Sulla rivista letteraria «Botteghe Oscure» furono pubblicate molte poesie e prose di Rocco Scotellaro. L’ambiguità del titolo della rivista, sinonimo per traslati del partito comunista, e la notorietà della rivista limitata ad ambienti letterari colti, rischiarono di non far conoscere il «secondo poeta d’Italia», come i contadini, dopo la sua morte, ritenevano che fosse Rocco Scotellaro: in questa definizione c’è tutta la modestia lucana. Molti furono indotti a pensare che Scotellaro, in vita, fosse riuscito a pubblicare sue poesie su un foglio di partito e che solo la morte prematura e l’affetto e la devozione dei suoi amici Carlo Levi, Manlio Rossi Doria e Rocco Mazzarone, e la dedizione degli studi e l’acribia filologica del prof. Franco Vitelli gli avessero dato fama dopo la morte. I contadini no: conoscevano Rocco come poeta, avevano ascoltate al focolare sue poesie, lette anche dallo stesso Rocco; magari non era proprio il primo poeta, ma il secondo certamente si.

Ma al di fuori degli ambienti colti e dei contadini, nella classe media, Rocco Scotellaro era conosciuto veramente ? Sta di fatto che egli era un autore inedito, a cui dava ospitalità una … sconosciuta rivista del partito comunista, e il ceto medio era prevenuto nei suoi confronti.

La mancata pubblicazione degli Atti del riuscito Convegno di Tricarico del maggio 2004, per il cinquantesimo anniversario della morte del poeta tricaricese, accrebbe oggettivamente il livello di confusione, che tento di dissipare chiarendo che le poesie di Scotellaro non sono state pubblicate su un foglio del partito comunista e cosa è stata la rivista che ha ingenerato confusione.

La rivista Botteghe Oscure è stata una rivista internazionale di letteratura pubblicata a Roma dal 1948 al 1959 con periodicità semestrale (primavera – autunno). Il nome deriva da via delle Botteghe Oscure, la strada di Roma dove si trova Palazzo Caetani, sede della redazione. Non si trattò di una semplice rivista antologica, ma essa incise notevolmente sul corso della storia della letteratura italiana del dopoguerra e sull’orientamento del gusto del nostro Paese. Se ne può acquisire un’adeguata informazione su internet, dove si trovano scritti a profusione. Segnalo la tesi di laurea di Azzurra Aiello: un pregevole lavoro che segnala con completezza il panorama delle collaborazioni: quaderno per quaderno sono indicati gli autori pubblicati, il titolo e il genere dell’opera pubblicata e, limitatamente agli autori italiani, un sunto.

La rivista fu fondata dalla principessa Marguerite Caetani, la quale aveva già diretto a Parigi dal 1924 al 1932 la rivista di letteratura trimestrale Commerce; redattore capo fu lo scrittore Giorgio Bassani. Di solito molto voluminosa (in media 500 pagine a quaderno) presentava articoli in ben cinque lingue (italiano, francese, inglese e, a fascicoli alternati, tedesco e spagnolo). Dalle statistiche elaborate col quaderno XX, si ricava che avevano collaborato fino ad allora (fino alla chiusura saranno pubblicati altri cinque quaderni) 568 scrittori di 20 diverse nazionalità e 5 lingue (il 50% degli articoli in lingua inglese; il 20% in italiano, il 20% in francese, 5% in tedesco e 5% in spagnolo).

Oltre al cosmopolitismo, caratteristica di Botteghe Oscure fu far conoscere autori ancora poco noti. Sono stati pubblicati, per esempio, limitandomi agli italiani, Italo Calvino, Mario Soldati, Tommaso Landolfi, oltre a Rocco Scotellaro. Fra le opere pubblicate per la prima volta sulla rivista basterà citare alcuni capitoli del Gattopardo, Le ceneri di Gramsci e Picasso di Pier Paolo Pasolini, Beatrice Cenci di Alberto Moravia, Il mondo è una prigione di Guglielmo Petroni, La casa di via Valadier di Carlo Cassola, La giacca verde di Mario Soldati. Per la poesia Botteghe Oscure pubblicò , tra le altre, opere come La capanna indiana di Attilio Bertolucci, poesie di Giorgio Caproni, versi di Sandro Penna e Pier Paolo Pasolini, e liriche di Rocco Scotellaro.

Ma non si può capire cosa è stata la rivista Botteghe Oscure senza sapere di Marguerite Caetani (1880 – 1963) nata Chapin: letterata, giornalista, collezionista d’arte e mecenate statunitense naturalizzata italiana, per matrimonio principessa di Bassiano e duchessa di Sermoneta, fondatrice e direttrice delle riviste Commerce (in Francia) e Botteghe Oscure (in Italia). Così parlerà di lei Ungaretti: «venuta tra noi dagli Stati Uniti a recare l’entusiasmo della sua giovane Patria, e tuttora so che alla causa delle lettere sarà difficile dedicare un fervore d’intelligenza e di cuore che uguagli il suo». «Gli scrittori d’oggi hanno doveri di forte gratitudine verso Marguerite Caetani». Nata in una colta e ricca famiglia del New England, si recò a Parigi per studiare canto e a Parigi nel 1911 conobbe e sposò il compositore Roffredo Caetani. A Parigi i Caetani frequentarono figure di grande rilievo del mondo artistico e letterario (Paul Valery, Saint-John Perse, Valery Larbaud, Léon-Paul Fargue, Adrienne Monnier, ecc.) Nel 1924 Marguerite Caetani fondò la rivista letteraria Commerce: pubblicata in tre lingue (francese, italiano e inglese) fino al 1932. Commerce, oltre a ospitare le opere migliori di poeti e scrittori già famosi (per es., pubblicò nel primo quaderno frammenti inediti dell’Ulisses di James Joyce), permise a giovani artisti ancora sconosciuti di far conoscere le loro opere. Nel 1932 i Caetani ritornarono definitivamente in Italia e si stabilirono nel castello di Sermoneta. Dopo la seconda guerra mondiale e la morte di un figlio sul fronte d’Albania, la famiglia si stabilì nella residenza romana di palazzo Caetani in via delle Botteghe Oscure. Qui, nel 1948, Marguerite Caetani fondò una nuova rivista, Botteghe Oscure, in parte simile a Commerce, nella quale, con l’ausilio di Giorgio Bassani, vennero pubblicate alcune fra le più importanti opere di poesia e prosa in inglese, francese, italiano, tedesco o spagnolo. Nel 1950 la principessa trasse un’antologia in inglese degli scrittori che avevano collaborato alla rivista: An Anthology of New Italian Writers (stampata a Roma, ma distribuita da New Directions). Botteghe Oscure terminò le pubblicazioni nel 1960. Marguerite Caetani, dove morì tre anni dopo. Commerce è stata senza ombra di dubbio il «modello culturale» di Botteghe Oscure, un filo invisibile fu steso dalla fondatrice di entrambe le riviste volendo diffondere il meglio della letteratura internazionale. Il titolo stesso della rivista si rifaceva all’accezione umanistica di «commercio di idee» ossia scambio culturale. Anche il titolo di Botteghe Oscure è ispirato piuttosto a questa medesima accezione di scambio culturale, giacché la via deve il suo nome alle numerose attività commerciali e artigiane prive di finestre, quindi oscure, che durante il Medioevo avevano sede tra le rovine del Teatro di Balbo. Benedetta Craveri, su Repubblica del 10 febbraio 1966, così descrive la “Regina di Botteghe Oscure” (come dal titolo dell’articolo, che riporto in parte, ma consiglio di cercarlo su internet e leggerlo per intero). «In Marguerite Chapin, bella e colta ereditiera americana del New England, l’ amore per la cultura europea affondava le sue radici in una fede assoluta nell’ arte perseguita come valore irrinunciabile dell’ esistenza. Idealista, individualista e anti-ideologica Marguerite Caetani avrebbe dato vita a due iniziative culturali di grande rilievo che le corrispondevano perfettamente: due riviste al servizio non già della riflessione critica ma della creazione artistica. Tanto Commerce (1924-1932), pubblicazione trimestrale stampata a Parigi con un comitato di redazione costituito da Paul Valéry, Léon-Paul Fargue e Valery Larbaud, quanto Botteghe Oscure (1948-1960), semestrale pubblicato a Roma con l’ aiuto di Giorgio Bassani, perseguivano a distanza di un quarto di secolo lo stesso progetto. Le due riviste intendevano promuovere la conoscenza e la circolazione della poesia e della letteratura al di là dei confini nazionali, riproponendo opere poco note o ingiustamente dimenticate del passato e testi inediti di autori contemporanei. In Commerce si sarebbe puntato su traduzioni di grande qualità, generalmente affidate ad altri scrittori; in Botteghe Oscure avrebbe prevalso l’ orientamento di lasciare i testi nella lingua d’ origine. Entrambe le riviste si rivolgevano alla comunità letteraria internazionale e offrivano a scrittori inglesi, americani, francesi, italiani, spagnoli, tedeschi, un luogo privilegiato dove poter fare conoscenza e confrontare le proprie esperienze. L’ unico criterio vincolante adottato da Marguerite e dai suoi illustri collaboratori era quello della qualità: la pubblicazione in anteprima di frammenti dell’ Ulisse di Joyce e della seconda parte della Gita al Faro di Virginia Woolf su Commerce, o di un capitolo del Gattopardo su Botteghe Oscure bastano a darci la misura del loro intuito.

Ma la giovane americana aveva portato con sé in Europa un’altra passione tipica della cultura del suo paese, l’ amore per la natura. Oltre al dono di “parlare” ai poeti, ella avrebbe mostrato, come ci dice Hofmannsthal, di possedere anche il linguaggio delle piante. E il suo matrimonio con Roffredo Caetani, principe di Bassiano, duca di Sermoneta, … le avrebbe infatti consentito di realizzare la sua vocazione di giardiniera e di botanica nel cuore dell’ antico feudo dei Caetani nella campagna romana, in un luogo meraviglioso dove storia e natura si erano intrecciate nei secoli per disegnare un paesaggio unico al mondo».

Quaderno per quaderno riferisco ora sulla collaborazione di Rocco Scotellaro con Botteghe Oscure e riporto il sunto delle opere pubblicate, desumendole dalla citata tesi della Aiello.
Nel secondo quaderno, II semestre 1948, furono pubblicate le poesie: Il cielo a bocca aperta, Saluto, Suonano mattutino, Per Pasqua alla promessa sposa, Il primo addio a Napoli, Alla figlia del trainante, Tu non ci fai dormire cuculo disperato, E’ un ritratto tutto piedi, Per una donna che se ne va, E’ calda così la malva, Era la cavalcata della bruna, Sempre nuova è l’alba.
«Queste poesie di Scotellaro sono rappresentative del motivo ispiratore di tutta la sua produzione letteraria: il mondo contadino. Qui il poeta supera i limiti della produzione precedente quando le inevitabili note populiste o i residui prosastici della intonazione polemica davano a volte l’impressione di una poesia limitata. Limiti di questo genere vanno scomparendo nelle poesie sopracitate in cui la maturazione del gusto lirico si è rapidamente completata e talvolta ha persino varcato il segno. Se Scotellaro resta soprattutto il poeta della presenza cosciente nel mondo contadino, vissuto in prima persona, in queste poesie il motivo autobiografico diventa importante come in Il primo addio a Napoli, e si esprime per la sua donna, evocata a volte attraverso un odore, vedi E’ calda così la malva e a volte rimpianta amaramente come in Per una figlia del trainante – poesia quasi ironica dove la riuscita del rapporto amoroso è ostacolata da fattori pratici, così come in Saluto e in Per Pasqua alla promessa sposa, Suonano mattutino, Il cielo a bocca aperta e Tu non ci fai dormire cuculo disperato hanno tematiche legate al mondo contadino: nella prima il poeta dice di sapere che è arrivato il mattino quando sente risuonare i ferri dei muli dei mietitori sulle selci del viottolo; la seconda parla di una giornata ormai arrivata alla fine: il vento cessa di spirare, cala la nebbia e ognuno sente su di sé la fatica del giorno; ogni cosa è fedele al suo ruolo. Nella terza poesia Scotellaro dice è tornato per sempre con i suoi colori: lo hanno sentito le donne che fanno seccare i fichi e i pomodori, ma il cuculo con il suo verso non farà dormire. È un ritratto tutto piedi sembra quasi un quadro: Scotellaro descrive, con piccoli tocchi, una scena che si vede di squarcio guardando in una grotta: c’è una vecchia morta, sdraiata; di lei si vedono solo i piedi, mentre il suo viso è lontano, così come il suo ventre. In era la cavalcata della Bruna il poeta ricorda il suo paese, gli ulivi di Matera, i canti degli antenati, la cavalcata della Bruna e l’acqua della Gravina. In sempre nuova è l’alba Scotellaro si intrattiene con i contadini: parla con loro, li invita a bere una tazza di vino, a ricordare i briganti e a pensare che l’alba è sempre nuova.
Lo stile di queste poesie, estremamente semplice e lineare nella descrizione oggettiva della realtà contadina, diventa più difficile quanto esprime lo stato d’animo del poeta e le sue emozioni».
Nel quinto quaderno, primo semestre del 1950, furono pubblicate 4 poesie dedicate a Linuccia Saba: Dalle carceri di Matera: Il sole viene dopo, Io sono un uccello di bosco, Carcere mio… «Nelle poesie citate Scotellaro unisce due tematiche a lui molto care: l’amore e l’esperienza del carcere. Così ne Il sole viene dopo il ritorno del poeta ha fatto brillare di luce gli occhi dell’amata che viene invitata ad alzarsi presto, prima del sole. In Io sono un uccello di bosco solo il coraggio e la speranza hanno aiutato il poeta a vivere nel buio della prigione: lui era nato uccello di bosco, mentre in Carcere mio…in carcere il poeta non canta più, ha già cantato tutte le canzoni che sapeva sotto i balconi della sua bella».
Nell’ottavo quaderno, II semestre 1951, furono pubblicate le poesie: L’ingiustizia; Il santuario, L’amore di Nettuno, La fede che non si perde, Il morto, La ginestra.
«Il santuario descrive una cartina appesa ad un muro sulla quale il poeta vede in lontananza un santuario – meta di tanti pellegrini – ed ospedali e carceri e la madre che, piccola come una formica, sembra schiacciata dalla fatica. Ne L’amore di Nettuno il mare infuriato non rispetta neanche il tempio di Paestum. Ne La fede che non si perde il poeta si domanda come ha fatto la madre a trascorrere la vita davanti al focolare. Il marito e i figli sono lontani e non ha più neanche la fede in Dio: la casa è tutta sua adesso che sta per lasciarla. Con la poesia intitolata Il morto il poeta afferma che è diventato pesante vivere, nella casa il fuoco è spento e la giustizia è morta; ne La ginestra i pianti della canéfora – fanciulla d’illustre famiglia che nelle processioni porta in un canestro gli arredi sacri – sono muti. Lei canta e porta le ginestre ai vivi, ai morti e ai santi».
Nel nono quaderno, I semestre 1952, fu pubblicato il racconto La capera. «Quello delle capere era un mestiere esercitato da parecchie donne al paese. Pettinavano le signore dai capelli lunghi, facevano loro le trecce o il «tuppo» e all’occorrenza schiacciavano anche i pidocchi. La capèra che andava nella casa dello scrittore pettinava la madre che aveva i capelli di oro fino e la sorella. Un giorno ci fu una grave scenata tra la madre e il padre a causa di questa capèra: la madre aveva scoperto che era l’amante del marito. Per questo venne licenziata e ne fu scelta un’altra. Perché, si chiede lo scrittore ora lontano dal paese, queste donne facevano le capère, e quanto guadagnavano? Come sempre era il bisogno la causa di tutto. Per lo più erano vedove o abbandonate dal marito che non scriveva più dall’America e con questo piccolo mestiere riuscivano a tirare avanti. Erano pagate parte con prodotti naturali, parte con soldi. Ma ora – gli scrive la madre interpellata a tale proposito – il DDT ha eliminato i pidocchi, le ragazze hanno i capelli corti e le ultime poche capère hanno per clienti solo le persone anziane: il loro è uno dei tanti mestieri che scompare». Nell’undicesimo quaderno, I semestre 1953, furono pubblicate le poesie: Costiera Amalfitana, Dedicata ad una bambina, La bontà -a Carlo Levi, I pezzenti, Il dolore, O fons bandusiae (Orazio, Carmina III, 13).
«Tanti i temi affrontati da Scotellaro: in costiera Amalfitana fa da sfondo al suo sogno d’amore, ma l’oggetto di questo amore è troppo lontano per lui, è ancora troppo giovane, quasi una bambina. Egli pensa con tristezza che non si potranno incontrare mai da innamorati perché la natura ha imposto che ogni cosa fiorisca nella sua stagione; Dedica ad una bambina è dedicata a una bambina, amata senza speranza. Ne La bontà – a Carlo Levi il poeta esalta la bontà di Carlo Levi, mentre ne I pezzenti il poeta dice che a Natale, quando nel presepe l’agnello può stare salvo in mezzo ai leoni, è bello fare i pezzenti perché i ricchi in quel periodo sono buoni. In Il dolore il poeta vorrebbe somigliare alla sorella che si addolora per ogni cosa sbagliata. La poesia intitolata O fons bandusiae (Orazio, Carmina III, 13) è dedicata alla fontana di Banzi – alla quale domani sarà sacrificato un capretto – perché possa continuare a gettare acqua fresca per i buoi aratori e le greggi camminanti».

 

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