Riporto un pezzo della medicalizzazione della vita, uno dei 36 saggi del libro Cruciverba di Leonardo Sciascia, riproposte in una edizione di fabulae, dove la medicalizzazione della vita si stende su dieci pagine favolose.
« Negli anni della mia infanzia, nel paese di contadini e zolfatari in cui vivevo, il «chiamare il medico» era in corrispondenza col «chiamare il prete».
Il prete si chiamava per far sì che il morituro si mettesse in regola con l’aldilà; il medico perché i familiari restassero in regola coi conoscenti, coi vicini; insomma, con la società. Che non si dicesse, imputando la famiglia di disaffezione e insieme di tirchieria: «non gli hanno nemmeno chiamato il medico». Pertanto, mentre il chiamare il prete era un fatto di sostanziale importanza, perché tra il chiamarlo e il non chiamarlo correva per il morituro la differenza tra un temporaneo soggiorno in purgatorio (di pochissimi ricordo di aver sentito dire che erano aspettati in paradiso) e l’eterno arrostirsi nell’inferno, il chiamare il medico era un atto puramente formale, di convenienza sociale.
S’apparteneva, pirandellianamente, alle regole dell’apparire. Coloro che lo chiamavano (sempre troppo tardi) a visitare un ammalato, non credevano che davvero il medico potesse guarirlo (e infatti, a quel punto, non lo guariva): sicché quando il medico, a sua volta per stare alla regola, scriveva una ricetta, l’andare ad acquistare i medicinali era un estremo sacrificare alle apparenze: e se ne aveva sentimento, risentimento, come di capriccio e sopruso da parte del medico (da ciò la valutazione di buono, di bravo, al medico che si limitava a raccomandare cautela di coltri, lavaggi esterni e intestinali, diete; e la fama di asino appiccicata a quello che prescriveva medicine). In molti casi, consumato il sacrificio dell’acquisto, le medicine non venivano somministrate: a timore «spresciassero» (affrettassero) la fine o che comunque servissero soltanto a disgustare col sapore e ad agitare di paura (paura di ogni medicinale che non fosse l’olio di ricino o il chinino) l’ammalato: e inutilmente. Medici e medicine facevano insomma parte di quel decoro cui una famiglia si teneva obbligata a dar prova nella morte di una persona cara; erano elementi di un cerimoniale che preludeva a quello funerario. Di conoscere la diagnosi, nessuno si preoccupava: e peraltro quel che diceva il medico non era più chiaro del latino del prete. »

 

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