è un insulto, una condanna che non consente difesa o replica. L’ironia è una dissimulazione: si dice una cosa negativa per mettere in evidenza l’aspetto positivo. Se la democrazia è la peggior forma di governo qualsiasi ironia non fa risaltare l’aspetto positivo, evidenzia solo l’aspetto negativo, dissacrante e come tale viene percepito. L’aforisma di Churchill, per mettere in evidenza l’aspetto dissimulato, ci dice espressamente che è il peggiore sistema, ad eccezione di tutti quelli che si sono finora sperimentati. Non il migliore sistema in assoluto, ma meglio di tutti quelli che si sono sperimentati: bisogna però specificarlo espressamente, altrimenti si prestano ali alla speranza che ce ne possa essere uno migliore della democrazia. Queste ali nel Novecento hanno portato il comunismo, il fascismo, il nazismo, l’eversione terroristica. L’ironia, che non dissimula, che non riesce a dissimulare, può solo dare energia al battito delle ali.

Quì è necesaria una riflessione sul rapporto fra etica e politica. L’esperienza storica ha mostrato che l’uomo politico possa comportarsi in modo difforme dalla morale comune, che ciò che è illecito in morale possa essere considerato e apprezzato come lecito in politica, insomma che la politica ubbidisca a un codice di regole, o sistema normativo, differente da, e in parte incompatibile con, il codice, o il sistema normativo, della condotta morale. Quando Machiavelli attribuisce a Cosimo de’ Medici (e sembra approvare) il detto che gli Stati non si governano coi pater noster in mano, mostra di ritenere, e dà per scontato, che l’uomo politico non possa svolgere la propria azione seguendo i precetti della morale dominante, che in una società cristiana coincide con la morale evangelica. In un ben noto dramma Jean Paul Sartre sostiene la tesi che chi svolge un’attività politica non può fare a meno di sporcarsi le mani. Il dramma è Les mains sales. Le mani si possono sporcare col fango e col sangue. Quanto fango e quanto sangue? Quando fermarsi? Questo è il problema!

La battaglia per la moralizzazione della vita pubblica, contro l’invadenza della partitocrazia e della corruzione nella vita pubblica del paese costituì il motivo costante delle polemiche di don Luigi Sturzo, al quale la mia formazione deve molto. Per Sturzo la vita politica e il sistema democratico del paese rischiavano di subire una profonda e pericolosa involuzione. Tuttavia, questa critica era ben lontana dai toni e dalle polemiche populiste e qualunquiste, ispirate ai temi dell’antipolitica, che oggi attraversano il dibattito politico e alimentano l’ironia.

In un articolo scritto nel 1942, affermò: «La politica non è una cosa sporca […]. Infatti, lavorare al bene di un paese, o di una provincia, o di una città, o di un partito, o di una classe […] è fare del bene al prossimo riunito in uno Stato, o città, o provincia, o classe, o partito. Tutto sta nel modo di lavorare, nello scopo e nei mezzi. In ogni nostra attività noi incontriamo il prossimo. Chi mai può vivere isolato? E i nostri rapporti con il prossimo sono di giustizia e di carità. La politica è carità, ma non nel senso che non costituisca un dovere; il dovere c’è ed è il dovere che oggi si chiama dovere civico o dovere sociale».

 

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